«Il pontefice condanna a morte tanti africani»

di Geraldina Colotti
in “il manifesto” del 19 marzo 2009

«Benedetto XVI condanna a morte tanti africani». In Africa, dove 6500 persone muoiono ogni
giorno per l’Aids, le dichiarazioni del papa hanno provocato grande indignazione fra le
organizzazioni – anche cattoliche – impegnate nella lotta al virus. Molte organizzazioni non
governative e gruppi cristiani dell’Africa subsahariana – gravemente colpita dalla malattia – non
hanno esitato a definire «criminali» le parole del pontefice: in certe regioni dell’Africa subsahariana,
infatti, il 75% dei decessi è dovuto al virus Hiv, che nel continente ha ucciso almeno 25 milioni di
persone dal 1980. Secondo l’ultimo rapporto sulla salute globale, paesi come il Kenya, il Senegal o
il Camerun hanno registrato un leggero arresto nella diffusione del virus: e proprio grazie
«all’informazione e alla prevenzione», precisa alla stampa Alain Fogué, della Ong Movimento
camerumese per il libero accesso ai trattamenti (Mocpat). Le persone sieropositive «rappresentano
però ancora un numero importante della popolazione», afferma l’attivista, che si dice «costernato»
per le parole del pontefice: «Ma il papa vive davvero nel XXmo secolo? – esclama – La gente non
seguirà mica le sue parole. Lui vive in cielo e noi sulla terra. Pretendere che il preservativo aggravi
il problema dell’aids va in senso contrario a tutti gli sforzi che il governo del Camerun e gli altri
attori impegnati nella lotta contro l’Aids in Africa hanno fatto». Perciò, che Benedetto XVI lo voglia
o no, in un paese in cui un quarto dei camerunesi è cattolico, «99 cattolici su 100 usano il
preservativo».
In Uganda o nello Zimbabwe invece, il virus imperversa. Nello Swaziland, dopo la flessione del
2006, è aumentato dell’oltre il 2% nel 2008. Oltre il 40% delle donne incinte sono affette dal virus,
che fa ampiamente la sua parte nell’accorciare la speranza di vita della popolazione, di appena 32
anni. Nei paesi con scarse risorse – sottolinea il Rapporto sulla salute globale – gli interventi che
mirano alla sola astinenza, hanno creato solo confusione e persino aggravato il problema.
Secondo i dati di Medecins sans frontières, su 2,1 milioni di bambini affetti da Hiv, il 90% si trova
nell’Africa subsahariana. Una generazione intera è già stata spazzata via dall’Aids, soprattutto nella
parte meridionale del continente, e per questo Msf dedica una grossa fetta della sua attività alla lotta
all’Aids pediatrico e al cambio e alla semplificazione del dosaggio dei farmaci: perché esiste ancora
un numero troppo limitato di farmaci antiretrovirali pediatrici disponibili in compresse, mentre la
somministrazione di più sciroppi porta a non dosare bene la quantità necessaria. Dei 22 farmaci
antiretrovirali attualmente disponibili, otto non sono stati approvati per uso pediatrico e nove non
sono disponibili in formulazioni specifiche per i bambini. Per Msf, «vi è un chiaro e urgente
bisogno di maggiore ricerca e sviluppo per quanto riguarda i farmaci antiretrovirali pediatrici» che
dovrebbe concentrarsi anche sull’aspetto del dosaggio. In Africa, solo il 10% dei bambini che ne
avrebbero bisogno ricevono queste cure. La stragrande maggioranza contrae il virus durante la
gravidanza della madre, al momento della nascita o nell’allattamento. Rischi che, nei paesi
industrializzati sono quasi scomparsi, dove vigono programmi di prevenzione. L’Aids pediatrico è
una piaga soprattutto per i paesi poveri, Africa al primo posto: anche perché i pochi incentivi
finanziari per le case farmaceutiche, non stimolano la ricerca. Rispetto a quanto avvenuto per gli
adulti, ci è così voluto più tempo per rendere disponibile la versione pediatrica degli antiretrovirali;
e, quando esiste, il farmaco è più costoso di quello per gli adulti.
La situazione è particolarmente drammatica per i bambini che nascono già con il virus, anche
perché la strumentazione necessaria per la diagnosi in quella fascia d’età è molto costosa, e così la
metà dei piccoli morirà prima di compiere due anni. «La contrarietà del papa ai preservativi – dice
Rebecca Hodes, della Campagna di azione per il trattamento in Sudafrica – significa che il dogma
religioso è più importante per lui della vita degli africani».