L’isola della nostra sconfitta

di Franca Di Lecce
da www.riforma.it

La spietata selezione di uomini, donne e bambini per lo più in fuga dalla fame e dalle guerre approdando nell’isola italiana, trova un’accoglienza indegna per tutti

Lampedusa è di nuovo sotto i riflettori, questa volta non per gli sbarchi o per le tragedie del mare, che pure continuano, anzi sono in aumento, ma per la difficile situazione che si è venuta a creare in seguito alla decisione del ministro dell’Interno di bloccare il trasferimento dei migranti presenti nel centro di prima accoglienza dell’isola. Il centro, infatti, dal 2006 è destinato al soccorso e alla prima assistenza dei migranti che sbarcano sulle coste siciliane e che, dopo 48 ore, dovrebbero essere trasferiti in altri centri sul territorio.

Il ministro Maroni con la sua decisone, ha stravolto completamente le regole di funzionamento del centro, ha addirittura deciso di allestire un nuovo centro di identificazione ed espulsione, mettendo l’intera isola in subbuglio, in una singolare convergenza di proteste e reazioni. Da un parte le reazioni degli abitanti di Lampedusa e dei politici locali che hanno manifestato contro le decisioni del Governo, dall’altra i migranti che, costretti a un illegittimo allungamento dei tempi di permanenza nel centro sovraffollato e in condizioni disumane, si sono uniti alla protesta degli abitanti dell’isola. A Lampedusa lo Stato si fa vedere solo con le forze dell’ordine, e poco si cura se mancano sull’isola i servizi di base: strade, scuole adeguate, ospedali, fognature. Inoltre, le decisioni del Governo sembrano aver deluso e tradito le aspettative di tanti che hanno votato il partito di Maroni, forse proprio per quella promessa di mettere fine agli sbarchi, liberando Lampedusa dai «clandestini» e restituendole la sua vocazione turistica. Oggi a Lampedusa, che già in epoca romana veniva usata come approdo strategico, si scaricano le contraddizioni e le incongruenze delle politiche italiane ed europee sull’immigrazione.

La maggior parte dei «clandestini» che sbarcano a Lampedusa arriva dalla Libia, che da alcuni anni è diventata la rotta principale nel business del trasporto dei migranti senza documenti. Sono tunisini, nigeriani, somali, eritrei, liberiani, ghanesi, marocchini, con situazioni drammatiche di guerre e povertà alle spalle e che si arrischiano nel viaggio verso l’Europa.

La traversata più breve che collega le coste libiche con quelle italiane, va dal porto di Al Zuwarah e approda proprio sull’isola di Lampedusa; il tragitto può durare 10-12 ore con un buon motore, fino a un paio di giorni a seconda delle imbarcazioni. Ma la traversata in mare è spesso solo l’ultima parte del lungo viaggio di migliaia di migranti che partono dalle regioni periferiche dell’Africa: il viaggio può durare mesi, in alcuni casi anni, e diventa una sorta di macabra selezione di coloro che riescono a sopravvivere a violenze, soprusi ed estorsioni, fame e sete nel deserto libico.

Proprio in queste settimane il Parlamento italiano sta ratificando l’accordo di amicizia e cooperazione con la Libia, firmato da Berlusconi e Gheddafi il 30 agosto scorso. Il disegno di legge, già approvato dalla Camera, andrà nei prossimi giorni al Senato, e non si prevedono particolari ostacoli da parte della maggioranza e dell’opposizione. Del resto, la collaborazione tra Italia e Libia è stata costruita negli ultimi dieci anni dai diversi governi che si sono succeduti e hanno concluso accordi e intese di varia natura. Nell’ambito dei negoziati il contrasto all’immigrazione irregolare proveniente dalla Libia ha sempre rappresentato un punto di particolare interesse per il Governo italiano, mentre i diritti umani sono sempre restati a margine, se non del tutto esclusi, dall’agenda diplomatica di entrambi i paesi, che a dicembre 2007 hanno concluso un accordo tecnico – non ancora operativo – che prevede il pattugliamento marittimo congiunto delle acque territoriali libiche. Nulla si dice su che cosa accadrà a migranti e rifugiati respinti in mare.

La Libia, come emerge da diversi rapporti delle organizzazioni internazionali e dai racconti dei migranti che giungono in Italia dopo lunghe e drammatiche permanenze in quel paese, è responsabile di gravi violazioni dei diritti umani: detenzione arbitraria, espulsioni, violenze, arresti indiscriminati, torture, abusi verso donne e minori. Inoltre l’accordo italo-libico, che il Parlamento sta per ratificare e che ha tra gli obiettivi principali quello di bloccare i flussi di migranti verso l’Italia, è assai oneroso anche dal punto di vista finanziario: l’Italia si impegna, tra le altre cose, a finanziare per il 50% un sistema di controllo delle frontiere terrestri libiche, per circa 150 milioni di euro! Grande preoccupazione e allarme destano il vago riferimento ai diritti umani contenuto nell’accordo e la leggerezza con cui l’Italia rinuncia a porre condizioni alla Libia in materia di rispetto dei diritti umani.

Oggi a Lampedusa, questa piccola isola del Mediterraneo più vicina a Tripoli che a Bruxelles, che conta poco più di 6000 abitanti e si estende per soli 20 chilometri quadrati, si gioca una partita molto più grande della costruzione di un nuovo centro di identificazione ed espulsione. Si giocano gli equilibri dei governi euro-africani e le dinamiche di conservazione delle diseguaglianze globali.

Ma Lampedusa è oggi per noi credenti l’approdo, se pure temporaneo, di uomini, donne e bambini in fuga dalla povertà e dalla guerra e che hanno diritto a una accoglienza umana e dignitosa. Vengono a mostrarci il volto disumano e il fallimento di politiche di cui non vogliamo essere complici.