Perché la Legge Gelmini massacrerà l’istruzione in Italia

di Barbara D’Amico

E’ vero ciò che dice Maria Stella Gelmini: c’è molta disinformazione sul “suo” testo normativo. In base all’articolo 16 della legge 133 del 2008 le università avrebbero la mera facoltà di trasformasi in fondazioni di diritto privato. Non è un obbligo: quindi, secondo il Governo, non c’è lo spauracchio della privatizzazione. Scorrendo l’articolo, però, si scopre che “la delibera di trasformazione e’ adottata dal Senato accademico a maggioranza assoluta”. Non tutti sanno che il Senato accademico è l’organo deputato all’adozione delle decisioni che riguardano la gestione di ogni apparato universitario. In quanto organo democratico, deve essere composto dai rappresentati di tutti i gruppi d interesse che all’interno del polo accademico hanno una funzione rilevante: professori, ricercatori, personale tecnico-amministrativo, studenti. Storicamente la maggioranza dei seggi è affidata ai docenti, forse per non incorrere in possibili prese in ostaggio dei centri del sapere da parte di forze studentesche politicizzate.

A Padova in Senato, ad esempio, su un totale di 30 membri, siedono 20 professori, 4 ricercatori, appena 3 rappresentanti degli studenti, e 2 rappresentanti del personale tecnico-amministrativo. Torniamo alla legge 133: se per trasformare l’università in fondazione occorre la maggioranza assoluta, basterà il 50% più 1 dei voti. Poiché il voto è per testa, sarà sufficiente che 16 docenti decidano di privatizzare per trasformare in fondazione l’Università. Attenzione alle parole della legge: si conferisce una facoltà, quindi la libertà di esercitare o meno un potere implicitamente già attribuito, a coloro che di fatto hanno la maggioranza per obbligare alla privatizzazione. Dal momento che il numero dei rappresentati degli studenti e dei ricercatori è fisiologicamente inferiore nei Senati accademici, l’unica possibilità per impedire la privatizzazione sarebbe convincere parte del corpo docente a non votare a favore.

Cosa vuol dire privatizzare? Significa dismettere un sistema di erogazione delle risorse pubbliche a favore di un decentramento economico pilotato: lo Stato, in sostanza, fa in modo che le Università pubbliche si tramutino in fondazioni, cioè in enti che giuridicamente si caratterizzano per essere degli aggregati patrimoniali – a differenza delle associazioni che invece sono aggregati di persone. Se è lo Stato a non avere soldi, ci penseranno i privati a versare sotto forma di donazione ciò che è necessario al funzionamento dell’Università. Lo Stato contribuirà solo eventualmente: come? Dando soldi alle università pubbliche e alle scuole pubbliche che se lo meritano. Cos’è il merito? E chi lo valuterà? Nel testo della proposta di legge che presentò a febbraio, la Gelmini prevedeva “meccanismi di ripartizione delle risorse pubbliche in proporzione ai risultati formativi rilevati da un organismo terzo…”. Questo organismo è la Direzione di valutazione e monitoraggio del merito, costola dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che dovrebbe vegliare sul buon andamento delle fondazioni private e delle realtà pubbliche.

Ma torniamo per un attimo al merito. L’articolo 1 della proposta di legge lo definisce come “il conseguimento di risultati individuali o collettivi superiori a quelli mediamente conseguiti nei rispettivi ambiti di attività, tenuto conto dei compiti assegnati e della capacità possedute”: non è specificato, però, quale sia il parametro per calcolare il livello medio a cui rapportare il livello superiore dei risultati. Dato affatto scontato: si calcola sulla base delle pubblicazioni scientifiche? O del numero di studenti laureati in corso? E quanto superiore devono essere i risultati per poter ottenere i finanziamenti? La legge è volutamente imprecisa: se lascio indefinito il criterio di valutazione vuol dire che qualcun altro, diverso dal Legislatore, lo farà. In modo del tutto arbitrario. Allora perché le università dovrebbero tramutarsi in fondazioni? Perché solo così riceverebbero prima e meglio i finanziamenti necessari a sopravvivere. Ma chi finanzia? Chiunque abbia denaro da investire. E chi investe in Italia? Soprattutto le imprese.

Non è ipotesi peregrina quella di avere lobby private che, a fronte di laute donazioni, pretenderebbero di avere un peso all’interno delle Università-Fondazioni. Inutile guardare agli Stati Uniti, il paragone non calza. Il sistema americano è sempre stato sorretto da un meccanismo di preparazione altamente qualificata grazie, sì, alla disponibilità economica privata, ma anche e soprattutto a un modello di insegnamento che esula dallo schema nozionistico tipico delle nostre facoltà cardine (Giurisprudenza, Economia, Scienze Politiche, Lettere). Un esempio simile lo possiamo riscontrare nelle università francesi che, con un modello di insegnamento funzionale – più spazio allo studente, alle sue idee, al ragionamento attivo e meno al nozionismo tematico – ha consentito allo Stato di sviluppare veri e propri centri di eccellenza universitari pubblici. La Sorbona vi dice qualcosa?

Ma se queste sono solo alcune delle incongruenze interne alla legge, l’intero intento del progetto – cioè la preminenza della meritocrazia che tutti, in Italia, agogniamo – è vanificato dal taglio delle risorse economiche, destinate all’Università e alla Ricerca, previsto in Finanziaria e ribadito proprio all’interno della legge Gelmini che all’articolo 64, comma 6, riporta: “…devono derivare per il bilancio dello Stato economie lorde di spesa, non inferiori a 456 milioni di euro per l’anno 2009, a 1.650 milioni di euro per l’anno 2010, a 2.538 milioni di euro per l’anno 2011 e a 3.188 milioni di euro a decorrere dall’anno 2012”. Per economie lorde di spesa si intendono i tagli al settore dell’istruzione. Le cifre devono essere sommate per scoprire che lo Stato risparmierà, entro il 2012, circa 8 miliardi di euro. Miliardi sottratti all’Università e alla Scuola. Per potenziare la meritocrazia, seguendo il modello statunitense, servono moltissimi soldi: come può pensare un paese di affidare il raggiungimento di standard di qualità nell’insegnamento e nella ricerca così elevati, lasciando che siano i privati a finanziare le strutture del sapere? Non c’è garanzia che lo facciano. Perché, se la meritocrazia è l’obiettivo, lo Stato ha scelto di lasciare al caso il raggiungimento dei traguardi meritocratici da parte delle università? Non sarebbe meglio erogare le risorse centralmente? Non si controlla meglio, in questo modo, il livello di merito utilizzando i parametri suggeriti dalla Gelmini?

Meritocrazia significa, per la legge 133, raggiungimento di risultati superiori alla media. I risultati superiori alla media si raggiungono anche grazie agli investimenti. Gli investimenti in Finanziaria vengono tagliati. Qualcosa non torna. Inoltre, non deve sfuggire il fatto che la legge Gelmini sia stata introdotta con un decreto legge. Questo strumento consente al Governo – che è potere esecutivo e non può legiferare – di adottare in caso di “necessità e urgenza” norme aventi immediata efficacia. Non è una legge normale, che ha bisogno di passare al vaglio di Camera e Senato e poi del Presidente della Repubblica, prima di poter essere emanata. No, il decreto spiega effetti immediati. E a decidere sono i membri del Consiglio dei Ministri, cioè soggetti non rappresentativi dei cittadini. E’ uno strumento, quello del decreto legge, che ha consentito a numerosi governi italiani di introdurre di striscio leggi vergognose e dagli effetti incontrollabili. Tanto che la Corte Costituzionale ha più volte condannato questa pratica subdola.

E anche se un controllo sul disegno di legge è poi effettuato dal Parlamento, questo avviene solo ex post: di rado la stessa maggioranza che in Consiglio ha adottato il decreto, e che politicamente rispecchia quella parlamentare, si vedrà rigettare la conversione del decreto in legge ordinaria da p
arte di Camera e Senato. Era urgente la riforma della Scuola e dell’Università? No, ovviamente. Urgente era, però, trovare il prestito ponte per consentire di salvare Alitalia: sarà un caso, ma i 456 milioni che nel prossimo anno verranno sottratti alla Scuola, rispecchiano quasi per intero la cifra concessa dallo Stato, anzi dal Governo, alla cordata di imprenditori italiani accorpati da Berlusconi: 300 milioni di euro. La 133 non è una legge che vuole perseguire le meritocrazia, è una maschera per celare un’allocazione squilibrata di risorse economiche. Prendendo in giro la vera risorsa dell’Italia: gli studenti, i ricercatori, i docenti. Se poi dalle fondazioni ne uscirà qualcosa di buono è solo il caso che può dirlo. E il Governo lo spera, sinceramente.

fonte: www.rivistaonline.com