IL “RESPINGIMENTO” DEI DIRITTI UMANI E DEL VANGELO: CHIESE ED ASSOCIAZIONISMO CONTRO IL GOVERNO

di Emilio Carnevali e Ingrid Colanicchia
da www.adistaonline.it

Il ministro degli Interni Roberto Maroni lo ha spiegato con la consueta chiarezza e l’abituale rudezza: “Io il clandestino non lo faccio entrare; lo respingo e torna da dove è venuto senza entrare nel merito di chi è, e perché viene”. Questo è il senso della “svolta storica” (la definizione è ancora del ministro degli Interni) inaugurata lo scorso 6 maggio quando 227 migranti provenienti dalla Libia sono stati intercettati in acque internazionali e riportati a Tripoli da motovedette italiane. Una svolta che sancisce il passaggio dalla politica del “rimpatrio” a quella del “respingimento” (senza alcuna possibilità di accertare se i singoli migranti hanno i requisiti per effettuare la richiesta di asilo politico) e che non ha mancato di suscitare animate polemiche.

L’avvicinarsi delle elezioni europee ha contribuito ad alimentare il “cattivismo” dell’attuale maggioranza sulle politiche migratorie dato il buon riscontro in termini di consensi e voti che questo atteggiamento garantisce. Non è un caso che il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi – sempre molto attento a mantenere stretto il legame con l’elettorato del Carroccio, ormai primo partito in molte zone del Nord Italia – si sia subito affrettato a dare la propria copertura politica al ministro leghista: “Nessuno scandalo” per i respingimenti, ha dichiarato il premier. “La sinistra con i suoi precedenti governi aveva aperto le porte ai clandestini provenienti da tutti i Paesi. Quindi l’idea della sinistra era ed è quella di un’Italia multietnica. La nostra idea non è così”. Pochi giorni dopo, partecipando al vertice italo-egiziano di Sharm El Sheik, Berlusconi ha anche cercato di mettere il cappello all’iniziativa: “Gli accordi con la Libia li ho gestiti io, li ho sottoscritti io, Maroni esegue gli accordi che sono stati direttamente presi fra me e Gheddafi”.

L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) ha espresso al governo italiano la sua “grave preoccupazione” per la nuova linea adottata con i migranti intercettati in mare e ha chiesto all’esecutivo di “riammettere quelle persone rinviate indietro dall’Italia e individuate dall’Unhcr come persone che cercano protezione internazionale”. Posizione che ha ricevuto il “pieno appoggio” del segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon.

Intanto, l’esecutivo tira dritto e incassa il via libero della Camera dei Deputati, dopo tre maxi‑emendamenti con annessi tre voti di fiducia, al “Pacchetto Sicurezza”, che introduce il reato di immigrazione clandestina, esclude gli irregolari dai pubblici servizi (con l’eccezione di sanità e scuola), e prevede l’introduzione delle ronde care alla Lega Nord. All’approvazione definitiva manca soltanto un ulteriore passaggio in Senato, che il capogruppo della Lega a Palazzo Madama, Federico Bricolo, promette avverrà “in tempi brevissimi”.

“La molteplicità è un fatto. Ed un valore”

Critiche severe al governo sulla questione dei “respingimenti” sono giunte da importanti esponenti della gerarchia cattolica. Il primo a intervenire è stato il segretario del Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti, mons. Agostino Marchetto, secondo il quale il rimpatrio dei clandestini in Libia “ha violato le norme internazionali sui diritti dei rifugiati”. “La normativa internazionale, alla quale si è appellata anche l’Onu, prevede che i possibili richiedenti asilo non siano respinti, e che, fino a che non ci sia modo di accertarlo, tutti i migranti siano considerati ‘rifugiati presunti’”. “Capisco che gli attuali flussi misti complicano le cose anche per i governi – ha aggiunto mons. Marchetto – ma c’è bisogno comunque di rendere operative le norme concordate e riaffermate più volte nelle sedi internazionali”.

Don Giandomenico Gnesotto, direttore dell’ufficio pastorale degli immigrati e rifugiati della Fondazione Migrantes, è intervenuto a Radio Vaticana (8 maggio) sottolineando che “la Libia è uno dei pochi Paesi che non ha sottoscritto la Dichiarazione fondamentale dei Diritti dell’Uomo”. E ha aggiunto: “Va verificato l’effettivo trattamento di chi viene mandato in Libia, e ricordiamoci che la Libia ha una frontiera a sud, che significa deserto, e muoiono più persone in questi viaggi della speranza nel deserto che lungo le rotte del Mediterraneo per raggiungere le nostre coste”.

Il segretario generale della Conferenza episcopale italiana, mons. Mariano Crociata (10 maggio), ha invece risposto indirettamente alle parole del Presidente del Consiglio su integrazione e multiculturalismo: le questioni legate alla multietnicità e alla multiculturalità in Italia, ha affermato mons. Crociata, “sono discorsi superati, nel senso che la molteplicità è un fatto. Ed è anche un valore”.

Mons. Crociata è stato inoltre fra i partecipanti del IV Convegno ecumenico nazionale organizzato dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), dalla Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo della Cei e dalla Sacra arcidiocesi ortodossa d’Italia e Malta del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli. Nel corso del Convegno – che si è svolto il 7 e l’8 maggio scorsi a Siracusa e al quale hanno preso parte, fra gli altri, il presidente della Fcei Domenico Maselli, il vescovo di Terni e presidente della Commissione per l’ecumenismo della Cei mons. Vincenzo Paglia, e padre Augustin Gheorghiou in rappresentanza del vescovo ortodosso rumeno Siluan – cattolici, evangelici ed ortodossi hanno approvato all’unanimità un documento in cui si esprime “preoccupazione vivissima per norme e provvedimenti nei confronti degli immigrati e dei rifugiati, che rischiano di violare fondamentali diritti umani e di negare elementari principi di umanità, di tutela dell’infanzia e dell’unità familiare, di convivenza negli spazi pubblici e di libertà di espressione della propria tradizione religiosa”.

L’Ac: costruire una identità comune

Ma le voci più critiche si sono levate dal basso. A conclusione del Convegno delle presidenze diocesane di Azione Cattolica il 10 maggio scorso, il presidente Franco Miano ha espresso il suo disappunto per “l’uso strumentale che la politica troppo spesso fa di grandi questioni, come l’immigrazione”. “Il nostro impegno – ha continuato – è costruire una cultura dell’accoglienza”: “La società multietnica che alcuni rifiutano è già un dato di fatto per il nostro Paese”. “La sfida per la politica – ha proseguito – è semmai come far crescere legalità e sicurezza senza intaccare il rispetto della persona migrante e senza chiudere pregiudizialmente la porta; la sfida per tutti noi è costruire un’identità comune a partire dal rispetto delle identità di ciascuno, senza appiattimenti ma rapportando ciascuna cultura alle altre nel rispetto di tutti”.

Acli: garantire il diritto d’asilo

Le Acli, da parte loro, chiedono garanzie sulla sorte degli immigrati respinti sulle coste libiche: “Il Governo chieda formalmente alla Libia ‑ propone il presidente Andrea Olivero ‑ il permesso di inviare una commissione parlamentare mista italiana ed europea per accertarsi delle condizioni delle persone respinte. Il diritto internazionale ci impone di garantire la sicurezza dei richiedenti asilo”.

Famiglia Cristiana: “Respingimenti elettorali”

Accuse ancor più dure da Famiglia Cristiana (20/2009) che in un editoriale di Beppe Del Colle, dal titolo “Immigrati ‘respinti’ per fini elettorali”, afferma che il governo fomenta paure e insicurezze in vista delle imminenti elezioni europee e amministrative e del referendum del 21 giugno. “Gli africani – denuncia ancora il settimanale dei paolini -, prima li abbiamo schiavizzati per due o tre secoli; poi per oltre un secolo li abbiamo colonizzati, per portargli via materie prim
e che servivano alla nostra industrializzazione; adesso non li vogliamo fra di noi, punto e basta. E l’Onu, le associazioni umanitarie, la stessa Chiesa dicano quello che vogliono”. “Le norme internazionali sul diritto all’asilo sono carta straccia”, conclude Famiglia Cristiana: “Li rimandiamo in Libia, incuranti del fatto che Tripoli non ha mai riconosciuto la Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati; e del fatto che, nel solo 2008, il 75% di chi è giunto via mare in Italia ha chiesto asilo politico e che al 50% di essi è stata concessa una forma di protezione internazionale. Dunque, prima di ‘respingerli’ occorre almeno verificare questo diritto”.

Pax Christi: “prove di apartheid”

“Ero straniero e mi avete accolto” (Mt 25,35). La Parola di Cristo porta a compimento la logica conviviale della Scrittura dal Levitico 19,33-34 –“Tratterete lo straniero che risiede fra voi come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso”, al Deutoronomio 10,19 – “Amate lo straniero perché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto”, alla Lettera agli Ebrei 13,2 – “Non dimenticate l’ospitalità, perché alcuni, praticandola, hanno ospitato senza saperlo degli angeli”.
Alcuni eventi drammatici concomitanti interpellano fortemente la nostra fede cristiana e il nostro laico civile impegno: -il ripetuto “respingimento”di migranti intercettati nel canale di Sicilia e rispediti alla Libia, che non aderisce alla Convenzione internazionale dei diritti umani, presentato come “svolta storica “ dal Ministro dell’Interno ma respinto come preoccupante da organismi dell’ONU e già sanzionato dalla Corte europea nel 2005;- il suicidio di Mabrouka Mimoni nel Centro di identificazione e di espulsione di Ponte Galeria a Roma, sconvolta per il rimpatrio in Tunisia; – il decreto sicurezza, ritoccato rispetto alla stesura originale, ma pesantemente inquinato dal reato di clandestinità, quindi dall’idea del povero come delinquente e dalla povertà come delitto, con ricadute pesanti, anche mortali, su molte famiglie e sui loro bambini; – la tragicomica proposta di uno dei capolista della Lega Nord alle elezioni europee, noto per aver paragonato i rom ai topi da “derattizzare ” e per l’attacco costante alla logica del dialogo promossa dall’arcivescovo di Milano, di carrozze della metropolitana riservate solo ai milanesi; – in generale, il linguaggio aggressivo, violento e volgare presente in questo e in altri campi della vita politica e sociale.
Siamo alle prove di apartheid. Non possiamo tollerare l’idea che esistano esseri umani di seconda e terza serie e che dentro e fuori l’Italia si formi un popolo di “non-persone”. Per noi le normative in atto e allo studio violano la Dichiarazione universale dei diritti umani basata sul principio “non negoziabile” della dignità umana e sulla prospettiva della fratellanza (art. 1), così come la Costituzione italiana, gli articoli 2,3,4, 10, 11, soprattutto quelli che prevedono il nostro conformarci alle norme del diritto internazionale e la promozione delle organizzazioni internazionali dei diritti umani. Disposizioni così cattive e incivili, oltre che controproducenti ai fini della pace e della sicurezza, hanno a che fare con il nostro essere credenti e cittadini.
Il Concilio Vaticano II ci invita a esercitare la nostra funzione profetica, sacerdotale e regale (“Lumen gentium” 31-36), ad affermare “la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali dimora lo spirito Santo come in un tempio” (“Lumen gentium” 9). Parlando della “grande responsabilità della comunità ecclesiale, chiamata ad essere casa ospitale per tutti, segno e strumento di comunione per l’intera famiglia umana”, il papa Benedetto XVI ritiene importante che ogni comunità cristiana intervenga per “aiutare anche la società civile a superare ogni possibile tentazione di razzismo, di intolleranza e di esclusione” e per “organizzarsi con scelte rispettose della dignità di ogni essere umano. Una delle grandi conquiste dell’umanità è,infatti, proprio il superamento del razzismo […]. Solo nella reciproca accoglienza di tutti è’ possibile costruire un mondo segnato da autentica giustizia e pace vera” (angelus 17 agosto 2008).
A tal fine, riteniamo utile riprendere le indicazioni episcopali degli anni ’90 sulla cittadinanza responsabile (“Educare alla legalità”, “Educare alla socialità”, “Educare alla pace”) sviluppando con coerente determinazione i percorsi aperti dalla Dottrina Sociale della Chiesa. Oggi per noi si pone seriamente la questione se la comunità cristiana non debba sfidare le diffuse tendenze xenofobe e razziste con la disobbedienza civile. Il cristiano rispetta la legge ma sa che la pienezza della legge è l’amore (Rom 13, 1-10), pensa quindi che debba opporsi a leggi ingiuste e a sistemi che opprimono l’essere umano, fatto a immagine di Dio, e che colpiscono i più deboli (Is 10,1-4 e Ger 7,1-7).
E’ necessario reinventare o aggiornare la tradizione biblico-cristiana del diritto d’asilo, di essere cioè “santuario di protezione e difesa”(movimento presente negli Stati Uniti e in altri paesi) per i poveri e i deboli sottoposti ad abusi o che rischierebbero la vita se rimandati in alcuni paesi d’origine. Secondo il diritto internazionale nessun respingimento è possibile prima di valutare le singole situazioni dei migranti. Come credenti cittadini del mondo, dell’Europa e dell’Italia, intendiamo riaffermare la civiltà del diritto tramite il fare creativo della nonviolenza. E’ urgente realizzare l’articolo 10 della Costituzione riguardante la legge sul diritto d’asilo e istituire finalmente la Commissione nazionale indipendente per la promozione e la protezione dei diritti umani che può essere sostenuta e accompagnata da realtà associate nei modi previsti dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite sui difensori dei diritti umani (risoluzione 53/144 del 8 marzo 1999), il cui articolo 1 dice che “tutti hanno il diritto, individualmente ed in associazione con altri, di promuovere e lottare per a protezione e la realizzazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali a livello nazionale ed internazionale”. Utile strumento può diventare al riguardo il progetto delle Città dei diritti umani in un mondo libero promosso, tra gli altri, dalla Tavola della Pace, dal Coordinamento degli Enti locali per la pace e i diritti e da Libera, realtà dove Pax Christi è variamente presente. In tal modo può anche camminare il progetto dell’ “ONU dei popoli”e molte scuole, fin dal prossimo anno scolastico, con la definizione delle attività di “Cittadinanza e Costituzione”, potrebbero chiamarsi Scuole delle Nazioni Unite, promotrici di diritti umani nelle loro città.
Invitiamo, quindi, tutti gli operatori di pace, cominciando da noi stessi, dagli aderenti ai punti pace di Pax Christi, a mobilitarsi per costruire la pace nella vita quotidiana e nelle nostre città spesso prigioniere di solitudini, governate dalla paura e coinvolte in progetti tribali e autoritari dove si gioca il futuro della cittadinanza. Nessuna cultura della pace è possibile se non si realizzano il disarmo delle menti, la smilitarizzazione dei cuori e dei territori, se non si promuove il cantiere della cittadinanza attiva che è fatto di buone pratiche sociali e amministrative orientate al bene comune e alla sicurezza comune, alla liberazione dalle paure, all’educazione ai conflitti per una positiva loro gestione, al fiorire di spazi e momenti di riconoscimento reciproco, di integrazione-interazione, di contemplazione e di preghiera. Nessuno ci è straniero anche perché la distanza che ci separa dallo straniero è quella stessa che ci separa da noi stessi e la nostra responsabilità di fronte a lui è quella che abbiamo verso la famiglia umana amata da Dio, verso di noi, pronti a testimoniare la profezia del Risorto che annuncia la pace e ci dice di non temere perché sarà con noi “tutti i giorni, sino alla fine del mondo” (Mt 28.20).

Don Renato Sacco: “Non c’era posto per loro…”

“Sarà un caso”, chiosa il 14 maggio don Renato Sacco, parroco a Cesara (Verbania) e membro di Pax Christi, “ma proprio mentre il Papa era a Betlemme e risuonavano le parole del Vangelo di Luca ‘non c’era posto per loro nell’albergo’, in Italia risuonavano le parole di Bossi “cominciamo a respingere, dopo si vede…”, parlando con i giornalisti a proposito delle critiche dell’ONU sui respingimenti dei barconi di immigrati, e mentre alla Camera si votava la fiducia sui maxiemendamenti al ddl sicurezza.

Nsc: la Chiesa si mobiliti in massa

“ Oggi e domani la Camera dei Deputati con ogni probabilità approverà, ricorrendo al voto di fiducia, l’incostituzionale ddl sulla sicurezza. In questi giorni centinaia di persone sono state raccolte in mare e riportate sulle coste di provenienza. Le informazioni sulle inumane condizioni di detenzione nei campi in Libia sono state descritte dalla stampa e nessuno può fare finta di non sapere dove finiranno quanti vengono riportati indietro. L’ONU ed il Consiglio d’Europa stanno intervenendo invano.
Questa situazione interpella direttamente la coscienza cristiana. Mi sembra che ogni credente nel Vangelo di Gesù sia tenuto a denunciare ad alta voce e ad operare concretamente contro i partiti e gli uomini di governo che sono protagonisti di questa vergognosa marcia verso il razzismo e che sono espressione dei peggiori istinti xenofobi che sono presenti nella nostra società. Sono gli stessi personaggi che pretendono di difendere i valori della “civiltà cristiana e occidentale” e che esprimono in ogni occasione un untuoso ossequio alle autorità ecclesiastiche.
Nel mondo cattolico stanno emergendo sempre di più critiche, anche forti, sui provvedimenti legislativi e amministrativi di queste settimane. Mi sembra però che la nostra Chiesa debba organizzare una ben maggiore mobilitazione di massa contro la legge in discussione e contro i respingimenti in Libia. Non riesco a capire come ci possa essere stata una mobilitazione vastissima e di lunga durata (del tutto opinabile e da noi criticata) sul caso Englaro e non ci sia ora un impegno altrettanto forte e generalizzato in questa situazione”.

CdB di Cassano: fermiamo i nuovi barbari

La dolorosa vicenda della “deportazione” in Libia oltre 200 fratelli e sorelle immigrati, tra i quali 40 donne (3 incinte) e 3 bambini, interroga drammaticamente le nostre coscienze di credenti e di cittadini di un paese sempre più pervaso da “incursioni” razziste che violano i più elementari diritti umani. Quel che maggiormente preoccupa non sono soltanto le scelte inique di certa politica “becera” che sta progressivamente alterando gli equilibri del nostro vivere civile, quanto piuttosto il “silenzio” dei tanti, a cominciare da pezzi importanti della società civile, che non si mobilitano contro questa orribile deriva autoritaria. Non basta più semplicemente indignarsi, occorre agire, con gli strumenti della democrazia, per fermare i “nuovi barbari” che stanno riproponendo foschi scenari di intolleranza che mai più avremmo voluto vedere. Ci hanno inoltre profondamente colpito le parole dei marinai che accompagnavano questi disperati nei luoghi di provenienza. La “vergogna” di aver compiuto, loro malgrado, un atto ingiusto in conseguenza dell’adempimento ad un ordine ricevuto. Ad essi vorremmo ricordare che anni fa un sacerdote, tal don Lorenzo Milani, scrisse queste parole: “L’obbedienza non è più una virtù”.

Raniero La Valle: “Una pagina infamante”

Di tragedia parla Raniero La Valle leader di Sinistra Cristiana, oggi candidato alle elezioni europee per la lista Rifondazione Comunista‑Comunisti Italiani (circoscrizione Centro), in un articolo apparso su Liberazione (10-11/5): “Quello che è avvenuto scrive una pagina d’infamia nella storia del nostro Paese”. “Ora deve essere chiaro che questa infamia non ricade tanto su chi ha eseguito gli ordini, e non è nemmeno solo della Lega, che quegli ordini ha voluto e impartito, ma ricade su tutto il Paese”: perché la Lega, continua La Valle, esprime “al massimo grado la politica italiana, non nella sua continuità, ma nel suo cambiamento, avendo lo stesso ministro Maroni definito come una svolta storica l’eroica operazione navale del Mediterraneo”. “Per questo cambiamento – continua il leader di Sinistra Cristiana – bisogna trovare una parola nuova, tanto è nuova una politica che nell’Italia repubblicana mai aveva tirato su qualcuno per schiacciarlo, mai aveva atrocemente ingannato degli infelici che credevano di essere stati salvati, mai aveva infierito su uomini vinti, donne incinte e bambini innocenti reduci da cinque giorni d’inferno senza acqua né cibo su barconi diretti ma mai arrivati in Europa. La parola che definisce questa nuova fase della politica italiana (che non si attua solo per mare) è ‘crudelizzazione’. Vuol dire che la nostra politica non solo è inadeguata, fatua ed ingiusta, ma sta diventando crudele”. “E sta diventando crudele – conclude La Valle – proprio perché è inadeguata, frivola ed ingiusta: perché lascia che l’Italia si impoverisca senza fare niente, perché non difende e nemmeno prende in considerazione il diritto al lavoro, perché non gliene importa niente di chi non ha casa, perché promette miracoli ai terremotati ma i soldi non li dà perché li aspetta dalle lotterie e non dalle tasse, perché butta fuori dalle scuole che non sono dell’obbligo i giovani clandestini preferendoli sui marciapiedi piuttosto che in e tutto ciò crea un senso di insicurezza e di malessere nei cittadini, fomenta l’idea che sia dato agli stranieri quello che loro hanno perduto e scatena la guerra tra poveri”.

Jrs: “Minati i valori fondanti dell’Europa”

Infrange le normative sul diritto d’asilo e li riconsegna alle mani dei persecutori.- “Il trasferimento forzato di 227 uomini e donne in Libia da parte delle autorità italiane è assolutamente inaccettabile”, dichiara il Jesuit Refugee Service (JRS). “Senza possibilità di presentare una richiesta d’asilo, questi migranti rischiano ora maltrattamenti o di essere rispediti tra le braccia dei loro persecutori”, si legge in una nota diramata giovedì dall’organizzazione. Il 6 maggio, tre barconi che portavano 227 migranti – tra cui 40 donne – sono stati salvati da un mercantile e portati dalle vedette della Guardia Costiera italiana in acque maltesi, a 35 miglia da Lampedusa. La mattina del 7 maggio sono stati quindi riportati in Libia a bordo di tre motovedette italiane.
“Salutata come una svolta storica nella lotta contro le migrazioni clandestine – continua la nota – , questa decisione ignora totalmente il fatto che molte persone che affrontano la traversata hanno davvero bisogno di protezione internazionale”. Secondo il JRS, “a questi migranti dovrebbe essere data la possibilità di richiedere asilo e di veder rispettata la loro necessità di protezione internazionale”. Del 75% dei migranti che ha percorso lo stesso tragitto nel Mediterraneo verso l’Italia nel 2008 e ha presentato richiesta di asilo, il 50% ha ricevuto qualche tipo di protezione internazionale, a dimostrazione che “un significativo numero di migranti che attraversa il mare ha bisogno di protezione”. Poiché la politica dell’Unione Europea sta inasprendo le vie per le migrazioni legali, i migranti si trovano costretti sempre più a utilizzare “vie irregolari ed estremamente pericolose per arrivare in Europa”.
La Libia non offre ai migranti alcun tipo di protezione perché non ha mai sottoscritto la Convenzione ONU di Ginevra del 1951 e non ha alcun sistema efficace di asilo. “I migranti e i rifugiati a Malta – continua il JRS – descrivono ripetutamente di essere stati detenuti per mesi in Libia, in condizioni terribili, e gravemente maltrattati per aver infranto le norme sull’immigrazione”. Le loro testimonianze, ricorda il JRS, sono confe
rmate da numerosi rapporti dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e di Amnesty International. L’agenzia dei gesuiti denuncia poi che “le azioni dell’Italia infrangono la Convenzione Europea per i Diritti Umani, il diritto di asilo” “e le Direttive per la Procedura di Asilo”.
“Tutti gli Stati europei sono vincolati da queste leggi sui diritti umani”, dichiara. In questa situazione, il JRS esorta gli Stati membri dell’Unione Europa ad assicurare che “a tutti i richiedenti asilo che si trovino nella loro effettiva giurisdizione sia permesso di accedere a un territorio in cui possano richiedere asilo, così che tutti coloro che hanno bisogno di protezione possano essere identificati e veder garantita la propria difesa”. Allo stesso modo, chiede che “nessuno sia rispedito in un Paese in cui potrebbe subire gravi violazioni dei diritti umani”.

Tavolo Asilo: stracciato il diritto internazionale

Non hanno naturalmente mancato di far sentire la propria voce anche tutte quelle associazioni, soprattutto laiche, che lavorano a contatto con i migranti. “Le modalità alla base dell’operazione, svolta in aperta violazione delle norme che tutelano i richiedenti asilo dal refoulement (art. 33 della Convenzione di Ginevra e art. 3 della Convenzione europea dei diritti umani) non sono note”, hanno scritto, in un comunicato del 7 maggio, gli enti di tutela dei rifugiati riuniti nel Tavolo Asilo (tra cui figurano Amnesty International Italia, Arci, Centro Astalli) che denunciano come la gran parte dei contenuti concreti delle intese tra Italia e Libia in materia di immigrazione – anche dopo la firma e la ratifica, lo scorso febbraio, dell’accordo quadro da parte del Parlamento – resti inaccessibile alla società civile.

Tavola della Pace: “Offesi e feriti”

“La decisione del governo italiano di respingere i disperati che fuggono dalla guerra, dalle torture, dalla fame e dalla miseria ci fa male, ci offende e ci ferisce”, hanno fatto eco i partecipanti al meeting nazionale ‘Per un’Europa di Pace’, svoltosi ad Assisi dall’8 al 10 maggio scorsi per iniziativa della Tavola della Pace e del Coordinamento nazionale degli Enti locali per la pace e i diritti umani. “Come italiani, proviamo vergogna. Nessun governo si può permettere di venire meno ai doveri di solidarietà, di accoglienza e di difesa dei diritti umani che sono iscritti nella nostra carta Costituzionale e nel diritto internazionale dei diritti umani. Nessun governo può togliere a nessuno il diritto al cibo, alla salute, all’istruzione, ad un lavoro dignitoso”. “Questi fatti – hanno concluso – ci offendono e ci feriscono. Così come ci sentiamo offesi e feriti da tutte quelle leggi, quei provvedimenti, quelle dichiarazioni, quelle parole velenose che stanno alimentando nel nostro Paese un clima di violenza, discriminazioni, intolleranza, insofferenza, razzismo, divisione e insicurezza”.

Arci: sciopero contro la barbarie

Il 13 maggio scorso dirigenti e operatori dell’Arci hanno iniziato uno sciopero della fame per protestare contro il ‘Pacchetto Sicurezza’ e “la barbarie dei respingimenti in mare” (ogni martedì, mercoledì e giovedì delle prossime settimane, dalle 11 alle 16, in piazza Montecitorio sit in di protesta). “L’Arci – si legge nel comunicato diffuso alla vigilia dell’iniziativa – invita gli esponenti delle forze politiche di opposizione e tutte le cittadine e i cittadini che non vogliono arrendersi al degrado politico, civile e morale determinato dall’escalation del razzismo di Stato, ad aderire allo sciopero della fame: perché il ddl sicurezza sia ritirato; perché si ponga immediatamente fine ai respingimenti verso la Libia, Paese che non ha ratificato la convenzione di Ginevra sui rifugiati, di centinaia di donne, uomini e bambini prelevati in mare e consegnati a un futuro di morte, di violenza, di detenzione”.

Cattolici, evangelici e ortodossi rinnovano il loro impegno al dialogo e insieme lanciano un appello alla solidarietà con gli immigrati

I partecipanti al IV Convegno ecumenico nazionale, svoltosi il 7 e l’8 maggio a Siracusa, oltre a ribadire l’importanza del dialogo tra cristiani, hanno anche lanciato un appello alla solidarietà: cattolici, evangelici ed ortodossi d’Italia all’unanimità hanno firmato un documento in cui tra l’altro si legge: “Esprimiamo la nostra preoccupazione vivissima per norme e provvedimenti nei confronti degli immigrati e dei rifugiati, che rischiano di violare fondamentali diritti umani e di negare elementari principi di umanità, di tutela dell’infanzia e dell’unità familiare, di convivenza negli spazi pubblici e di libertà di espressione della propria tradizione religiosa”. Il Convegno, dal titolo “Guai a me se non annuncio il Vangelo”, è stato dedicato alla figura dell’apostolo Paolo, ma ha affrontato anche temi di attualità come l’immigrazione, i diritti umani, le sfide ambientali, le nuove povertà.
Organizzato dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), dalla Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo della Conferenza episcopale italiana (CEI), dalla Sacra arcidiocesi ortodossa d’Italia e Malta del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, ha visto la partecipazione, tra gli altri, di: Domenico Maselli, presidente della FCEI; Letizia Tomassone, vicepresidente della FCEI; Laura Casorio, segretario esecutivo della FCEI; mons. Mariano Crociata, segretario della CEI; mons. Vincenzo Paglia, vescovo di Terni e presidente della Commissione per l’ecumenismo della CEI; il teologo valdese Paolo Ricca; padre Augustin Gheorghiou, in rappresentanza del vescovo ortodosso rumeno Siluan; padre Philip che ha portato il saluto dell’Amministrazione apostolica del patriarcato russo in Italia; il preside della Facoltà pentecostale di scienze religiose, il pastore Carmine Napolitano.
Insieme hanno rinnovato l’impegno a “vivere ecumenicamente il mandato all’annuncio del Vangelo in una società che riconosciamo sempre più multiculturale e quindi pluralista anche sotto il profilo religioso”. E, richiamando il tema dell’incontro, “nel nome della vocazione alla libertà contenuta nella predicazione dell’apostolo Paolo, rinnoviamo il nostro impegno per la pace, la giustizia e la salvaguardia del creato che costituisce un aspetto centrale e irrinunciabile della nostra fede cristiana”.

Il “Pacchetto Sicurezza” mette a rischio i diritti fondamentali della persona

Documento sottoscritto da: Azione Cattolica Ambrosiana, Acli, Comunità di S.Egidio, Gruppo Promozione Donna, Movimento dei Focolari
In merito al “pacchetto sicurezza” e alle norme relative all’immigrazione e preoccupati per il concreto rischio di vedere messi in discussione alcuni tra i diritti umani fondamentali, proponiamo le seguenti riflessioni. È per noi già fonte di perplessità ricorrere all’uso del termine “sicurezza” mettendolo in relazione alle modifiche delle norme sui ricongiungimenti familiari e sul riconoscimento dello status di rifugiato politico: quasi che queste regole possano avere a che fare con la sicurezza dei cittadini e non, invece, essere considerate provvedimenti di un eventuale “pacchetto famiglia”. La lunga serie di divieti, poi, declinati nel Disegno di legge n°733/08, sembra far prevalere una logica repressiva mirante a “rendere la vita impossibile” allo straniero che si trovi in situazione di irregolarità dal punto di vista dell’ingresso o del soggiorno.
Rispetto alle proposte contenute nel pacchetto sicurezza almeno tre sono gli interrogativi che riteniamo vadano posti al legislatore e all’opinione pubblica.
a) Nel Disegno di legge non viene indicata nessuna norma volta a ridurre il fenomeno dell’irregolarità. Questa, nel nostro Paese, ha raggiunto il numero di 650.000 persone, non solo per la elevata pressione migratoria, ma soprattutto per l’irrazionalità dell’attuale sistema di regolazione1. Su questo punto, occorre superare una “grande ipoc
risia” secondo la quale si può fare ingresso in Italia solo dopo la stipula del contratto di lavoro, un “dopo” che rischia di non avvenire mai o troppo tardi. Forse va studiato un diverso meccanismo per far incontrare domanda e offerta una volta giunti nel nostro Paese. Fino a che questo nodo non sarà sciolto, gli interessi convergenti della pressione migratoria e del sistema impresefamiglie faranno sì che l’Italia si riempia di lavoratori irregolari, in attesa per anni di “essere regolarizzati” (previo ritorno in patria) con il farraginoso sistema dei flussi.
b) Le norme sembrano ignorare che l’ingresso e il soggiorno irregolari non sono semplicisticamente catalogabili come forme di “illegalità”: chiunque, per il solo fatto di essere una persona umana, porta con sé un bagaglio minimo di diritti, che devono essere rispettati; diritti scritti a chiare lettere nell’art. 2 del Testo Unico dell’immigrazione: il diritto alla salute, a un minimo di assistenza sociale, alla scuola per i figli, a difendersi in giudizio contro un eventuale provvedimento di espulsione ecc. Il divieto di matrimonio (non quelli fasulli ovviamente), il divieto di accedere comunque ai servizi sociali o addirittura di denunciare allo stato civile la nascita del figlio, così come le altre norme richiamate, non paiono per nulla rispettose di tale principio.
c) Infine, queste norme – come tutte quelle dettate da esigenze di immagine e di consenso – non appaiono immuni da elementi di irrazionalità. Se la “penalizzazione” dell’ingresso illegale venisse davvero applicata, si prospetterebbero in Italia 650.000 processi, volti a comminare sanzioni pecuniarie che nessuno straniero vorrà o potrà pagare, e che comunque si svolgeranno a totale carico dei contribuenti, ivi compresa l’assistenza legale agli imputati mediante il gratuito patrocinio. Terminati detti processi, gli impedimenti all’espulsione materiale dello straniero resterebbero esattamente quelli che erano prima: difficoltà di trovare un mezzo per il rimpatrio, di reperire le somme per pagare il mezzo, di concordare il rimpatrio con lo Stato di appartenenza. Aggiungiamo che, nel frattempo, i “colpevoli” saranno entrati in contatto con migliaia di pubblici ufficiali (medici, infermieri, insegnanti, ecc.) i quali dovrebbero presentare denuncia e che, se non lo facessero, rischierebbero, a loro volta, un processo per violazione dell’art. 361 codice penale. Quel che ne risulta è una illogica moltiplicazione di attività giudiziarie senza che la questione della irregolarità possa con questo fare un passo neppure minimo verso la soluzione. A meno che non si varino norme dal valore simbolico, nella tacita speranza che le stesse non vengano effettivamente rispettate e fatte applicare dai giudici: con il risultato di infliggere un colpo davvero mortale al già debole senso dello Stato e della legalità. Infine, nei confronti della pressione migratoria, l’effetto “dissuasivo” dell’una o dell’altra legge è sempre stato praticamente nullo, come ben dimostra la vicenda di questi mesi, quando un progressivo irrigidimento delle norme ha coinciso con un aumento vertiginoso degli sbarchi. Di fronte a questa situazioni, non ci appelliamo al pur importante dovere comune di solidarietà, ma alla ricerca di soluzioni efficienti e razionali quale dovere primario della politica. L’esasperazione della logica repressiva (per esempio rinchiudere nei CIE, per mesi e
mesi, 650.000 persone in attesa di rimpatrio) non è né efficiente né razionale, perché nessun fenomeno complesso può essere regolato in quella sola logica. Occorre invece porre in essere un’intelligente politica di incentivi al rispetto della regolarità, che preveda, ad esempio, il prolungamento del permesso di soggiorno per chi dimostra stabilità di occupazione e l’abolizione del divieto di reingresso per chi ottempera all’espulsione e regolarizza la sua posizione. Per fare questo occorre però che venga messa da parte la pretesa di leggere qualsiasi fenomeno sociale nella sola ottica della sicurezza e che si mettano in atto anche quegli interventi promozionali, di sostegno e di integrazione, quali vie positive e lungimiranti per edificare nel tempo una società inevitabilmente multietnica e multiculturale.