LA MORTE ALEKSEI, IL PATRIARCA DEL “NIET”

di Carlo Benedetti

Con la morte dell’ottantenne Patriarca ortodosso, Aleksei II, si annuncia a Mosca un radicale cambiamento politico-religioso. Questa è almeno la speranza che viene avanti in molti ambienti della chiesa locale e nelle alte sfere della diplomazia del Cremlino. Perché la scomparsa del religioso (il nome reale era Aleksei Ridgher, nato in Estonia, a Tallin, il 23 febbraio 1929) apre un capitolo nuovo quanto a relazioni interne nella Russia, nel campo della chiesa ortodossa e, soprattutto, nei rapporti con la Chiesa di Roma. Intanto, mentre gli alti prelati (abituati alla politica del “niet” che accomunò il ministro sovietico Gromyko al religioso Ridgher) si affrettano ad eleggere un “reggente”, comincia il giro delle illazioni e delle previsioni sul futuro della gestione dell’intero Patriarcato. La questione – dal punto di vista della geopolitica russa – è complicata, proprio perché la direzione di Ridgher, quanto a rapporti con l’altra grande chiesa (quella di Roma), era stata conflittuale ed anche caratterizzata da forti differenze.

Il Patriarca aveva cercato, infatti, di allontanare il contatto diretto con l’Oltretevere del papa polacco. Si era poi posizionato pragmaticamente nei confronti del tedesco Ratzinger, ma non aveva scoperto le sue carte. Tutto questo pur se negli ultimi tempi le missioni vaticane a Mosca si erano fatte più frequenti ed autorevoli: da Sepe a Vingt-Trois, per giungere al cardinale Tettamanzi che però non era riuscito ad incontrare Aleksei II, già fortemente malato. L’incontro al vertice delle due Chiese, quindi, non c’è mai stato pur se Putin avrebbe voluto avviare una distensione tra Mosca e il Vaticano. Ma c’erano stati i “niet” di una Chiesa timorosa di invasioni romane.

E così, pur se Ratzinger aveva più volte ribadito che sarebbe stato necessario un “linguaggio nuovo per proclamare la fede che ci accomuna”, Aleksei II aveva sempre cercato di prendere tempo, fedele appunto a quella ortodossia russa tipica di una storia fatta di timori nei confronti di un Ovest forte, potente ed aggressivo. Ora, forse, si aprono nuovi scenari. E Ratzinger potrebbe, di conseguenza, preparare le valigie per Mosca. Tanto più che ci sono alcuni aggiornamenti dovuti anche ad un capo del Cremlino che si mostra ben disposto nei confronti di un’ortodossia locale che lo appoggia anche politicamente. Si potrebbe pertanto verificare un incontro epocale dopo lo scisma grecizzante del Patriarca Nikon del 1054. Ma, come sempre, la parola spetterà anche alla diplomazia vaticana che. secondo le migliori tradizioni dogmatiche, dice e non dice.

Intanto lo scomparso Aleksei Ridgher passa alla storia di questa nuova Russia come il personaggio che ha saputo frenare l’irruenza vaticana. Figlio di un sacerdote ortodosso, si era diplomato al seminario di Leningrado nel 1949 ed era stato ordinato diacono nel 1950 (e in seguito, prete e monaco). Si era laureato all’Accademia clericale di Leningrado nel 1953. Nel 1961 era tornato in Estonia, come vescovo di Tallin e dell’Estonia. Nel 1964 era diventato arcivescovo: entrato nel Santo Sinodo, nel 1968 era stato nominato metropolita. Dal 1986 al 1990 era stato vescovo di Leningrado (l’attuale San Pietroburgo) e Novgorod, e dal 7 giugno 1990 ricopriva il ruolo di patriarca di Mosca e di tutte le Russia. Da patriarca aveva assistito alla disgregazione dell’Urss guidando la rinascita della chiesa ortodossa russa dopo la fine del potere sovietico. Sotto la sua gestione, in pratica, si erano intensificati i legami della Chiesa ortodossa con la politica. Soprattutto con Vladimir Putin impegnato nel superare il dogmatismo tradizionalista e l’evoluzione imperiale di Mosca. Un disegno suggestivo ed ardito, per avvicinare all’Europa una Russia che non ha conosciuto l’umanesimo occidentale. Una Russia ancora alla ricerca di una sua identità nel campo di una Terza Roma.