E’ arrivata l’ora. Non discuterò più di omosessualità con nessuno della mia chiesa

di John Shelby Spong*, vescovo emerito della diocesi episcopale di Newark (Usa)
da Adista Documenti n. 2 del 9 Gennaio 2010

Ho preso una decisione. Non discuterò più con nessuno sul tema dell’omosessualità nella Chiesa.
Non voglio più avere a che fare con l’ignoranza biblica di tanti cristiani a proposito della condanna dell’omosessualità da parte della Bibbia, come se questo punto di vista fosse ancora credibile.

Non discuterò più con loro né li ascolterò quando diranno che l’omosessualità è “un abominio per Dio”, che è uno “stile di vita che è stato scelto” o che attraverso la preghiera e l’“assistenza spirituale” gli omosessuali possono “curarsi”.

Questo argomenti non sono degni del mio tempo o della mia energia. Non darò più dignità, ascoltandoli, ai pensieri di chi difende una “terapia riparatrice”, come se le persone omosessuali fossero in qualche modo spezzate e avessero bisogno di essere riparate.

Non parlerò più con quanti credono che l’unità della Chiesa possa o debba realizzarsi mediante il rifiuto, o almeno a spese, dei gay e delle lesbiche. Non perderò tempo a combattere l’ignoranza di alcuni leader religiosi del mondo che definiscono l’omosessualità “una deviazione”.

Non presterò più orecchio al pio sentimentalismo di alcuni leader cristiani che ripropone una qualche versione della strana e apertamente disonesta frase secondo cui “amiamo il peccatore ma odiamo il peccato”.
Questa affermazione, ho concluso, non è altro che una menzogna egoista disegnata per coprire il fatto che tali persone odiano gli omosessuali e temono l’omosessualità, ma sanno che in qualche modo l’odio è incompatibile con il Cristo in cui dicono di credere e quindi salvano le apparenze facendo propria questa dichiarazione assolutamente falsa.

Non modererò la mia comprensione della verità allo scopo di fingere di avere un sia pur minimo rispetto per la negatività terribile che continua a emanare dai circoli religiosi in cui per secoli la Chiesa ha profumato convenientemente i suoi persistenti pregiudizi contro i neri, gli ebrei, le donne e le persone omosessuali con una presunta “magniloquente retorica pia”.

Il tempo per tutto questo per me è semplicemente giunto al termine. Personalmente, non tollererò né ascolterò oltre. Il mondo è cambiato, lasciando questi elementi della Chiesa cristiana, non adattabili alle nuove conoscenze o a una nuova coscienza, smarriti nel mare della propria irrilevanza. Non parlano più a nessun altro che a se stessi.

Non frenerò più il processo di inclusione fingendo che vi sia un terreno neutrale tra pregiudizi e oppressione. Non c’è. La giustizia ritardata è giustizia negata.
Nessuno può ancora continuare a rifugiarsi in questo. Una vecchia canzone sui diritti civili proclamava che l’unica opzione che resta a quanti non possono adattarsi a una nuova comprensione è “farsi da parte o passeremo sopra di loro!”. Il tempo non aspetta nessuno.

In particolare, ignorerò i membri della mia stessa Chiesa episcopaliana che pensano di andarsene per formare una “nuova Chiesa”, ritenendo che tale nuovo e intollerante strumento rappresenti ora la Comunione Anglicana.
Questo nuovo corpo ecclesiastico è pensato per permettere a questi patetici esseri umani, così profondamente chiusi in un mondo che non esiste più, di formare una comunità in cui possano continuare ad odiare gli omosessuali, deformando il volto dei gay con la propria martellante retorica, e di appartenere a una comunità religiosa in cui possano continuare a giustificare i propri pregiudizi omofobici.

L’unità della Chiesa non può mai essere una virtù da conservare scendendo a patti con l’ingiustizia, l’oppressione e la tirannia psicologica. Personalmente, non ascolterò più i dibattiti televisivi realizzati da canali “imparziali” che offrono “lo stesso spazio” a “entrambi i lati” della questione.
Sono consapevole che tali canali non concedano più lo stesso spazio a quanti vogliono che le donne siano trattate come fossero proprietà degli uomini o a quanti sono favorevoli a ristabilire la segregazione o la schiavitù, malgrado il fatto che, quando queste nefaste istituzioni volgevano al termine, si citasse ancora frequentemente la Bibbia in relazione a ciascuno di questi temi.

È ora che i mezzi di comunicazione annuncino che non ci sono più due lati della questione riguardo alla piena umanità dei gay e delle lesbiche.
Non è possibile che la giustizia per gli omosessuali sia compromessa oltre.

Non mi sentirò più in dovere di rispettare la Sede del Papa se il suo attuale occupante non è disposto o non è capace di informarsi ed educarsi riguardo a questioni di interesse pubblico, sulle quali si azzarda a parlare con vergognosa inettitudine.

Non rispetterò più la leadership dell’arcivescovo di Canterbury, il quale sembra credere che il comportamento grossolano, l’intolleranza e il pregiudizio siano in qualche modo accettabili se provenienti da leader religiosi di Paesi in via di sviluppo, che più che ogni altra cosa rivelano in se stessi il prezzo che l’oppressione coloniale ha richiesto alle menti e ai cuori di gran parte della popolazione del nostro mondo.

Non vedo in che modo l’ignoranza e la verità possano restare l’una accanto all’altra, né credo che il male sia in qualche modo meno cattivo se si cita la Bibbia per giustificarlo.
Considererò indegne della mia attenzione le opinioni assurde, false e senza fondamento di leader religiosi come Pat Robertson, James Dobson, Jerry Falwell, Jimmy Swaggart, Albert Mohler e Robert Duncan.
Tanto il mio Paese come la mia Chiesa hanno perso già troppo tempo, denaro ed energia dando spazio a punti di vista retrogradi che non sono neppure tollerabili.

Affermo tutto ciò perché è ora di andare avanti. La battaglia è finita. E vinta. Non c’è alcun ragionevole dubbio sul risultato finale di questa lotta.

– Gli omosessuali saranno accettati come esseri umani uguali a tutti gli altri, completi, con tutti i diritti che tanto la Chiesa quanto la società offrono a chiunque di noi.
– Il matrimonio tra omosessuali sarà legale, riconosciuto dallo Stato e santificato dalla Chiesa.
– La politica del “non chiedere, non dire” sarà sradicata dalle nostre forze armate.

Dobbiamo imparare, e lo faremo, che l’uguaglianza tra i cittadini non è cosa da sottomettere a un referendum. L’uguaglianza di fronte alla legge è una promessa solenne rivolta a tutti i nostri cittadini nella stessa Costituzione.
Può qualcuno immaginare un referendum sulla continuazione della schiavitù, sullo sradicamento della segregazione, sul diritto di voto delle donne?

È arrivato il momento in cui i politici cessino di nascondersi dietro leggi ingiuste che essi stessi hanno contribuito a promulgare, e abbandonino questa comoda copertura di chiedere un voto sui diritti di cittadinanza, perché così facendo non intendono la differenza tra una democrazia costituzionale, propria di questo Paese, e una “popolocrazia”, che questo Paese ha respinto quando ha adottato la sua Costituzione. Noi non sottoponiamo i diritti civili di una minoranza a un plebiscito.

Non agirò come se avessi bisogno di un voto maggioritario di un qualche organismo ecclesiastico per benedire, ordinare, riconoscere e celebrare la vita e i doni dei gay e delle lesbiche nella vita della Chiesa. Nessuno deve mai essere obbligato a sottomettere il proprio privilegio di cittadinanza in questa nazione o la propria appartenenza alla Chiesa cristiana a una maggioranza di voti.

La battaglia tanto nella nostra cultura quanto nella nostra Chiesa per liberare le nostre anime da questo pregiudizio è conclusa. Una nuova coscienza è nata. È stata presa chiaramente una decisione. La discriminazione di gay e lesbiche non è più una questione da discutere né nella Chiesa né nello Stato.

Pertanto, a partire da questo momento, mi rifiuterò di dare dignità, prendendovi parte, all’espressione pubblica di pregiudizi. Non tollererò oltre razzismo o sessismo. A partire da ora non sopporterò alcuna forma di omofobia nella nostra cultura. Non mi importa chi sia ad esprimere tali atteggiamenti o a cercare di farli apparire sacri.

Ho preso parte a questi dibattiti per anni, ma le cose si risolvono e questo tema per me è già risolto. Non dibatto con persone che pensano che si dovrebbe trattare l’epilessia espellendo i demoni dalla persona epilettica; non perdo tempo con opinioni mediche secondo cui far sanguinare il paziente potrebbe liberarlo dall’infezione.

Non parlo con persone che pensano che l’uragano Katrina abbia devastato New Orleans come castigo per il peccato di essere la culla di Ellen DeGeneres (ndr attrice, comica e conduttrice televisiva lesbica statunitense), o che i terroristi hanno attaccato gli Stati Uniti perché tolleriamo gli omosessuali, l’aborto, il femminismo o l’Associazione di diritti civili dell’America.

Sono stanco di vergognarmi per la frequente partecipazione della mia Chiesa a cause indegne del Cristo che servo o del Dio il cui mistero e prodigio apprezzo ogni giorno di più.
Di fatto, sento che la Chiesa cristiana non solo dovrebbe chiedere perdono, ma anche fare penitenza pubblica per come abbiamo trattato le persone di colore, le donne, i membri di altre religioni e quanti abbiamo definito eretici, come pure i gay e le lesbiche.

La vita continua. Come ha detto una volta il poeta James Russell Lowell più di un secolo fa: “nuove occasioni portano nuove responsabilità, il tempo rende grossolano quello che una volta era buono”. Ora sono pronto a gridare vittoria.
A partire da ora. Non sono disposto a discutere o polemizzare oltre, come se vi fossero due punti di vista ugualmente validi in competizione tra loro. Il tempo in cui si poteva pensarlo è passato per sempre.

Questo è il mio manifesto e il mio credo. Lo proclamo oggi. Invito altri ad unirsi a me in questa dichiarazione pubblica. Credo che ciò aiuterebbe a ripulire tanto la Chiesa quanto la nazione dal loro passato distorto.
Ripristinerebbe integrità e onore tanto nella Chiesa come nello Stato.

Sarebbe il segnale che un nuovo giorno è arrivato e che siamo disposti non solo ad accettarlo, ma anche a rallegrarcene e a celebrarlo.

* John Shelby Spong è nato il 16 giugno 1931 in North Carolina (Stati Uniti), ed è stato vescovo della diocesi episcopale di Newark per 24 anni, prima del suo pensionamento nel 2001.
Ha appoggiato numerose cause tra cui l’uguaglianza razziale e si è fatto promotore un ripensamento della fede cristiana e degli schemi tradizionali in cui viene intesa.