«Anche i vescovi sono diventati padri»

di Giacomo Galeazzi
da www.lastampa.it

Don Antonio Mazzi, fondatore dei centri di volontariato “Exodus”, perché ha deciso di accogliere nelle sue comunità i figli dei preti?
«Lo faccio in memoria di Giorgio, figlio di un prete, che si è suicidato dopo che per cinque anni ho provato a prendermi cura di lui. Sono centinaia in Italia i figli di sacerdoti italiani e anche di vescovi stranieri. Hanno problemi indicibili, si sentono “frutto del peccato”. Nessuno si occupa di loro, è abominevole che le colpe dei padri ricadano sui figli. Finora la Chiesa li ha ignorati, gli assistenti sociali non li hanno mai capiti».

Perché ora il Vaticano si occupa di questo universo sommerso?
«E’ un passo avanti positivo. Finalmente. Io ne ho presi diversi in comunità perché ci si occupa dei figli dei sieropositivi, dei carcerati, degli immigrati clandestini ma non di quelli di sacerdoti che continuano a svolgere il loro ministero. Sono ragazzi fragilissimi, abbandonati a loro stessi e trovano sbarrate tutte le porte non appena provano a chiedere un minimo diritto».

E’ un fenomeno diffuso?
«Sì, molto più di quanto si pensi. Ci sono anche figli di vescovi. Vivono nell’ombra ed è giusto e sacrosanto che adesso l’istituzione ecclesiastica si preoccupi di offrire minime garanzie almeno patrimoniali. Intanto noi già li prendiamo in casa, gli offriamo un lavoro, una prospettiva di vita per impedire che sprofondino nella disperazione, nell’abbandono».

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Sanatoria per i preti con figli
di Giacomo Galeazzi

C’è un problema che preoccupa il Vaticano e che rischia di moltiplicare cause milionarie come accaduto, soprattutto negli Stati Uniti, per gli abusi sessuali del clero. E’ il fenomeno, molto diffuso in Sud America ma anche in Paesi europei come l’Austria dove si registrano decine di parroci apertamente concubini, che riguarda i figli dei sacerdoti. Rispetto al passato, oggi con i riconoscimenti di paternità attraverso il Dna tutto ciò rischia di tradursi in una valanga di procedimenti giudiziari per l’inserimento della prole nell’asse ereditario dei preti-papà. La Santa Sede, perciò, sta valutando la situazione e approntando possibili contromosse legali.

Secondo quanto appreso da «La Stampa», nelle scorse settimane in Vaticano, su impulso della congregazione per il Clero retta dal cardinale brasiliano Claudio Hummes, si sono svolte alcune riunioni per studiare la complessa questione e sono stati ascoltati anche alcuni pareri esterni, come quello di Giovanni Franzoni, padre conciliare, ex abate benedettino della basilica romana di San Paolo e da anni leader delle comunità di base. La soluzione sulla quale si sta ragionando in Curia prevede una sorta di «sanatoria» sul tipo di quella utilizzata per consentire negli ultimi anni ai
pastori anglicani contrari all’ordinazione sacerdotale delle donne di entrare nella Chiesa cattolica conservando al tempo stesso il loro legame coniugale e il ministero ecclesiastico.

«I pastori anglicani e alcuni luterani sono stati ammessi e consacrati preti da Roma al ministero anche se erano sposati e conservando la vita coniugale con le rispettive mogli», spiega Franzoni. Per i preti concubini o con prole (realtà diffusissima soprattutto nei Paesi in via di sviluppo) si sta pensando a una forma di garanzia dei diritti sociali della moglie e dei figli, cioè una sorta di contratto civile che non li escluda più dall’eredità. In questo modo alla prole legittima andrebbe il nome del sacerdote-papà, il quale, a sua volta, continuerebbe a esercitare il suo ministero. Al tempo stesso, però, viene stabilita una netta separazione giuridica tra i beni del beneficio ecclesiastico del prete con prole (che, dopo la sua morte, rimarranno alla Chiesa) e i suoi beni prediali, cioè le proprietà e i guadagni personali, come per esempio lo stipendio da insegnante, sul modello di ciò che avveniva in passato nei ricchi casati quando un erede decideva di prendere i voti e si voleva tutelare il patrimonio nobiliare.

In pratica, con la «sanatoria» allo studio in Vaticano a entrare nell’asse ereditario dei figli dei preti (e in alcuni Paesi ci sono anche vescovi con prole) saranno soltanto i beni prediali e non quelli di proprietà della diocesi o della comunità ecclesiastica come tale. «E’ opportuno questo chiarimento tra proprietà ecclesiastiche e personali. Servirà a evitare l’equivoco che negli Usa ha causato tanti disastri nelle cause per abusi sessuali dei sacerdoti – osserva Gianni Gennari, teologo e prete sposato con dispensa “pro gratia” del Pontefice attraverso la mediazione del cardinale Ratzinger -. E’ ingiusto che le diocesi debbano rispondere con il loro patrimonio delle infedeltà e meschinità del loro clero, perciò serve distinguere i beni della parrocchia da quelli di preti che non si sono assunti le loro responsabilità davanti agli uomini, alla Chiesa, a Dio e soprattutto alle donne che hanno illecitamente coinvolto nella loro infedeltà».

Giusto, aggiunge Gennari, «riconoscere e tutelare i diritti delle donne e dei figli nati da rapporti illegittimi», ma a ciò andrebbe aggiunta «la possibilità per il vescovo o la Santa Sede, in virtù del carattere indelebile del presbiterato, di ammettere a una forma di ministero ecclesiastico i preti dispensati che abbiano dato prova di maturità umana e cristiana nella comunità». I preti sposati di rito orientale sono alcune migliaia, ma per i preti di rito latino ciò resta un tabù.