ACERRA: IL VESCOVO E LA DIOCESI NON BENEDICONO L’INCENERITORE

di Luca Kocci
da Adista Notizie n. 37/09

Inaugurato dal presidente del Consiglio ma non benedetto dal vescovo il nuovo inceneritore di Acerra che lo scorso 26 marzo, dopo una vicenda – anche giudiziaria – durata oltre 10 anni, ha iniziato a funzionare, sebbene con una operatività ancora ridotta: brucerà 750 tonnellate di rifiuti al giorno ma a breve, quando sarà a regime, oltre 2mila.

Il vescovo: non benedico l’inceneritore

Mentre la fanfara dei Bersaglieri suonava O sole mio e le manifestazioni di protesta attraversavano la città, Silvio Berlusconi, accompagnato dal sottosegretario alla Protezione civile Guido Bertolaso – che da poco più di un mese risulta indagato dalla magistratura di Napoli con l’accusa di concorso in truffa per lo smaltimento dei rifiuti –, ha tagliato il nastro e ha acceso la prima delle tre linee del termovalorizzatore (cioè un inceneritore in grado di recuperare parte del calore prodotto dai rifiuti bruciati).

L’impianto non ha ricevuto però la benedizione del vescovo di Acerra, mons. Giovanni Rinaldi. “Mi hanno chiesto di benedirlo questo inceneritore, ma non me la sento”, aveva dichiarato nei giorni precedenti il vescovo campano. “La mia scelta è frutto di una decisione presa in accordo con l’intero consiglio episcopale, col quale mi sono confrontato. Non posso condividere qualcosa contro cui ho lottato anche io”. Mons. Rinaldi è stato infatti da sempre accanto alla popolazione che protestava contro la costruzione dell’inceneritore in un territorio, quello di Acerra-Nola-Marigliano, già inquinato da diossina presente con valori 20 volte più alti di quanto consentito dai regolamenti dell’Unione Europea, tanto da meritarsi l’epiteto di “triangolo della morte”.

Il Consiglio pastorale diocesano: grave rischio

Solidale con il vescovo è perciò l’intero Consiglio pastorale della diocesi di Acerra che, lo stesso giorno dell’inaugurazione, ha diffuso una dura nota in cui conferma di condividere la “netta azione di contrasto al cosiddetto ‘Piano di smaltimento dei rifiuti’ voluto dalle Amministrazioni regionali, di tutte le tendenze politiche, e tenacemente, perseguito dai commissari straordinari” e denuncia l’impostazione “sommaria e grossolana” del problema rifiuti che comporta, “non solo per Acerra, un grave rischio ambientale, uno snaturamento della vocazione agricola del territorio, oltre che una caduta di civiltà”.

Dal punto di vista del metodo, prosegue la nota, il progetto dell’inceneritore è stato calato dall’alto, senza alcun confronto con la popolazione, indebolendo indirettamente anche “il contrasto agli interessi della camorra”, che “non può avvenire aggirando la crescita civile e, tanto meno, esprimersi estromettendo i cittadini dalle scelte che li riguardano e disconoscendo le loro legittime preoccupazioni”. Dal punto di vista del merito, secondo il Consiglio pastorale, ci sono inoltre diverse perplessità: il progetto “non considera necessaria la raccolta differenziata, forse, rassegnandosi ad una refrattarietà data per scontata di una parte della società regionale”, “non sono stati costruiti impianti di compostaggio per i rifiuti umidi, i cosiddetti impianti cdr (combustibili derivati da rifiuti) si sono limitati a imballare l’immondizia dopo una sommaria quanto inopportuna tritovagliatura, il tutto destinato ad un impianto di incenerimento” che si limita a bruciare quello che c’è (cioè non funzionano correttamente gli impianti che dovrebbero preparare le ‘ecoballe’ da incenerire, eliminando i materiali non combustibili – vetro, metalli, inerti – e la frazione umida, pericolosa e tossica, ndr).

“Ancora oggi si tende ad assicurare i cittadini sulla correttezza del programma di smaltimento dei rifiuti – prosegue la nota – ma si ha la netta percezione che si sia semplicemente tornato all’antico con la raccolta ‘indifferenziata’, con le discariche (anche se temporanee), con l’incenerimento del ‘tal quale’”. “Ma noi non ci rassegniamo alla routine del quotidiano incenerimento. Il realismo dell’accettazione dell’attività dell’inceneritore deve passare attraverso il controllo e la valorizzazione di questa ingombrante presenza. Le assicurazioni delle Autorità di un monitoraggio dell’attività è opportuno che trovino valido riscontro in un serio controllo svolto da soggetto terzo rispetto a chi ritiene valido questo impianto e a chi nutre preoccupazione verso di esso. Tale soggetto non può che essere la comunità scientifica che ha l’impostazione metodologica e le competenze necessarie a tal bisogno”.

Il Consiglio pastorale di Acerra, conclude il comunicato, “auspica pertanto che si istituisca un osservatorio costituito da professionalità qualificate in campo tecnologico, medico, agrario, urbanistico che non si limiti solo a monitorare l’impatto dell’inceneritore sul territorio ma svolga attività di ricerca sullo smaltimento dei rifiuti e, in particolare, sulle tecniche di termovalorizzazione”.

12 anni di ritardi, inchieste e favori politici

La storia dell’inceneritore di Acerra inizia nel 1997 quando, sotto la giunta di centro destra guidata da Antonio Rastrelli, venne emanato il piano regionale rifiuti che prevedeva la costruzione di 7 impianti cdr e 2 termovalorizzatori, ad Acerra e a Santa Maria La Fossa. Nel 1998 la Fibe, controllata da Impregilo (la società che dovrebbe costruire anche il ponte sullo Stretto), si aggiudica la gara di appalto per la costruzione dell’inceneritore, che avrebbe dovuto essere consegnato il 31 dicembre 2000.

Ma la prima pietra verrà posata solo nel 2004 e nel 2007, anche in seguito ad una complessa vicenda giudiziaria in cui sono implicati fra gli altri Cesare Romiti e Antonio Bassolino, i lavori vengono bloccati per riprendere poi solo nel luglio 2008, pochi mesi dopo il varo, da parte del governo Prodi, di una misura – fortemente criticata da p. Alex Zanotelli (v. Adista n. 13/08) – che assegna ingenti finanziamenti pubblici per la costruzione e la gestione dei termovalorizzatori, modificando una precedente normativa che garantiva i finanziamenti solo agli impianti che producevano energia elettrica tramite fonti rinnovabili e non inquinanti, come il sole e il vento, e non bruciando i rifiuti.

“L’inceneritore è tossico, soprattutto perché inquina il cervello di molti amministratori locali e governanti nazionali – disse allora p. Zanotelli, in prima fila anche alle manifestazioni del 26 marzo – che aspettano da quella macchina, e non dalla riorganizzazione del ciclo dei rifiuti attraverso la partecipazione e il coinvolgimento diretto dei cittadini, una miracolosa soluzione del problema”.