SI DELINEA UNA “TROJKA” TRA RUSSIA ED USA

di Carlo Benedetti
da www.altrenotizie.org

L’Aquila ora è lontana. Polemiche e fasti alle spalle. Le macerie sono dove erano. Le first-lady hanno fatto shopping. Berlusconi incassa. I “grandi” del mondo tornano nei loro mondi. E due di loro in particolare – i più grandi di tutti, Obama e Medvedev – si trovano a fare i conti con strategie politiche e diplomatiche che si riferiscono non più al periodo del dopo-guerrafredda, ma alle strutture dei nuovi orizzonti. C’è, infatti, un rinnovamento delle classi dirigenti che tocca Washington e Mosca e del quale bisogna tener conto. L’americano ha formato da poco la sua squadra e deve risolvere i danni commessi da quella Rice che si presentava come esperta dell’Est; Medvedev, pur se già insediato da tempo al Cremlino, deve egualmente rivedere molte strategie inquinate dalla gestione di Putin.

Compiti difficili per questi presidenti che appartengono alla nuova generazione. Obama è del 1961, Medvedev del 1965, e tutti e due hanno in tasca una laurea in giurisprudenza. Alle spalle hanno politiche segnate da altre personalità. Un Bush affarista e un Putin mediatore del trapasso da un sistema all’altro. Chiaro, quindi, l’atteggiamento pragmatico dimostrato sia al tavolo comune di Mosca che in quello, allargato, dell’Aquila.

Il Presidente americano ha dovuto superare non pochi ostacoli prima di entrare in sintonia con il nuovo Cremlino. Era partito basandosi sulle tradizionali concezioni relative ai sistemi direzionali occidentali. Vedendo in Putin un erede diretto dell’Urss e in Medvdedev un moderno riformatore. E così è partito all’attacco con quella espressione rimasta ben fissa nel dialogo est-ovest. E cioè quella relativa ad un Putin ancora coinvolto nelle avventure politiche e teoriche dei vecchi tempi. Poi, nel giro di pochissimi giorni, la conversione. Obama ha scoperto la scorza dura di Putin vedendo nello scenario politico dell’uomo del governo russo un catalogo complesso di convinzioni e sentimenti. E di conseguenza c’è stata la scoperta di Putin. Una sorta di fulminazione sulla via tra Mosca e l’Aquila. Che gli osservatori più attenti paragonano alla realtà di quella “aquila bicipite” che è l’emblema della Russia ed è, allo stesso tempo, la prova-provata del dualismo di potere che esiste a Mosca.

Un Obama, quindi, obbligato a fare la spola da un tavolo all’altro. Con Medvedev nelle austere sale del Cremlino e con un Putin formato country che ha organizzato – nella residenza ufficiale di Novo Ogarjovo – un ricevimento-colloquio (due ore, trenta minuti più del previsto) in perfetto stile russo: samovar e canzoni popolari.

I discorsi sono stati quelli relativi all’installazione da parte americana dello scudo antimissilistico in Polonia e Repubblica Ceca. E si è detto che se scomparisse la minaccia iraniana, scomparirebbe anche la necessità dello scudo. Ma Obama, in questo, non si è sbilanciato. Pur se in un’intervista alla Cnn, ha dichiarato che gli Usa “non hanno alcuna intenzione di dare il loro via libera ad Israele per un eventuale attacco all’Iran”. “Credo – ha aggiunto – che non potrei essere più chiaro di così”. È stata praticamente una smentita ad una recente dichiarazione del vicepresidente Joe Biden che sembrava lasciare intendere il contrario.

In definitiva Putin ed Obama hanno trovato parole comuni cariche di pragmatismo. Con battute distensive. Putin, ad esempio, ha dichiarato: “Ci sono stati senza dubbio anni di successi per le nostre relazioni bilaterali, ma vi sono stati anche giorni grigi e anche contrapposizioni”. Ma al nome di Obama, ha aggiunto, “noi associamo le speranze di uno sviluppo dei rapporti russo-americani”. A sua volta l’americano ha osservato che la Russia e gli Usa non possono risolvere tutti i problemi, ma ora vi è “la felice possibilità di porre i rapporti russo-americani su una base salda”: non siamo “antagonisti” ha poi ripetuto nel discorso agli studenti russi della facoltà d’economia.

E con questa rinuncia ad essere antagonisti Obama ha messo una pietra su quella affermazione fatta all’inizio della sua campagna di Russia che ha, quindi, corretto con una dichiarazione in favore di Putin visto come “uomo del presente” che tiene “gli occhi puntati sul futuro”. Gli analisti russi hanno notato che una frase del genere poteva essere solo il frutto delle conoscenze di storia russa da parte degli sherpa americani. Una rilettura, in sintesi, di quanto diceva il grande storico russo Vassilij Kljucevskij che aveva osservato che il passato è passato solo quando porta via con se le conseguenze del periodo storico. E Obama, sicuramente, ha compreso oggi che Putin sta cercando di consegnare agli archivi le pesanti eredità di un passato da non ripetere.

Più facile e lineare, per Obama, il rapporto con Medvedev, esponente cosmopolita, mondano, colto. Ma nello stesso tempo si è visto che la “dvojka” russa funziona e la parte americana non ha nessuna intenzione di proporre alternative. Su questa mole di problemi e di aspettative Obama ha voluto poi aggiungere una serie di domande agli studenti russi della facoltà d’economia. Ha chiesto loro: “Che futuro avrà la Russia? Che futuro avranno la Russia e l’America insieme? Quale ordine rimpiazzerà la guerra fredda?” E poi si è dato una risposta: “È impossibile dirlo con certezza, ma la risposta spetta alla vostra generazione. Tocca a voi decidere». E dicendo questo ha poi reso omaggio all’«eterna eredità culturale russa».

C’è stata infine la parentesi italiana. E anche qui è risultato chiaro che russi ed americani non vogliono essere più antagonisti. La Russia punta all’integrazione economica con il mondo occidentale e chiede che i suoi confini vengano rispettati. Chiede che sull’Iran si discuta e che sulla Corea del Nord prevalgano le intese. L’America punta ad un nuovo rapporto economico con Mosca e lancia segnali distensivi per il cuore dell’Europa. E pur se non esistono ricette infallibili si nota sempre più che c’è anche un mondo segnato da elementi di razionalità. Forse l’americano e i due russi stanno avviando una politica di nuovo tipo. Una “trojka” originale?