Pensieri dall’Aquila

di Cesarina Evangelista
testo giunto tramite e-mail

Qualche sera fa sono andata al concerto di Stefano Bollani all’Anfiteatro Romano di Amiternum, altre sere ci sono stati concerti di Renzo Arbore e di Antonella Ruggeri… si moltiplicano le manifestazioni musicali di ottimo livello a favore dei terremotati dell’Aquila e a cura della Protezione Civile che effettua anche un servizio di trasporto efficientissimo. Sono iniziative di per sé encomiabili finalizzate a tirare su il morale della gente delle tendopoli, ma anche ad abbonirla per renderla innocua ed evitare proteste scomode. Da sempre ha funzionato il “panem et circenses”!

Non è dato sapere come si vive all’interno delle tendopoli, è tutto militarizzato, non sono ammessi giornalisti (per evitare informazioni deviate), si sa che la Protezione Civile provvede al vitto e alla sicurezza, organizza ogni sorta di attività ricreative per adulti e bambini, ma è filtrata anche la notizia di cinque suicidi all’interno.

Da quanto si percepisce dall’esterno, la gran parte della gente è ancora incredula, ancora imbambolata, ancora in “vacanza” al mare, in montagna o al “campeggio”: quando mai si è potuta permettere una vacanza tanto lunga, soprattutto gratuita, in alberghi a 3 o a 4 stelle, oppure soggiorni a Cortina o gite in altre località turistiche! Inoltre molti hanno il miraggio di riuscire ad avere le case antisismiche, al di là di ogni considerazione razionale.

Si sta procedendo alla costruzione di queste case con una velocità sbalorditiva: lavorano notte e giorno per riuscire a finire appartamenti per 15.000 persone entro l’autunno ma hanno diritto ad accedervi solo coloro che hanno avuto danni molto gravi alle proprie abitazioni classificate E. Se si considera che gli sfollati sono circa 50.000, ne deriva che la maggior parte di essi, che hanno case classificate B o C, inagibili e bisognose di interventi anche strutturali, non sanno dove andare se si smantellano le tendopoli.

Molti, se possiedono un pezzo di terra, in vista del freddo autunnale, si stanno arrangiando acquistando a proprie spese casette di legno o containers, facendo la fortuna dei fornitori del nord e dei rivenditori locali. C’è chi cerca disperatamente un pezzetto di terra per collocarvi il container, ma, per la legge del mercato, i prezzi dei terreni, se si trovano, sono arrivati alle stelle.

Si sta assistendo a un proliferare di alloggi provvisori “fai da te”, collocati dove si può, in barba a Berlusconi che voleva evitare le baraccopoli!! La differenza sta nel fatto che ora questi alloggi, neanche tanto provvisori, ognuno se li paga con i propri soldi.

L’ordinanza per la ricostruzione delle case B e C è uscita il 6 giugno, solo dopo un mese e mezzo sono uscite le linee guida che consentono di iniziare l’iter burocratico. Le procedure tecniche e amministrative richiedono almeno un mese di tempo; a occhio e croce si potranno iniziare i lavori di ricostruzione a settembre – ottobre e spesso si tratta di interventi seri. Realisticamente si potrà rientrare nella propria casa nella primavera – estate prossime.

Solo ora gli amministratori locali e la Protezione civile si stanno ponendo il problema di come sistemare per l’inverno tutte queste persone e stanno pensando di acquistare casette mobili (guai a chiamarle containers!). Ma se fossero state acquistate prima, quanto si sarebbe risparmiato? Era proprio necessario militarizzare i campi e tenere la gente in albergo, spendendo circa 50 € a persona al giorno moltiplicato per 50.000 sfollati e per 5 mesi? Era inoltre proprio necessaria la permanenza in albergo fino al 6 agosto di quelle persone con abitazioni perfettamente agibili? Un dato:solo la manutenzione dei bagni chimici delle tendopoli costa 350.000 € al giorno.

Si è voluta saltare la fase 2 delle sistemazioni provvisorie, propagandando la costruzione di “case per tutti” e adesso i nodi stanno venendo al pettine. Quando, e soprattutto con quali soldi, si potranno ricostruire le migliaia di case danneggiate? Per l’abitazione principale, sulla carta è previsto il rimborso totale in varie forme, nulla è invece dovuto ai proprietari delle seconde case e questo costituisce un problema serio per la reale possibilità di ricostruzione.

Per le abitazioni classificate E ed F non sono ancora uscite le linee guida, non si conosce ancora l’entità delle case da demolire, i tempi si prevedono molto lunghi e coloro che avranno un alloggio nelle strutture antisismiche sono destinati a restarci per anni.

Non illudiamoci, la città non sarà più la stessa. Il dopo terremoto restituirà una realtà urbana con una fisionomia stravolta. Nel 1200 l’Aquila nasceva con l’aggregazione di 99 castelli dell’area limitrofa, oggi si assiste al processo inverso: 20 sono le aree intorno alla città dove stanno sorgendo i nuovi insediamenti con le famose case antisismiche.

Sul piano ambientale, un pugno allo stomaco. Colate di cemento che non hanno nulla a che fare con l’ambiente esistente. Già l’Aquila soffriva del male cronico della assenza di un Piano regolatore, si può immaginare che cosa sarà dopo.

Sul piano sociale, sarà anche peggio. Le comunità dei paesi, con le loro storiche caratteristiche, difficilmente si integreranno con i nuovi nuclei con abitudini e radici culturali diverse.

Il ritardo nella ricostruzione comporterà necessariamente la disgregazione del tessuto urbano con conseguente impoverimento della città; già ora molte attività si sono trasferite altrove, molti genitori si stanno organizzando per iscrivere i propri figli nelle scuole di altri centri, per non parlare degli studenti universitari che difficilmente si iscriveranno all’Università dell’Aquila.

La città non esiste più. Se si arriva dall’autostrada a l’Aquila, si ha l’impressione che non sia successo niente, i palazzi sono in piedi, da lontano tutto sembra essere al proprio posto. (Mi viene in mente l’immagine di un vaso incrinato che a guardarlo da lontano sembra integro ma in realtà non serve più a niente). Mano a mano che ci si avvicina, le fessure diventano più visibili, gli squarci si fanno evidenti, le ferite si scoprono nella loro reale drammaticità.

Il centro storico è ancora “zona rossa”, è stato riaperto un piccolo tratto del corso per soddisfare la curiosità delle numerosissime persone che in processione percorrono questo pezzo di strada. La città è presidiata dalla Protezione civile e dai Vigili del fuoco.

Non si hanno più punti di riferimento: dalla farmacia alla merceria, dal ristorante alla banca. Le attività amministrative si svolgono in containers istallati nelle zone periferiche, le attività commerciali stanno lentamente riprendendo in ambienti più o meno di fortuna, i giovani si ritrovano in luoghi diversi dai soliti. E tutt’intorno ci sono tendopoli.

Se ci si sposta nei paesi vicini la situazione è ancora peggiore. Mucchi di macerie non ancora rimosse, cimiteri inagibili, strade e ponti interrotti e danni alla rete idrica non ancora riparati. In agosto tutti questi paesi riprendevano vita grazie al ritorno della gente che aveva mantenuto vivo il rapporto con le proprie origini. Oggi sono paesi fantasma.

L’Aquila, 14 agosto 2009