Le vere radici dell’omofobia vaticana

di Pierfranco Pellizzetti
da www.italialica.it

Sacrosanta indignazione e ricerca della verità impongono di non mollare mai la presa su un tema rovente quale la pedofilia dei preti e l’apparente contraddizione di una Chiesa che continua a occultare le verità al riguardo. Peggio, pratica atteggiamenti di sostanziale solidarietà con i propri orchi, come quel monsignor Giorgio Brancaleoni, vescovo vicario di Albenga, che ancora in questi giorni organizza fiaccolate di sostegno a don Luciano Massaferro, in carcere con l’accusa di aver violato una bimba.

Sicché ci sarebbero ragioni più che sufficienti per insistere senza il benché minimo tentennamento nello squarciare i veli delle reticenze, dell’omertà. Eppure – sullo sfondo – aleggia un’apparente contraddizione ancora più inquietante: la singolare omofobia di un mondo vaticano in non trascurabile misura omosessuale (la maggior parte degli episodi di pedofilia sono avvenuti nei confronti di soggetti dell’identico sesso dei molestatori).

Quell’omosessualità che Ratzinger ebbe a definire “comportamento disordinato” e il presidente CEI cardinale Angelo Bagnasco stigmatizza con la sua vocina stridula alla stregua di “una minaccia per l’italica virilità”. Sorge dunque la domanda: quale l’inconfessabile ragione per cui “gli uomini con le gonne” (come li chiamava Gaetano Salvemini) perseguono con tale avversione orientamenti molto diffusi proprio tra di loro?

La risposta potrebbe essere trovata – come scriveva recentemente Marco Politi sul Fatto Quotidiano – proprio nell’indifendibile arcaicità del modello di reggimento che sino dalle origini la Chiesa si è dato: l’assolutismo monarchico; ossia analizzando le ragioni ultime del potere di un’istituzione bimillenaria fondata sulla gestione consolatoria del dolore e della paura: l’interesse primario al mantenimento di un ordine gerarchico che da millenni sovrintende la vita degli uomini e delle donne, controllando i corpi attraverso il dominio delle menti. E questo ordine si chiama patriarcato.

Dunque, la norma eterosessuale come difesa di un contesto in cui coltivare i principi gerarchici (patriarcali) che puntellano anche Sacra Romana Chiesa: tradizione e autorità, l’autorità indiscussa e indiscutibile della tradizione.
Insomma, c’è un naturale incontro di interessi tra diafani cardinali e bulimici porporati dalle dita ingioiellate con “gli eroi” della restaurazione machista di inizio millennio: dal guerrafondaio Bush jr. all’attempato vitellone sessuomane Berlusconi.

L’alleanza tra tutti quanti si sentono minacciati dall’impatto dei soggetti collettivi che mettono a repentaglio il cardine del potere vigente, con il suo carico di dominio oppressivo: “la famiglia patriarcale eterosessuale, come paradigma esclusivo della relazione interpersonale e – insieme – come modalità di riproduzione sociobiologica della specie” (Manuel Castells). La rivoluzione, avviata dal movimento femminista e proseguita da quelli gay e lesbico; più in generale – come scrive Alain Touraine – i “gruppi definiti da un dato tipo di sessualità piuttosto che dal sesso del partner”.

Idea – se accettata – in grado di minare dalle fondamenta l’intero assetto del comando, clericale o laico che dir si voglia.
Questione di sopravvivenza. Ma anche motivazione reale di quella che Gian Enrico Rusconi, sulla rivista Il Mulino del dicembre scorso, definiva una “silenziosa rivoluzione teologica per cui dall’idea millenaria della natura umana decaduta per il peccato originario si è arrivati oggi a un discorso tutto positivo sulla natura umana, insidiata nella sua integrità originaria dalle biotecnologie o dalle famiglie irregolari”.

Forse, più che di rivoluzione si dovrebbe parlare di controrivoluzione, di arrocco nelle cittadelle assediate. Mentre la fede in una rivelazione non ha nulla a che vedere ed è la religione a secolarizzarsi in quanto legittimazione di una istituzione dominante. I cui nemici non sono le sofferenze e i mali che affliggono gli umani quanto umanissimi propugnatori di pietà come Beppino Englaro o documentate denunce di malefatte quali quelle dei giornalisti del New York Times.

Per questo fanno bene quanti, sulle orme di Albert Camus, si impegnano in una polemica contro chi tenta di barare. Ma l’etica del disincanto, che impone di “cercare ciò che è vero”, non può prescindere dal binomio rovente Potere-Verità. Perché tutte le vicende che stiamo denunciando trovano il loro senso più recondito nelle tattiche di un Potere che si giustifica ammantandosi di Verità (dunque, mistificandola). Costruendo Verità a proprio uso e consumo.

Per cui il Vaticano pratica comportamenti esecrabili anche se poi fa di tutto per occultarli. Per cui si proclama la santità del vincolo familiare indissolubile e poi si fa mercato con pluridivorziati. Per cui si perseguita l’omosessualità coltivata nelle penombre dei palazzi e delle strutture ecclesiastiche. La più flagrante conferma della formula che dobbiamo a Michel Foucault: “la verità nei suoi effetti di potere e il potere nei suoi discorsi di verità”.