Quale democrazia in Italia. Un’inchiesta de l’Unità

1/ Libertà Vigilata
di Vittorio Emiliani

Silvio Berlusconi non ha nemmeno bisogno di riformare in senso presidenzialista e decisionista le norme e le regole esistenti. La maggioranza vasta e, per ora, supina di cui dispone gli consente sin da ora una strategia di rapida devitalizzazione della democrazia. Il Parlamento è, nei fatti, annichilito e come commissariato attraverso l’uso a getto continuo dei decreti-legge (accoppiati ai voti di fiducia). L’articolo 77 della Costituzione li consente soltanto per i «casi straordinari di necessità e d’urgenza». Se ne sono presentati in questa legislatura? Sì, quelli proposti dalla crisi economica planetaria e però su di essi Berlusconi ha preferito stare a guardare sperando di salvarsi così. Ha usato la decretazione d’urgenza per misure ordinarie espropriando le Camere.

All’attuale premier poco importa di ciò che preesisteva al suo dominio. Quindi ci cammina sopra. Non ha tempo da perdere, lui. Deve governare, lui. Così le garanzie formali e sostanziali, poste a difesa dell’interesse dei cittadini vengono tranciate di netto, col pretesto di «semplificare», di eliminare passaggi burocratici. Questi, in realtà, spesso sono contrappesi e controlli messi lì al fine di evitare scorciatoie pericolose per la democrazia.

Berlusconi diffida profondamente del Parlamento e delle sue funzioni di controllo dell’esecutivo. Ma diffida degli stessi ministri e Ministeri. Difatti, appena può, nomina commissari e supercommissari, come fece, con risultati pratici assai mediocri, nel periodo 2002-2006. Di un supercommissario si fida in particolare: del sottosegretario alla Protezione civile, Guido Bertolaso, che, come lui, coltiva un’idea sbrigativa, monocratica e «militare», del potere.

Per il post-terremoto abruzzese ci ha messo direttamente la faccia straparlando di tempi brevissimi e insieme di «new town» (salvo poi smentire sé stesso), di passaggio diretto dalle tende alle case in pochissimi mesi. Un cumulo di demagogiche sciocchezze che hanno rallentato l’approntamento di misure concrete e ben mirate. Presuntuoso e pasticcione.

Ha, di fatto, «commissariato», grazie alla remissività di Bondi (e non solo), i Beni culturali, le Soprintendenze. Ha tentato lo stesso giochino con gli enti locali, ma gli è andata male. Però ci ha provato. Idem col Piano-casa e le Regioni. Con la Lega che sta lì a guardare. Ora si appresta a varare una raffica di commissari alle grandi opere. Così pagheremo fior di stipendi ai commissari per risolvere poco o nulla. Berlusconi non vuole nessun «mediatore» fra la sua figura di supercommissario e il popolo. Così facendo, ottiene due risultati disastrosi: umilia le istituzioni democratiche e combina molto meno di un efficiente, operante governo democratico.

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2/ Primo: asservire il parlamento
di Andrea Carugati

Berlusconi e il Parlamento. Uno dei tanti temi bollenti di queste settimane, dopo che il premier l’ha definito «pletorico» e «inutile». Una battaglia, quella del Cavaliere contro le Camere, che è uno dei leit motiv della sua carriera di politico-impolitico. Non a caso due mesi fa era arrivato a proporre il voto per i soli capigruppo, per rendere ancora più inutili, agli occhi dell’opinione pubblica, gli altri 900 e rotti onorevoli e senatori. Il suo attuale governo è uno di quelli che nella storia repubblicana si è più adoperato per svilire il ruolo del Parlamento, quello di fare leggi, attraverso l’abuso di decreti-legge e voti di fiducia. E non è un caso che l’unica riforma di un certo peso approvata in questa legislatura, il federalismo fiscale, figlio di un serrato lavoro in aula e commissione tra maggioranza (in realtà solo la Lega) e opposizione, sia stata vissuta dal Cavaliere come una cambiale da pagare al Carroccio.

E non è un caso che Fini, nel difendere le Camere dal premier, abbia ricordato proprio l’iter del federalismo che «smentisce la tesi dell’inevitabile tramonto del ruolo del Parlamento come legislatore». Ma la tesi di Fini, in questo come in altri campi, non è la linea del Pdl. Lo dicono i numeri: 18 le fiducie in un solo anno di legislatura. A luglio 2008 erano già 4. Tanto da suscitare l’intervento di Napolitano, che sullo stesso tema aveva bacchettato Prodi. Appello inascoltato. Ben 35 i decreti-legge approvati dal Cdm in un anno, di cui 33 approvati dalle Camere, a fronte di sole 7 proposte di legge parlamentari approvate. «Si legifera in pratica solo con i decreti», spiega Guido Melis, deputato Pd e docente di Storia delle istituzioni politiche alla Sapienza: «Berlusconi considera i suoi deputati come ascari: devono obbedire». «Ma questo trend dura dagli anni ‘70 – spiega invece Stefano Ceccanti, docente di Diritto costituzionale alla Sapienza e senatore Pd – . È vero che con questa maggioranza schiacciante si potrebbe evitare l’abuso di voti di fiducia e di decreti, ma i regolamenti parlamentari sono inadeguati».

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3/ Bavaglio Class Action
di Bianca Di Giovanni

Doveva essere l’arma dei consumatori, ma con Silvio Berlusconi è diventato un inutile orpello. È la class action, l’azione collettiva, quell’istituto giuridico che negli Stati Uniti consente battaglie leggendarie di semplici cittadini contro le grandi Corporation fin dagli anni ‘60. Il testo voluto dal governo ha così depotenziato la misura che è assai probabile che le cause intentate dai consumatori si affastelleranno sulle scrivanie dei giudici e resteranno lì.

Le associazioni dei consumatori hanno bollato la proposta come «inapplicabile, dannosa per i consumatori, avulsa dal Codice del Consumo e contraria alle indicazioni provenienti dall’Ue». Bocciatura totale. Ma cosa ha fatto esattamente il governo? Prima manovra: no alla retroattività. Si consente di utilizzare il nuovo strumento solo per gli illeciti commessi dopo l’entrata in vigore della legge, e non per tutti quelli ancora non prescritti. In un solo colpo si salvano i responsabili dei crack Cirio e Parmalat e anche quelli che hanno lasciato con un mucchio di carte in mano i piccoli azionisti Alitalia. ma la beffa non finisce qui. Il testo prevede anche pesanti sanzioni per i cittadini che avessero presentato una domanda giudicata poi inammissibile. Insomma, se manca il «luogo a procedere i cittadini pagano. Una vera minaccia contro chi intende ribellarsi per comportamenti fraudeolenti e vessatori.

Ancora. la possibilità di ricorrere è limitata a solo una decina di tribunali in tutto il territorio. Napoli dovrà coprire gran parte del mezzogiorno, Roma il Lazio, l’Abruzzo, l’Umbria e le Marche, Venezia anche il Trentino e il Friuli Venezia Giulia. Insomma, solo provare a far causa è un’impresa ardua. D’altronde si capì fin da quando fu approvata la prima stesura, con il governo Prodi, l’aria che tirava. Confindustria parlò di «atto ostile».

Non fu così una trentina d’anni fa in California. La class action più famosa è rimasta quella contro la Pacific Gas and Electric Company, che portò nelle tasche di 360 cittadini 333 milioni di dollari. L’accusa (provata) era pesantissima: inquinamento delle falde acquifere e rischio tumore per gli abitanti. Ci volle una donna coraggiosa, Erin Brockovich, per ottenere giustizia. In Italia non basterà né il coraggio né la voglia di lottare.

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4/ Il potere parallelo di Mr. Bertolaso
di Claudia Fusati

Fa tutto lei, la PC, entità su
periore che tutto sovrasta e tutto comprende. Dalle scelte in apparenza più insignificanti, come organizzare cresime, lauree alla memoria e i seggi elettorali per le europee nelle tende blu con scritto sopra Protezione Civile (ma il voto non è competenza del Ministero dell’Interno?). A quelle più istituzionali, per cui sindaco e presidente della Provincia sono diventati esecutori di decisioni prese dalla PC. È lei, la Protezione Civile, anzi lui, super Guido Bertolaso che ne è il n°1, che decide chi può entrare nelle tendopoli; che i 63 mila sfollati devono vivere per mesi in tende e alberghi anzichè in container; che i terreni vanno espropriati per costruirci sopra le venti new town e così via. In mezzo ci sta tutta la vita quotidiana di una comunità appaltata, in nome dell’emergenza, alla Protezione Civile.

Ecco, la gestione del post terremoto in Abruzzo è un esempio eccellente di cosa voglia dire sottrarre potere agli enti locali, specchio di uno stato centralizzatore che via via rosicchia autonomia a chi invece, per dettato costituzionale, dovrebbe averne sempre di più. Il fatto è che negli ultimi anni la Protezione Civile è diventata un governo ombra in grado di sostituirsi da un momento all’altro alla complessa struttura dello Stato. Una relazione della Cgil Funzione Pubblica del 15 aprile spiega bene il passaggio dalla PC «del fare», quella che si dovrebbe occupare dei rischi naturali e calamitosi, alla PC «che prevarica» che esercita «una violenza governamentale» e «una dittatura governativa». Il salto di qualità avviene nel dicembre 2001 (legge 401) che affida alla PC oltre i consueti compiti (con il primo governo Prodi e la gestione di Franco Barberi arrivano a un ottimo livello di responsabilizzazione degli enti locali), i cosiddetti «grandi eventi». Tutto può diventare, ed è diventato, Grande Evento, dalla ristrutturazione della cattedrale di Noto ai funerali di Wojtyla, dai Mondiali di Nuoto ai Giochi del Mediterraneo.

Quella norma del 2001 ha dato alla PC «cinque formidabili strumenti»: la gestione dei Grandi Eventi; decidere cosa è emergenza; denaro pronto cassa (tramite la Cassa Depositi e Prestiti), il potere di ordinanza e i decreti legislativi. Per questo l’emergenza rifiuti a Napoli ha potuto produrre «un regime legislativo diverso e parallelo a quello ordinario». Che adesso è sotto inchiesta. Dal principio di sussidiarietà si è passati a quello della sostituzione. Ogni emergenza sostituisce un pezzetto di potere. «Contro la burocrazia, per fare meglio e prima» è il principio guida di super Guido Bertolaso, l’uomo dell’efficienza. Peccato che lo stato parallelo abbia saputo produrre qualcosa come 10 mila commissari straordinari nominati a guida delle varie emergenze, che ognuno di loro guadagni il 40-60% in più rispetto al nomale compenso di amministratore. Peccato, soprattutto, che queste emergenze non finiscano mai.