La favola dello “scontro di civiltà” e le sfide di un mondo post 11/9

Giovanni Perazzoli
www.micromega.net

La morte di Osama bin Laden sembra interessare più gli Stati Uniti che non il “mondo arabo”. Che fine ha fatto lo “scontro di civiltà”? La primavera araba ha smentito i tanti “esperti” e “commentatori” che, come un disco rotto, ripetevano che le “masse arabe” erano intrinsecamente antioccidentali, antisemite, fondamentaliste. A parte qualche manifestazione in Pakistan (che tra l’altro non è un paese arabo: precisazione che appare necessaria, visto quello che si legge sui giornali), non si è vista quella sollevazione di masse sanguinarie che pure – non lo si sarà dimenticato – si prevedeva in proporzioni apocalittiche non appena gli americani fossero arrivati a Osama bin Laden.

La battaglia ideologica e propagandistica sullo “scontro di civiltà” è stata fin qui una sorta di riedizione di quella sull’Unione Sovietica, sebbene a parti invertite e sostanzialmente con una sola direzione. La “sinistra” infatti si è ritrovata di nuovo, spesso cadendo nella trappola, nel ruolo caricaturale della parte antipatriottica, antioccidentale e “fraternizzante con il nemico” (pensate ad esempio a come è stato trattato Vittorio Arrigoni, che è stato mediatizzato come un “caduto” in una guerra, e per questo doveva essere o un “eroe” oppure “un quasi terrorista”). Quanto ai sedicenti difensori dei valori della laicità e della tolleranza, erano normalmente i primi a calpestare questi stessi valori.

Naturalmente, questo è il quadro della propaganda, dunque della caricatura. Ma la propaganda spesso rende il proprio bersaglio, in questo caso “la sinistra”, un complice, più o meno consapevole, della caricatura che ne vuole fare, a volte fino a trasformarlo del tutto nella stessa caricatura che ne ha proposto. Se poi dobbiamo dare ragione a Oliver Roy, il fondamentalismo islamico stesso sarebbe un prodotto postmoderno, qualcosa che ha poco a che fare con un ritorno filologico, per quanto delirante, al passato dell’islam, mentre è piuttosto il risultato di un passato inventato in funzione di un presente letto comunque, sebbene in modo deformato, a partire dall’unica civiltà che tutti abitiamo, e che ora si dice “globalizzazione”.

Comunque sia di quest’ultimo aspetto, che interessa adesso marginalmente, non bisogna dimenticare che la “fabula” dello “scontro di civiltà” assicurava l’esistenza di un consenso totale e cieco di masse immense e urlanti (presentate come semi-animali) intorno ai valori “che non erano i nostri”, e che erano frutto di una logica “diversa”. Non c’era spazio di dissenso, non c’erano vuoti, interstizi. Il “mondo islamico” era una comunità piena, compattamente religiosa e antioccidentale. Un mostro di milioni di persone disposte a morire per assecondare una religione dell’odio e della guerra. Milioni di aspiranti martiri alla ricerca del paradiso. Folle di postmoderni nichilisti, ma con orizzonti primitivi. Il rovescio esatto dell’Occidente e della sua rappresentazione ideale e non solo ideale. Non si sa bene poi se solo per ignoranza, si faceva volentieri tutt’uno di musulmani e arabi, mentre non tutti i musulmani sono arabi e non tutti gli arabi sono musulmani. Non è un fatto marginale. Molti arabi sono cristiani e hanno posizioni di potere, come l’aveva Tareq Aziz, ministro degli esteri di Saddam Hussein: questo sarebbe bastato questo a far capire che l’Iraq non poteva essere un paese fondamentalista, quasi un alleato di al-Qaida, e che i cristiani non sono necessariamente dei perseguitati nei paesi arabi (o musulmani).

Che cosa cambia adesso? Intanto è banale limitarsi a dire che, con l’uccisione di Osama bin Laden, Obama si è guadagnato, per l’opinione pubblica americana, i gradi di comandante supremo, e che questo gli servirà per la sua campagna elettorale. L’amministrazione Obama ha fatto molto di più: ha smontato il giocattolo propagandistico della destra repubblicana. L’appoggio alla primavera araba e la conclusione della storia di Osama bin Laden hanno infatti dato un colpo molto duro alla macchina propagandistica della destra, che non potrà più invocare il nemico planetario che era l’attore indispensabile dello “scontro di civiltà”.

Adesso bisognerà cominciare a distinguere. E nelle distinzioni le retorica si impantana, perde slancio. Bisognerà guardare alla politica reale, dissolvendo quella nube di confusione dentro la quale tutti erano uguali. Gli “arabi”, abbiamo visto, non sono quello che si diceva che fossero: dunque, i difensori dell’Occidente si erano sbagliati. E sono gli stessi che non hanno trovato il nemico numero uno, la mente dell’11 settembre 2001, a due passi dalla maggiore base militare dell’alleato Pakistan. La politica estera americana, con tutto il carattere simbolico che essa ha nella politica interna, deve a questo punto ridefinirsi.

La sfida politica e culturale è adesso entrare nel post-11 settembre.

È uno dei compiti che spetta ai democratici di tutto il mondo. Ma, proprio per questo, non bisogna dimenticare che la guerra mediatica nella creazione del mostro è stata molto intensa. Non a caso, a contrastarla sono stati, in primo luogo, gli stessi dissidenti dei paesi medio-orientali. I dissidenti sapevano bene che il mancato riconoscimento da parte dell’Occidente dell’esistenza nei loro paesi di una società civile li indeboliva, li lasciava da soli, mentre dava, contemporaneamente, argomenti ai reazionari. Si veda, ad esempio, nei numeri di “MicroMega” usciti intorno al 2006, quello che raccontavano lo scrittore egiziano Alā al-Aswānī, la disegnatrice iraniana Marjan Satrapi, il politologo iraniano Akbar Ganji. Tutti attribuivano all’informazione occidentale l’errore colossale di accreditare l’idea che i loro paesi fossero compattamente religiosi, privi di una società civile attiva e laica e che ribollissero, in compenso, di un odio indomabile per l’Occidente. Oggi quegli interventi spiegano la primavera del Medio Oriente.

Per anni è stata proposta un’immagine del Medio Oriente totalizzante, univoca, semplificata e venata di razzismo. Si spiegava, addirittura, che la logica dei mediorientali fosse diversa dalla nostra. Ironia della storia, nel Medioevo la filosofia araba averroista portò scompiglio nel mondo latino, perché, interpretando correttamente Aristotele, sosteneva che l’intelletto fosse uno, una la logica. Chi la abbracciava in Occidente finiva male: l’“averroismo latino” fu infatti perseguitato dalla Chiesa, e si ricorderà senz’altro uno dei suoi esponenti, Sigieri di Brabante (che Dante mette addirittura in Paradiso: Essa è la luce etterna di Sigieri, che, leggendo nel Vico de li Strami, silogizzò invidïosi veri), che morì pugnalato dal suo segretario ad Orvieto. Dante stesso, de resto, ebbe un forte interesse per l’averroismo, che affiora ad esempio nella Monarchia; e Averroé, “che ’l gran comento feo”, come si sa, lo si trova nel Limbo tra i sapienti.

Ora, però, si deve considerare con attenzione che l’idea del Medio Oriente “diverso” si è impiantata non solo perché corrispondeva all’ideologia della destra, ma anche perché incontrava quella della sinistra o di una sua parte consistente. Come la rivoluzione ungherese del ’56 raccontata da Indro Montanelli, che doveva essere “controrivoluzionaria”, perché questo soddisfaceva la sinistra comunista e la destra anticomunista, così il Medio Oriente doveva essere “antioccidentale”. Michel Foucault volle vedere addirittura nella rivoluzione khomeinista “la prima grande insurrezione contro il sistema globale, la più moderna e la più folle”. L’idea di arruolare il “mondo islamico” dentro un fronte anti-sistema la si può definire un’ingenuità o un vezzo irresponsabile.

Il paradigma dello “scontro di civiltà” ha regnato sovrano, insomma, perché era funzionale alla battaglia ideologica occidentale. Non così in Medio Oriente, dove non sono attratti da Samuel P. Huntington, e neanche da Oswald Spengler.

Proprio perché ben radicato nel profondo dell’ideologia occidentale, lo schema dello “scontro di civiltà” veniva assunto tacitamente anche da chi lo criticava. A sinistra, infatti, non si metteva in discussione la “diversità” intrinseca degli “altri”, ma solo il modo di avere un rapporto con essa. Di fatto il razzismo finiva per non essere stigmatizzato come il pregiudizio dell’esistenza di una “diversità” intrinseca all’umano (diversità di natura o per razza), ma come una qualità nel modo di rapportarsi a questa differenza.

Da una parte, per la propaganda di destra, bisognava affrontare, anche con le armi e senza deboli scrupoli morali, i “diversi”, che ci odiano per il nostro stile di vita. Dall’altra, bisognava disinnescare il conflitto con comprensiva e paterna tolleranza delle “differenze”, che comunque non venivano messe in dubbio. Lo scontro di civiltà era un fatto, il modo di affrontarlo, invece, un problema politico su cui potersi dividere.

Il messaggio di Osama bin Laden fu così recepito in pieno, in Occidente. Nel “mondo islamico” assai meno. L’attentato alle Torri Gemelle ha avuto l’effetto di renderci meno liberi e tolleranti. La rabbia e l’orgoglio di autoeletti rappresentanti dei valori occidentali ispirarono anche dei bestseller, prima che dei partiti paranazisti. Oriana Fallaci trionfò nelle vendite e con esse trionfò lo sdoganamento dei pregiudizi, contrabbandato come celebrazione della “nostra” tolleranza. Complice, di nuovo, la latitanza di una posizione democratica alternativa, forse anche perché la sinistra era troppo impegnata ad essere “antagonista”, oppure a inseguire la destra sul suo terreno, dando la caccia ai lavavetri e omaggiando la laicità delle radici cristiane, con severa ammonizione dei “laicisti”. Se consideriamo tutto quello che si è detto, va a nostro merito se, nonostante la valanga di messaggi feroci, non abbiamo (ancora) perso la bussola. Se siamo restati umani.

Al sequel di Oriana Fallaci seguì, naturalmente, un “dibattito”, ma, sebbene “articolato”, esso si guardò bene dal rimettere in discussione il Dogma di partenza, ovvero che “i musulmani” fossero “diversi” e che ci odiassero. Non si disse che non ci odiano: si cercò di dare risposte alternative al “perché ci odiano”.

L’11 settembre del 2001 ero in Siria: e non ho visto nessuno festeggiare, anzi. Tutti erano molto preoccupati. Ma già allora… che impressione che faceva la Siria! Quello che vedevo allora, mi permette oggi non sorprendermi delle rivolte coraggiose. Ci siano dimenticati che cos’è un paese pieno di giovani, l’energia che sprigiona. Fin dalle prime ore dell’alba facevano la fila per prenotarsi il corso di italiano, di inglese, di francese, di tedesco. Non necessariamente la loro aspirazione era emigrare, bastava l’interesse per un’Europa che, a Damasco, appariva veramente come la terra della rivoluzione, della libertà. Un modello di vita, fatto di libertà, che sono anche andare in discoteca o essere sessualmente e sentimentalmente liberi.

Che pena invece leggere i soliti editoriali, che pena ascoltare inverosimili seminari universitari nei quali si discuteva, come si trattasse di un problema vero, se le liberaldemocrazie dovessero accogliere i “valori diversi” degli “altri” (dove per “altri” si intendeva gli islamici). Persino sull’infibulazione si sono registrati, come se ci potessero essere, dei dubbi teorici in una prospettiva liberale cosmopolita. Più interessante sarebbe stato osservare che, inesistente nella maggioranza dei paesi di “islamici”, l’infibulazione – poiché è legata ad un area del mondo (Egitto, Africa centrale, Somalia, Eritrea) e non ad una religione – è praticata anche dai cristiani che vivono da quelle parti. Parte del mondo accademico, invece di esercitare autonomia e critica, si è dimostrato subalterno agli editoriali della stampa, scritti troppe volte in modo caricaturale da una parte e dall’altra. Il “politicamente corretto” è arrivato al punto che in alcuni paesi occidentali si è discusso della possibilità di introdurre parti della sharia nell’ordinamento giuridico per “accogliere” i musulmani. Forse un modo occulto per risolvere il problema dell’immigrazione, riproducendo il clima terrificante di casa?

Il fondamentalismo religioso fu messo giustamente sotto accusa. Ci si sarebbe aspettati che se ne ricavasse una maggiore fedeltà e coerenza sui valori non negoziabili della laicità. Invece, si assicurò che liberalismo laico e cristianesimo fossero la stessa cosa.

Lo scontro di civiltà ebbe anche un suo vertice teologico, con la Lectio magistralis di Papa Benedetto XVI su “Fede, ragione e università”, che definiva il carattere dell’identità europea nella sintesi di fede e ragione, realizzatasi proprio nel cristianesimo (in un certo tipo di teologia cristiana, peraltro, e cioè sostanzialmente in quella tomista). Una ricercatissima citazione tratta da Manuele II Paleologo individuava nella predicazione di Maometto “cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede”. Come se tale direttiva fosse del tutto sconosciuta al cristianesimo, che all’origine, proprio come l’islam, era la religione di un impero, e di questo prendeva l’ideologia universalistica riflessa poi nel proselitismo e nella “conquista”. Da questo punto di vista cristianesimo e islam si somigliano molto, perché comune è la loro radice storica, politica e geopolitica. Meglio: uno è stato il modello dell’altro. Manuele II Paleologo era accerchiato dai Turchi, ma quando Maometto II prese Costantinopoli si proclamò imperatore romano e il suo disegno politico era ricostituire l’Impero romano, sotto la nuova e ultima fede. L’universalismo e il proselitismo, declinati nell’espansione territoriale, non sono affatto predicati che appartengano a tutte le religioni, che possono anche chiudersi a fattore identificante delle comunità che le praticano.

Il dopo 11/9 è iniziato con la primavera araba. Ma che sarà della primavera araba? In un convegno (trasmesso sul Corriere.it), Panebianco prefigura il peggio. I Fratelli musulmani, gufava, è probabile che prendano il controllo delle rivoluzioni. Ne verrà una guerra, nella quale sarà coinvolta l’Europa che così però troverà la sua unità politica. Avrò capito male?

Certamente dalla primavera araba non nascerà dall’oggi al domani una democrazia svedese. Ma la storia è lenta. Dipenderà anche da noi.