Politica e antipolitica. L’esercizio della democrazia per i beni comuni

Paolo Carsetti (*)
Adista Sgni Nuovi n. 25 /2012

Nel nostro Paese la questione acqua ha guadagnato nel tempo una forte consapevolezza sociale e una capillare diffusione territoriale, aggregando culture ed esperienze differenti e facendo intravedere nella sua battaglia la speranza di un altro modello di società.

La necessità di mettere in rete e collegare fra loro queste diverse esperienze, unita alla consapevolezza che per poter produrre un cambiamento effettivo occorreva costruire sull’acqua una vertenza di dimensione nazionale, sono state il terreno di coltura che ha permesso la nascita del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua.
Questo l’inizio del percorso che ha saputo sempre tenere ben presenti i propri obiettivi, che ha saputo radicarsi sempre più territorialmente e contemporaneamente darsi un respiro nazionale. Ha saputo mettere a fuoco l’intera questione acqua, dagli aspetti di politica globale a quelli territoriali, dalla tutela della risorsa alla sua gestione, dalla critica delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni alla ricerca di nuovi modelli di pubblico basati sulla democrazia partecipativa.

Nei primi mesi del 2010, a partire dal Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, si è andato costituendo il Comitato Promotore dei referendum, una vasta coalizione sociale che via via ha aggregato centinaia di realtà provenienti dai movimenti sociali territoriali, dalla cittadinanza attiva, dal mondo dell’associazionismo laico e religioso, dalle forze sociali, sindacali e politiche, dal mondo della scuola, della ricerca e dell’università, dal mondo della cultura e dell’arte, e dal mondo agricolo.

Una scelta, condivisa sin dall’inizio, ha previsto che le forze politiche non entrassero a far parte del Comitato Promotore, ma costituissero un Comitato di Sostegno. Scelta che ha fatto sì che per la prima volta in Italia alcuni referendum fossero promossi esclusivamente da forze sociali e culturali. Scelta che ha permesso di far schierare le persone sul tema specifico a prescindere dalla propria appartenenza politica. Scelta che ha consentito di mantenere l’autonomia dai partiti e di condurre la campagna senza padrini politici.

Una campagna referendaria che punta al rapporto diretto con le persone. Si torna per le strade con i gazebo, con i volantinaggi ai mercati, la domenica davanti alle parrocchie, ai centri commerciali, si fa il porta a porta. Si torna ad un metodo di svolgere la campagna elettorale vecchio di qualche decennio quando ancora esistevano i grandi partiti di massa.

Una sfida ambiziosa maturata nella consapevolezza che i referendum si vincono sui territori, battendo palmo a palmo la penisola italiana. D’altra parte i media ignorano i referendum e i loro promotori, e bisogna sopperire a tale mancanza. Ciò rappresenta anche un vantaggio, quello di non avere mediatori e intermediari tra gli attivisti e la cittadinanza. Il messaggio arriva direttamente ai cittadini senza essere distorto e mistificato.

Le persone hanno avuto modo di sentire propria la battaglia, di metteris in gioco, di sentirsi partecipi di un movimento che quotidianamente contribuivano a costruire.

La battaglia per l’acqua è diventata la battaglia di tutti, di quanti avevano a cuore il futuro del Paese. è divenuta una battaglia per riaffermare che la democrazia passa attraverso l’espressione della volontà popolare, la quale si esprime non solo nelle urne, ma attraverso la partecipazione diretta alla vita politica anche con piccole e semplici azioni quotidiane.

D’altra parte l’assordante silenzio dei media alla fine non ha fatto altro che ampliare il distacco tra la società reale che si mobilitava e la sua rappresentazione non più corrispondente al vero che veniva fornita dai media stessi. I politici hanno continuato a fidarsi di questa rappresentazione non rendendosi conto che, nel frattempo, si stavano gettando le basi per un cambiamento epocale.

Negli ultimi vent’anni il distacco fra la società civile e la politica è diventato troppo ampio ed è stato colmato – in modo artefatto – dalla personalizzazione, dallo scambio diretto fra i leader e il popolo, attraverso i media. Ora questo ciclo pare finito e il tempo della democrazia personale e mediatica volge al termine. Il referendum lo ha detto in modo molto chiaro e diretto. Perché i referendum sono strumenti di democrazia diretta, complementari, ma anche critici rispetto alla democrazia rappresentativa, ai partiti e ai gruppi dirigenti che li guidano. Per questo hanno la capacità di modificare bruscamente il corso della storia.

L’ostracismo dei media, Rai inclusa, ha legittimato coloro che lavoravano per la vittoria. Si scorgono i segni di una democrazia di persone, luoghi, sentimenti, passioni. I partiti e le persone che hanno guidato la stagione precedente, francamente, sembrano improvvisamente vecchi e fuori tempo.

Nel quadro di crisi della democrazia rappresentativa si sono affermati come unica possibilità di difesa i principi della democrazia diretta e partecipata, ed è emersa una nuova categoria posta tra il piano politico e quello giuridico: il bene comune.

I beni comuni sono di tutti, sono a titolarità diffusa ed emergono nel momento in cui una collettività, a cui sono stati sottratti, lotta per riaffermarli, restituendo loro una valenza politica.

I beni comuni non sono compatibili con una logica di profitto e di breve periodo, ma sono d’interesse comune e condiviso. Esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona, e sono fondati sul principio della salvaguardia intergenerazionale.

Nella nostra democrazia indebolita (sopratutto dagli anni Novanta in poi), nel caso d’espropriazione di beni comuni a favore di un privato, non esiste nessuna garanzia di tutela. Le pratiche di lotta dei movimenti sono le sole in grado di produrre dei controvalori e legittimarli all’interno di un vuoto normativo innescando un processo di trasformazione: non il valore del bene comune, ma il bene comune come valore. La lotta per un bene comune conferisce a quest’ultima un livello di legittimazione che la costituzionalizza.

I nostri rappresentanti istituzionali dovrebbero ogni tanto disertare “Porta a Porta” e aprire per una volta le finestre: scoprirebbero le migliaia di donne e uomini che si sono impegnati in questa campagna. Molti sono alla prima esperienza di attivismo sociale; alcuni sono iscritti a dei partiti. Scoprirebbero la straordinaria realtà di una grande coalizione sociale dal basso capace di intercettare un’esigenza reale e diffusa di partecipazione, un bisogno reale di democrazia, una dignità non sopita. Un’inversione di tendenza se si pensa agli stereotipi che vorrebbero la società amorfa e conformista.

Si tratta di una partecipazione “nuova”, caratterizzata da componenti sociali tradizionalmente periferiche, rispetto all’impegno politico. In primo luogo e in particolare, le donne e i giovani. La raccolta delle firme un anno fa a sostegno dei referendum sembrava indicare uno scarso sostegno da parte dei giovani. Molto del lavoro fatto negli ultimi mesi è stato rivolto soprattutto a questa fascia d’età e sembra essere stato efficace poiché è stata confermata la sensazione di una grande mobilitazione tra i giovani.

Molto ampia è stata la componente di elettori che ha attribuito un grande significato anche ai quesiti sul “nucleare” e sulla “privatizzazione dell’acqua”. Segno che la mobilitazione ha intercettato sentimenti che vanno ben oltre l’antiberlusconismo. C’era nell’aria una domanda di valori (e anche “timori”) diversi da quelli propagati dal “pensiero unico” del nostro tempo. Il referendum ha fornito loro l’occasione di “rivelarsi” ed esprimersi.

C’è infatti un filo comune che lega il popolo vincitore delle ultime amministrative e quello referendario, una medesima spinta propulsiva che scardina i consolidati meccanismi della politica italiana.

Con la campagna referendaria è stata riscoperta la convivialità della lotta. Si è riusciti a rompere la complicità tra i media e l’opinione pubblica. Si è messo un argine all’invasione del pubblico da parte del privato. è stato riportato al centro l’individuo caratterizzandolo con i suoi legami sociali, con la collettività con cui si relaziona. Questa esperienza ancora una volta ha raccontato la voglia di sentirsi in comune e non soli contro il prossimo.

C’è la forte speranza che si sia ricostituita una società civile in grado di prendere posizione con forza quando i temi che la chiamano in causa riguardano il futuro di tutti. Una società che si è rimessa in movimento e si vuole riorganizzare per riappropriarsi del proprio futuro. Si tratta di cittadinanza attiva che prima di tutto ha saputo diventare maggioranza culturale abbattendo l’ideologia del “mercato è bello”, e successivamente maggioranza politica superando la difficile sfida referendaria.

(*) Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua