Per un’etica della politica

di Elvio Fassone, gruppo “Valore e Laicità” di Pinerolo

(riflessioni e proposte conseguenti alla riunione del 23 marzo 2010)

Le recenti vicende hanno messo a nudo, con un’evidenza ed una diffusione ancora maggiore di quelle di cui eravamo a conoscenza, un costume di corruzione politica smisurata. Il ceto politico continua ad attribuirsi privilegi sempre meno accettabili. La diffusione dei metodi clientelari sembra contagiare, sia pure in misura diversa, tutte le forze politiche. La qualità, la probità e la competenza di gran parte della classe politica si rivelano sempre più scadenti, ed alimentano la disaffezione dei cittadini.

Tutto ciò ripropone con forza l’importanza della “questione morale”, la necessità di proposte concrete al riguardo, e l’esigenza di una mobilitazione nei confronti dei partiti, almeno quelli che si può presumere siano disposti a farsene carico.

Pur nella consapevolezza che gli interventi legislativi non sono sufficienti, da soli, a sanare un problema di costume, essi possono esprimere un orientamento e, a medio termine, anche una guida effettiva dei comportamenti. Riteniamo perciò necessario che le forze politiche alle quali guardiamo assumano le proposte che seguono come parte essenziale e qualificante del loro programma.

1) Occorre spezzare il circuito vizioso innescato dalla politica dispendiosa.

Le spese elettorali sempre più ingenti diventano il motivo pretestuoso per giustificare emolumenti sempre più elevati, gli unici che possano fronteggiarle.

Questo, a sua volta, genera un’asimmetria tra i candidati che già svolgono funzioni pubbliche altamente retribuite, e gli altri; alimenta il professionismo della politica e la tendenziale inamovibilità; incrementa il clientelismo; riduce il ricambio; sottrae credibilità e consuma risorse altrimenti utili.

Si propone pertanto di:

a) porre un tetto alle spese elettorali più severo di quello sancito dalla legge 515 del 1993; e considerare rientranti in tale ammontare le spese comunque legate a fatti manifestazioni o espressioni dai quali il candidato o il partito riceva beneficio, da chiunque gli esborsi siano sostenuti, e con qualunque accorgimento si tenti di aggirare il limite. Sanzionare in modi efficaci la violazione dei limiti di legge, anche con l’ineleggibilità qualora lo sforamento superi un certo valore.

b) ridimensionare le indennità dei parlamentari italiani, allineandole alla media delle indennità percepite dai parlamentari dell’Unione Europea; e conseguentemente definire le indennità delle funzioni pubbliche elettive diverse da quelle, secondo una scala decrescente, in ragione del livello istituzionale. Sfrondare i benefici diversi dalle indennità, che non siano oggettivamente giustificati. [ il cospicuo risparmio potrà essere destinato, tra l’altro, a corsi di formazione alla politica, funzionali all’esigenza di cui al punto 3.b) ]

2) Occorre rivedere il sistema di finanziamento dei partiti, legando l’erogazione pubblica non all’astratto numero dei votanti, ma al concreto sostegno finanziario ricevuto dai privati.

L’erogazione pubblica – da conservare – deve essere non superiore alla somma dei finanziamenti effettuati dagli iscritti e dai simpatizzanti.

In tal modo si obbligano i partiti a rendere evidenti le fonti e l’ammontare dei finanziamenti privati (trasparenza), e si stimolano i partiti a superare la loro auto-referenzialità, coinvolgendo di più i cittadini (democraticità) e rendendosi più “accettati” dai medesimi.

3) Occorre qualificare il personale politico, sia sotto il profilo della probità sia sotto quello della competenza.

La legge elettorale vigente oggi consente alle segreterie dei partiti la selezione integrale dei parlamentari ed assegna loro un ruolo quasi sempre determinante per l’individuazione delle altre candidature.

Ciò comporta la dequalificazione di una parte cospicua degli eletti, e uno svilimento nella percezione generale della politica, intesa come l’unico mestiere per il quale non occorre una preparazione specifica.

a) Anche il requisito minimo richiesto per svolgere una funzione pubblica elevata – l’incensuratezza – è largamente accantonato, essendo notorio che a molte cariche elettive accedono anche persone inquisite e condannate.

La legge può poco al riguardo. Quando fu approvata la legge n. 55 del 1990 (e subito dopo la legge n. 16 del 1992, che la integrava), la quale sanciva la non candidabilità di coloro che erano stati condannati, anche con sentenza non definitiva, per reati afferenti la pubblica amministrazione, la Corte Costituzionale dichiarò illegittima questa previsione, in nome della presunzione di non colpevolezza che opera sino al formarsi del giudicato (pronuncia n. 141 del 1996). E poiché la sentenza definitiva giunge di regola dopo parecchi anni, questo consente anche a dei malfattori di far parte di assemblee elettive.

Devono quindi essere i partiti ad operare quel filtro che la legge non può imporre se non tardivamente. Per assicurare il minimo di moralità pubblica che si deve esigere, e nello stesso tempo per non privare dei diritti politici il cittadino che sia semplicemente indagato, i partiti possono svolgere questa funzione di garanzia assumendo l’impegno formale a non candidare, a qualsiasi carica pubblica, persone imputate di reati qualificati, la cui colpevolezza sia stata almeno delibata da un giudice e non solo da un pubblico ministero.

b) Il candidato non deve essere solamente incensurato, ma deve poter assicurare una certa capacità a svolgere la funzione cui aspira. La scarsa professionalità di molti eletti contribuisce gravemente a rendere le assemblee elettive subalterne agli organi di governo, e quindi ad alterare gli equilibri democratici.

I partiti potranno recuperare una gran parte della credibilità oggi dispersa, se si faranno garanti della qualità delle persone che, loro tramite, intendono candidarsi a funzioni elettive. E’ vivamente raccomandabile che essi espongano formalmente – previa ampia discussione con gli iscritti e con i simpatizzanti – una serie di parametri indicatori, dei quali i candidati dovranno possedere almeno taluni. A mero titolo di esempio, si possono addurre: l’assidua e fruttuosa partecipazione a corsi di formazione politica, confacenti al tipo di carica cui il soggetto aspira; il documentato possesso di competenze in un settore nel quale la funzione si esercita; un’esperienza amministrativa di una qualche consistenza o durata; il conseguimento di risultati specifici nell’attività sino a quel momento esercitata; e altri eventuali.

4) Occorre che i partiti si impegnino ad esigere, da parte di tutti gli eletti che ad essi fanno riferimento, la maggior possibile imparzialità e correttezza nell’esercizio dei poteri discrezionali loro affidati.

L’eletto è uomo (o donna) di parte nel perseguimento degli obiettivi politici della forza alla quale aderisce, perché come tale si è presentato, e perché gli obiettivi politici sono oggettivamente propri di una parte, e non (necessariamente) di tutti. Ma è uomo dell’istituzione nei comportamenti e nell’impiego degli strumenti funzionali a quegli obiettivi: appalti, concessioni, assunzioni, finanziamenti, consulenze, incarichi, spese, ed ogni altra attività nella quale si esprime la discrezionalità politica, devono essere praticati secondo il criterio del maggior vantaggio per l’istituzione, e non del maggior beneficio per gli omologhi o, peggio ancora, per se stesso.

Sottoponiamo queste richieste ai partiti, sollecitandone vivamente l’accoglimento.