Le Pari Opportunità, Dinuovo, Immagina che il lavoro… e lo strabismo femminile

di Clelia Mori
da www.womenews.net

Se fossi una giovane donna che cerca lumi in questo periodo sulla politica al femminile, penserei che le Pari opportunità sono la mia politica. Ma facendo qualche ricerca mi inseguirebbe la sensazione dello strabismo paritario e mi appoggerei forse a qualche uomo esperto, come fan molte/i e la parità indirettamente mi consiglia.

Me lo direbbe il dibattito mediatico sull’associazione Dinuovo, appena nata e presentata alla Provincia di Roma – quella governata da Nicola Zingaretti per intenderci – dalla regista Cristina Comencini che chiede “più energiche politiche di parità” per ripartire unite e che dichiara sull’Espresso di fine giugno di non poter “più sottrarsi alla responsabilità politica… visto che il femminismo italiano è tornato a casa, non ha lasciato paletti che la società non potesse ignorare”.

L’assessorato regionale della Calabria alla parità, le vuole in ogni comune; al centro nord esistono da tempo in quasi tutte le amministrazioni di centro sinistra e magari anche di centro destra e che c’è persino un ministero. Non capirei bene cosa fossero queste pari opportunità, perché non è spiegato con chiarezza, ma coglierei che donne importanti le vogliono.

Se però non mi accontentassi e cercassi ancora, troverei che alla (storica, per chi lo vuol sapere) Libreria delle donne di Milano è stato edito (ottobre 2009) il Sottosopra “Immagina che il lavoro” che nel sottotitolo dichiara con sicurezza “…il discorso della parità fa acqua da tutte le parti e il femminismo non ci basta più”.

È evidente che l’appena nato Dinuovo a Roma non ha incrociato Milano sulla parità e il femminismo.
A questo punto andrei in confusione e dovrei cercare lumi.

Magari facendomi aiutare dalla ricerca, per uscire dal guazzabuglio un po’schizofrenico che sembrerebbe averci preso e scoprire il filo del “che fare?”.

Perché le parole di queste donne, non mi basterebbero da sole a scegliere. Le sentirei in concorrenza tra loro e dovrei farmi aiutare dal resto dei loro testi e dai nomi delle autrici. Ma senza un filo di dimestichezza dietro le spalle, farei abbastanza fatica.

La ricerca mi aiuterebbe quindi a storicizzare il dibattito, indagare la vita e il pensiero delle associazioni, la storia dei nomi che le compongono. Scoprirei che ci sono donne che da una vita si occupano di pensiero e fare femminile e ce ne sono altre che lo fanno da meno tempo, provenendo da altre storie professionali e politiche.
Magari vedrei che ci sono anche uomini che si sono mossi sulla differenza di sesso e la violenza maschile alle donne.

Poi dovrei cercare, dove è stata applicata la parità e cosa ha voluto dire nel tempo. Con che intenzioni è stata applicata (in realtà disturbi di nicchia), che frutti ha dato e quali no (le quote, gestite dal maschile per il femminile, anche quando formalmente sembra che siano le donne a scegliere; tanto sono quelle già in quota agli uomini ad assumersi il compito di non scegliere le altre; cooptazione maschile si dovrebbe chiamare, dice una mia amica), quale dibattito è stato espresso dai partiti (uomini e donne) sul tema (e sarebbero notizie abbastanza antiche) e quale dai gruppi femministi.

E poi, forse, potrei scegliere… Ma senza dimenticare la diatriba più recente e tornante sul silenzio del femminismo, con l’ “Usciamo dal silenzio” di alcuni anni fa sull’aborto, quello sviluppato su Repubblica e L’Unità da Nadia Urbinati e Lidia Ravera sul macho italiano di potere e le mogli e le escort e proprio le femministe che tacciono(cosa non vera); Umberto Veronesi su Repubblica, che dichiarava morto già l’anno scorso il femminismo e ne serviva, beato lui che lo può far morire e risorgere quando vuole, un altro.

Oltre a Susanna Tamaro che lo critica su La Stampa imputandogli i mali del mondo, come la Chiesa e la Destra, e rimpiange un passato che non ha vissuto. Senza tralasciare che le donne dei partiti hanno permesso che il referendum sulla procreazione assistita passasse dalle mani delle donne a quelle della scienza, secondo il volere maschile…

Poi dovrei indagare comunque, cosa vuol dire questo “discorso sulla parità fa acqua da tutte le parti” in un documento fortemente rivoluzionario sull’idea del lavoro, scritto da donne per donne e uomini, dove si approfitta della crisi economica e sociale in cui siamo piombati e del vissuto femminile che le donne hanno portato nel lavoro per cercare di capire se un’altra organizzazione del mondo è possibile rispetto a questo scomodo e traballante modello maschile: più disponibile alla cura degli oggetti che delle persone e le loro relazioni.

Dove negare il senso femminile della relazione umana per centrare tutto sul desiderio del patriarcato, ha preso indicibili ma fattibili pieghe sessuali maschili, nel potere religioso politico ed economico.

Ma forse, come giovane donna, a questo punto mi sarebbe passata la voglia di capire e di fare politica con le donne.
Queste confusioni disorientano le adulte, figuriamoci le giovani.

Mi inseguirebbe la sensazione dello strabismo paritario e mi appoggerei forse a qualche uomo esperto, come fan molte/i e la parità indirettamente mi consiglia.

Ma non sono giovanissima, ho visto e sentito e non è possibile farmi confondere. Sono stata da donna nel più grande partito della sinistra per più di due decenni a Reggio Emilia, e ho visto le pari opportunità all’opera da molto tempo nelle istituzioni, fino ad avere nella mia città, nella penultima legislatura, lo stesso numero di uomini e di donne in giunta, con assessorati non solo femminili per le donne e, purtroppo, pare che nessuno a Reggio si sia accorto di questa parità numerica e di questo tipo di femminismo.

Tra l’altro Via Dogana, della Libreria delle donne, già alcuni anni fa denunciava come a Milano e in altre parti d’Italia ci fossero molte donne in luoghi di potere e non si scorgesse la differenza politica.

Comunque mi fa un po’ male vedere come si possa disorientare, quando si entra come se non si fosse aspettato che il nostro personale risveglio per fare.

Fanno piacere nuovi gruppi, il loro entusiasmo, ma mi stupisce il senso di vuoto a cui si ricorre per autorizzarsi. Anch’io una volta pensai al silenzio delle donne, senza specificare di quali. Erano gli anni duemila intorno all’11 settembre e allo scoppio della guerra in Iraq, e mi lasciai prendere dall’entusiasmo della neofita anche se non la ero, perché mi guardavo dall’esterno del partito stando contemporaneamente nei girotondi e mi sono autorizzata a sentirmi fra le poche con le idee chiare in testa…
Poi, qualcuno mi ha ricordato che la cosa non nasceva allora ed ho imparato a guardarmi intorno, prima.

So anche che allora non c’era la diffusione dell’Internet di oggi con le sue possibilità di ricerca e non so spiegarmi perché possa accadere ancora che le donne usino lo strabismo mentre auspicano, come molte altre e come fa Dinuovo, una strada di unità.

E soprattutto come non si veda (nota Alberto Leiss su Donnealtri parlando di loro) che “nelle relazioni tra donne e uomini non si parte da zero”, ma si torni, con uno zelo curioso, ad un programma consunto come quello delle pari opportunità, che se comprendo, ma non condivido, forse in Calabria, non capisco proprio a Roma.

Sarebbe bello che per unirci, imparassimo a riconoscerci e ad ascoltarci, soprattutto quando facciamo nascere nuovi gruppi. Tanto è già stato fatto e tanto c’è da fare, ma non ci servono ritorni più energici al senso di secondarietà e di arretratezza che impone la parità nella relazione asimmetrica sull’inferiorità col maschile.

Un’asimmetria che è invece un patrimonio identitario prezioso per le donne che sanno guardarsi dentro e han capito che non c’è da rincorrere nessuno per fare politica al femminile.

Ci facciamo bastare le pari opportunità? Non abbiamo un desiderio più ampio per la politica, per noi stesse e le nostre relazioni? Differenza di sesso credo voglia dire capire il nostro, chiedere agli uomini di capire il loro per metterci in relazione con sapienza di sé, e non è un parificarci ad un maschile di potere neutro, confuso e in crisi. Mi pare sia il progetto nuovo che tenta il Sottosopra Immagina che il lavoro, e che lì debba insistere la nostra attenzione.

Non c’è un femminismo nuovo da inventare ad ogni personale risveglio, ma un femminismo in cammino a partire dai nostri bisogni e dai nostri desideri. Altrimenti non so capire perché dovremmo fare politica nel nome delle donne, soprattutto quelle giovani?