RUSSIA – Le sfide e le speranze del «Concilio locale»

di Luigi Sandri
da www.confronti.net

La Chiesa ortodossa russa piange la scomparsa di Aleksij II, che l’ha guidata autorevolmente per oltre diciotto anni. E si appresta a celebrare un Concilio che, esaminati i problemi con cui debbono misurarsi i cristiani nel paese più vasto del pianeta, dovranno scegliere – «conciliarmente» – il nuovo patriarca di Mosca.

Lasciando da parte i ricordi e le emozioni personali (che pure sono ineliminabili), possiamo domandarci quale sia l’eredità pubblica, «politica» ed ecclesiale di Aleksij II, il patriarca di Mosca e di tutte le Russie deceduto settantanovenne il 5 dicembre.

Un patriarca ortodosso – va ricordato – non è l’analogo, nella sua Chiesa, del papa romano. Nella Chiesa russa l’autorità suprema risiede nel Podmiestny sobor, il «Concilio locale» – di un patriarcato; si contrappone ad «ecumenico» (di tutte le Chiese) – che raggruppa il pleroma della sobornost, la «conciliarità» della Chiesa, sia pure con diversificata presenza e rappresentanza: tutti i vescovi, gruppi ristretti di sacerdoti, monaci, monache, laici uomini e donne. Ad esso risponde il «Concilio episcopale» al quale, a sua volta, risponde il Santo Sinodo, l’organo esecutivo composto da sette membri permanenti e da cinque temporanei (a turno vi passano tutti i vescovi).

Ognuno di questi organismi è presieduta dal patriarca, che ha dunque un evidente ruolo di stimolo, coordinamento, guida, e che dai fedeli è considerato come il simbolo vivente della Chiesa russa. Tuttavia, egli non può decidere, da solo, nessuna questione importante, o dirimente, per l’intera Ortodossia russa; ma sempre collegialmente. E’, insomma, un primus, ma inter pares: un ruolo la cui pregnanza dipende anche dal carisma del patriarca, come nel caso di Aleksij II.

Se il Concilio episcopale si riunisce almeno una volta all’anno. e il Santo Sinodo in varie sessioni annuali, il Concilio locale è evento rarissimo. Pur essendo stato proposto che esso si tenesse ogni quinquennio, l’ultimo (nei decenni recenti) risale al giugno 1990; poi non ne furono convocati altri, forse per non far esplodere la polarizzazione nella Chiesa russa.

Questa, infatti, era (ed è) gravata da un’acuta tensione: da una parte vi è chi si oppone a qualsiasi cambiamento nelle tradizioni; ritiene che l’Ortodossia, l’anima della nazione, vada incarnata anche nelle legislazioni civili a scapito delle altre fedi, e soprattutto a scapito delle «nuove religioni» (Cattolicesimo compreso: una catalogazione contestata dalla Santa Sede); giudica «pericoloso» l’ecumenismo; vede la salvezza solo in un ripiegamento nella slavofilia; e, dall’altra, chi pensa che in un paese post-sovietico, dominato anch’esso dalla secolarizzazione, vada ripensato il ruolo pubblico della Chiesa; urgenti siano riforme, come ad esempio la liturgia non più in staroslavo, ma in russo; vada favorito l’ecumenismo.

All’ultimo Concilio locale presero parte 317 delegati: 90 vescovi; 92 sacerdoti; 39 monaci/e; 8 rappresentanti delle università ecclesiastiche; 88 laici, tra essi 38 donne. Ogni diocesi, di norma, era rappresentata da tre persone: vescovo, prete, laico/a. Il quorum richiesto per essere eletto patriarca: 50+1% dei voti. Dopo vari suffragi senza esito, infine ci fu un ballottaggio, nel quale il metropolita di Leningrado, Aleksij, prevalse, con 166 voti, su quello di Rostov, Vladimir. Dunque, seppure la sobornost sia un ideale mai compiutamente realizzato, la Chiesa russa – la più importante per numero, e dunque politicamente, dell’Ortodossia – ha dato in un momento cruciale, un grande esempio di partecipazione dell’intero popolo di Dio.

Qualcosa di avveniristico, se paragonato al conclave romano, formato solo da cardinali scelti dal papa, esclusi i fedeli laici, uomini e donne, e tutto coperto dal segreto. I problemi che peseranno sul prossimo Concilio locale, e dunque sulla scelta del futuro patriarca, sono antichi e nuovi: quale tipo di «presenza» della Chiesa russa in una società post-comunista lacerata da stridenti disuguaglianze sociali; la sfida della laicità; le riforme ecclesiali da attuare; i rapporti con Roma (pessimi sotto Wojtyla, accusato di favorire l’ uniatismo [i greco-cattolici ucraini] ed il proselitismo cattolico in Russia a scapito dell’Ortodossia; molto migliorati sotto Ratzinger, per dar vita ad una Santa Alleanza per la difesa delle «radici cristiane dell’Europa» e contro la modernità); i rapporti con Costantinopoli, assai precari per la diversa comprensione da quel patriarcato che Mosca ha dell’autocefalia di ciascuna Chiesa ortodossa. Un carnet folto, che suscita dubbi, apre e/o riapre contrasti, semina speranze.