Accanimento etico, perché «non possumus»

di Enzo Mazzi
Cdb Isolotto (Firenze)

Il disegno di legge su «fine vita e testamento biologico», attualmente in discussione al Senato,
indirizza contro tutti noi, contro l’intera società, l’accanimento etico che per anni ha tormentato
Eluana. E’ un passaggio culturalmente e politicamente molto più grave di una semplice disciplina
restrittiva del testamento biologico.
Siamo di fronte al tentativo di usare temi estremi come la vita e la morte per il disegno ormai chiaro
anche ai ciechi di instaurare un regime autoritario e repressivo.
In un contesto così apertamente provocatorio è molto pericoloso porsi sul terreno della mediazione
politica. Il rischio è quello di prestarsi a far apparire come frutto di un processo democratico quello
che invece è l’ultimo atto di una strategia totalitaria che viene da lontano.
In questo contesto così estremo, anche quanti, come chi scrive, sono animati da una cultura di
convergenza e non contrappositiva vedono nella mediazione il grave pericolo di finire per fare il
gioco di chi vuole negare del tutto la sovranità della persona sulla propria vita nella fase del morire.
Dividere la vita dalla morte, separare la vita dalla sua propria intrinseca finitezza è la chiave
decisiva per poter sostituire alla civiltà giuridica dei diritti, frutto di due secoli di impegno politico e
di lotte sociali, la inciviltà dell’assolutismo totalitario. Non possiamo permetterlo.
Anche noi abbiamo il nostro «non possumus». Non è una questione ideologica di fanatismo
libertario o di relativismo etico. È una questione di civiltà, c’è in gioco il primato della coscienza e
la laicità dello stato. Che per noi è un approdo storico ormai irrinunciabile.
«La morte fa parte della vita»: è questo il messaggio più pregnante che ci ha offerto e continuerà a
donarci Eluana. Ed ora si capisce il contenuto genuinamente politico oltre che etico di quel
messaggio.
Beppino Englaro ha raccolto quella consapevolezza e quelle precise parole da «Eluana nel pieno
della giovinezza» e ha speso la vita per liberarle dagli impedimenti culturali contribuendo in
maniera decisa e produttiva a farle divenire senso comune, capaci di informare positivamente le
relazioni e la politica. Per lo più la solidarietà verso il padre di Eluana si è espressa in forme di pietà
umana per la sua sofferenza. Mi sembra una sottovalutazione e forse una incomprensione della
pregnanza del messaggio di Beppino Englaro.
Ma la consapevolezza di Eluana non è piovuta dal cielo. Al tempo in cui lei era nel pieno della sua
giovinezza il tema della riapproriazione della morte come parte della vita stava diffondendosi
sull’onda lunga dal vento del ’68. A dimostrazione che il ’68 fu veramente un imponente processo
storico di trasformazione globale della società che andava a incidere nel profondo fino al senso
della vita e della morte e non una folata velleitaria, contraddittoria e violenta senza passato e senza
futuro.
Il sistema mondiale del dominio si sentì scosso dalle fondamenta e scatenò il conflitto. Perché la
consapevolezza è la grande nemica del potere. Il quale si nutre di disperazione, paura,
rassegnazione e sottomissione. Come la speranza nuova prendeva forma a livello mondiale, così
anche la strategia per pianificare l’aborto della consapevolezza fu globale. Ed ora siamo alla resa dei
conti decisiva.
Nell’archivio storico della Comunità dell’Isolotto ho ritrovato un numero del Notiziario (251 –
giugno 1990) dal titolo «La morte fra tabù e riappropriazione: il tema della morte nella Bibbia e nel
percorso comunitario di ricerca esistenziale».
Quella socializzazione fu una tappa importante della maturazione collettiva. Del tutto
inconsapevolmente ci animava una sorprendente consonanza con Eluana che a quel tempo aveva
vent’anni. È una dimostrazione che la consapevolezza di Eluana stava lentamente penetrando negli
ambienti più aperti della società, sia laici che religiosi.
Tutto questo è in gioco oggi nel confronto estremo sul senso della vita e della morte e sulla la
sovranità della persona come soggetto morale titolare di un diritto inalienabile a decidere di se
stesso.