MATERNITA’ DISPREZZATE. Lo stato che ruba i bambini

di CASA DELLE DONNE DI PESARO

Qualche giorno fa, dal sito www.donneconoscenzastorica.it, Franca Fortunato denunciava la crudeltà e l’ipocrisia del “pacchetto sicurezza” approvato alla Camera e invitava a chiamare le cose col loro nome. Si chiedeva anche se le donne italiane potessero condividere quelle norme, specie nella parte che impedisce alle immigrate senza permesso di soggiorno di registrare all’anagrafe i figli nati.

Nelle maglie di questo testo di legge, non immediatamente decifrabile e nebuloso se non interpretato in connessione con altre norme preesistenti, si possono infatti prefigurare situazioni gravi ed abnormi: rischio per la salute delle donne immigrate, che eviteranno di partorire nelle strutture sanitarie, bambini che diventeranno invisibili, fino alla situazione estrema della loro adottabilità perché considerati in stato di abbandono.

La questione ci riguarda e vogliamo prendere parola. La norma che rende possibile sottrarre i figli alle madri immigrate clandestine è agghiacciante. Non possiamo non ricordare che quella pratica è stata tristemente usata dalla dittatura argentina contro le desaparecidas, e, in tempi appena più lontani, dal nazionalsocialismo nei confronti delle donne slave, cui venivano rubati i figli dall’aspetto ariano. Figli rubati dallo stato per dargli un’altra identità. Con quella norma l’Italia non è più un paese civile.

Da sola, quella norma fa luce sulla insensatezza e mostruosità dell’intero “pacchetto sicurezza” che crea il reato di clandestinità. Se andiamo alla radice delle cose, vediamo che il rapporto madre-figlia/o è il legame alla base della vita, un diritto naturale, al di sopra di ogni legge. La maternità è il consenso alla nuova vita e accompagna la nascita prima e dopo il parto; le madri nutrono la vita e insegnano la parola, ci inseriscono nel mondo in un rapporto di fiducia e amore.

La legge che si vuole introdurre spezza con disprezzo questo vincolo e in ciò manifesta apertamente la tara nascosta dei rapporti di potere patriarcali: la riduzione delle donne a cose. Tuttavia quella norma non colpisce solo le madri immigrate, poiché è contro le donne, colpisce anche noi, cittadine italiane e diventa anche per noi una sottrazione di figli e figlie, in senso simbolico, realissimo. I nostri figli ci vengono sottratti perché si addita loro un codice sociale che fa a pugni con la pratica relazionale della maternità, perché vengono risucchiati in un ordine simbolico di sopraffazione e morte.

Non vogliamo più sopportare tutta questa violenza, ma affermare pubblicamente ciò che sappiamo. La nostra esperienza ci insegna che gli esseri umani vivono in relazioni, in reciproca dipendenza e che siamo liberi solo in questa interdipendenza; è importante riconoscere ed elaborare i limiti, senza cancellare l’altro. Questo, e non la competizione esasperata e la conflittualità distruttiva, è il paradigma della convivenza e l’orizzonte di pace in cui vogliamo far crescere i nostri figli e figlie. Esiste un problema di educazione distorta alla mascolinità, di cui gli uomini debbono farsi carico.

I luoghi di formazione della volontà politica si dimostrano sordi alle parole delle donne. I legislatori che pensano di sottrarre i figli alle madri sono innanzitutto padri indegni, corruttori dei propri figli, a cui insegnano il disprezzo per le madri e la sopraffazione come regola di vita. Le parlamentari che li seguono sono dimentiche di sé. La fomentazione della paura distorce la nostra percezione della realtà, ci distrae rispetto alle scelte pericolose che ci vengono imposte e alla possibilità di pensare forme nuove di vita insieme.