«Navi a perdere» da vent’anni

di Anna Pacilli
da www.carta.org

Persino il ministro Giovanardi, nel 2004, ha ricostruito un pezzo dei traffici di armi e rifiuti, via mare e via terra. Alla base, le indagini delle procure e le denunce delle associazioni ambientaliste, ma anche dei genitori di Ilaria Alpi. Però niente si è mosso.

«Evidenti segnali di allarme si sono colti in alcune vicende giudiziarie da cui è emersa una chiara sovrapposizione tra queste attività illegali ed il traffico d’armi. […] Numerosi elementi indicavano il coinvolgimento nel suddetto traffico di soggetti istituzionali di governi europei ed extraeuropei, nonché di esponenti della criminalità organizzata e di personaggi spregiudicati, tra cui il noto Giorgio Comerio, faccendiere italiano al centro di una serie di vicende legate alla Somalia e alla illecita gestione degli aiuti della Direzione generale per la cooperazione e lo sviluppo».

Le affermazioni sono di Carlo Giovanardi, nel 2004, che in qualità di ministro per i rapporti con il parlamento del passato governo Berlusconi rispondeva alle questioni poste dalle associazioni ambientaliste, che da almeno dieci anni denunciavano il traffico illecito di rifiuti pericolosi e radioattivi e di armi [carta.org del 15 settembre]. L’occasione per riparlare delle «navi dei veleni» erano stati gli sviluppi dell’inchiesta del sostituto procuratore di Paola [Cosenza], Francesco Greco, sulla nave Jolly Rosso, partita da La Spezia, arenatasi 14 dicembre 1990 sulla costa di Amantea [Cosenza] dopo un tentativo abortito di affondarla. Al centro dell’inchiesta c’era appunto il faccendiere Giorgio Comerio.

«Già nella relazione conclusiva dell’11 marzo 1996 della commissione bicamerale sul ciclo dei rifiuti, proprio in riferimento alle indagini avviate nel 1994 dalla magistratura di Reggio Calabria sulla motonave Rosso, si parla esplicitamente delle ‘navi a perdere, che si ipotizza siano state utilizzate per l’affondamento di rifiuti radioattivi’ nel Mar Mediterraneo e in particolare a largo delle coste ioniche e calabresi o ‘lungo tratti di mare antistanti… paesi africani come la Somalia, la Sierra Leone e la Guinea’ e del ruolo di Comerio», dice dice Stefano Lenzi, responsabile legislativo del Wwf Italia, citando il dossier «Rifiuti Connection Liguria», preparato nel 2004 da Wwf e Legambiente.

«Le indagini avviate dalla magistratura calabrese nel 1994 su alcuni affondamenti sospetti nel Mediterraneo e, in particolare, lungo le coste calabresi e ioniche, hanno evidenziato un ruolo chiave del faccendiere Giorgio Comerio, in contatti con noti trafficanti di armi e coinvolto anche nella fabbricazione di telemine destinate a Paesi come l’Argentina – si legge ancora nell’intervento dell’allora ministro Giovanardi – Da un’attenta analisi di documenti è emerso un imponente progetto per lo smaltimento in mare di rifiuti radioattivi con la scelta di vari sirti che, nel pianeta e anche nel mare Mediterraneo, avrebbero accolto i pericolosi rifiuti.

In particolare il Comerio, peraltro noto trafficante d’armi, aveva in animo di modificare una nave, precisamente la Jolly Rosso, per la costruzione di particolari ordigni [le telemine] o per l’alloggiamento e lancio dei penetratori. […] Dai registri dei Lloyds Londra si rileva che numerose sono le navi affondate in modo sospetto nel Mediterraneo. Tra queste assumono particolare rilievo, oltre alla ‘Rigel’, la motonave Aso, affondata il 16 maggio 1979 a largo di Locri, carica di 900 tonnellate di solfato ammonico, la motonave Michigan, carica di granulato di marmo, affondata il 31 ottobre 1986 nel mar Tirreno. Fortemente sospetto è anche l’affondamento della ‘Four Star I’, battente bandiera dello Sri Lanka, affondata il 9 dicembre 1988 in un punto neppure noto dello ionio meridionale».

Ora le «navi a perdere» sono tornate alla ribalta dopo il ritrovamento della Cunsky a largo di Cetraro [Cosenza], raccontato tempestivamente dal manifesto, ma questi traffici non riguardano solo la Calabria né solo l’Italia, come riconosciuto dallo stesso Giovanardi: nomi, fatti e circostanze sono noti da tempo. La domanda è: perché i procuratori e quanti non si sono accontentati di facili spiegazioni, come i genitori di Ilaria Alpi, sono stati lasciati soli?

Il ritrovamento della nave dei veleni nei fondali a 20 miglia dal porto di Cetraro [Cosenza] è solo un ulteriore pezzo dello scenario inquietante che riguarda il traffico illecito di rifiuti pericolosi e radioattivi e delle sue possibili sovrapposizioni con i traffici di armi, che non interessa solo la Calabria né soltanto l’Italia. Lo denunciano da anni le associazioni ambientaliste, che hanno prodotto dossier, memorie, testimonianze, agli atti della magistratura e delle istituzioni competenti.

«In queste vicende vengono alla ribalta personaggi e aziende i cui nomi ricorrono in diverse inchieste legate a queste attività illegali, ma sembrerebbero emergere anche collusioni, connivenze o fenomeni di tolleranza da parte di organismi istituzionali dello Stato italiano e di Stati stranieri», si legge in un documento del 2004 prodotto da Wwf e Legambiente, inviato a tutte le commissioni parlamentari interessate, compresa la Commissione d’inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. «Nella relazione conclusiva della Commissione bicamerale sui rifiuti del ’96, si segnalavano attività sospette di occultamento in mare di container a Bosaso, nel nord della Somalia, proprio l’area su cui era impegnata la giornalista Ilaria Alpi prima di essere uccisa – dice Stefano Lenzi, responsabile legislativo del Wwf Italia – E’ dal 1997 che chiediamo di smantellare la rete internazionale che gestisce i traffici illeciti di rifiuti».

E’ esattamente da dieci anni che il Wwf pone alle autorità dieci domande, che ripercorrono l’intera vicenda tornata finalmente alla ribalta, in questi giorni, con il ritrovamento della nave affondata al largo di Cetraro, carica forse di rifiuti provenienti dalla Norvegia. Fra le richieste, c’era innanzitutto quella di «indagare sull’esistenza della rete internazionale di traffici illeciti di rifiuti speciali, pericolosi e radioattivi via mare e di smantellarla al più presto, di creare un coordinamento e uno scambio di informazioni sulle indagini e i procedimenti attivati dalle varie procure della repubblica che nel tempo si sono occupati di queste vicende, tra cui quelle di Asti, La Spezia, Reggio Calabria, Napoli, Paola».

Il dossier «Rifiuti Connection Liguria», preparato da Wwf e Legambiente nel 1997, è indicativo della mole di informazioni esistenti da tempo su questi traffici e dell’esistenza di una rete internazionale che ha le sue basi in Italia, ma non solo qui. Nel dossier veniva ipotizzato un ruolo centrale della Liguria, e in particolare del porto di La Spezia: da qui proveniva la Jolly Rosso, arenatasi 14 dicembre 1990 sulla costa di Amantea [Cosenza], implicata nel traffico internazionale via terra e via mare di rifiuti. In particolare nel dossier del 1997, che cita nomi e fatti, si ipotizzava «che nelle oltre 15 discariche, autorizzate e non, e nelle oltre 35 cave poste a corona dell’area di La Spezia si svolgessero attività difficilmente controllabili tali da far sospettare, come poi venne accertato nel caso della discarica consortile di Valle Scura e della discarica di Pitelli, attività di interramento o di instradamento via mare di rifiuti pericolosi e radioattivi».

Oggi, il Wwf torna a chiedere di estendere l’indagine non solo in mare ma anche a terra. «In Calabria, sempre nella provincia di Cosenza, nei pressi di Amantea, è stata trovata una collina contaminata con rifiuti radioattivi. Tra le sostanze presenti, le indagini dell’Arpal, Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente della Calabria, hanno confermato la presenza di Cesio 137. Qui, nel 2001 – ricorda Lenzi – il Wwf fu testimone di un fatto sconcertante: un camion proveniente da Caserta sbandò proprio in vicinanza della discari
ca e si ribaltò. Dal camion fuoriuscirono sacchi e liquidi tossici e la zona venne subito perimetrata per impedire a cittadini e passanti di attraversarla. Non si seppe mai cosa contenevano quei sacchi, nonostante le denunce».