Una nuova cultura dell’energia. Il nuovo libro di Luce Irigaray

Patrizia Melluso
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Come far nascere una nuova cultura dell’energia? Per rispondere a questa domanda concorrono tutte le competenze, potrei dire anche tutti i vissuti, di Luce Irigaray: il pensiero filosofico, il lavoro di psicoanalista, quello di studiosa del linguaggio, l’esperienza di praticante dello yoga.

“Una nuova cultura dell’energia. Al di là di Oriente e Occidente” è il nuovo libro di Luce Irigaray, pubblicato in Italia da Bollati Boringhieri. Luce Irigaray, da molti anni, pratica lo yoga. E’ lei stessa a raccontare, nell’introduzione, come ha incontrato questa disciplina: per curare o, meglio, rimediare ai danni di un incidente d’auto.

Ma questo libro non è, o non è soltanto, un libro sullo yoga. Riprende piuttosto il filo del ragionamento – svolto soprattutto in “Oltre i propri confini” del 2007 e in “Condividere il mondo” del 2009 – sull’incontro necessario tra culture differenti e sull’utilità di andare al di là di esse per costruire una comunità umana mondiale.

L’aspetto, per me, più affascinante del libro è l’accento posto dalla Irigaray sulla pratica personale che non si può separare dal pensiero. E’ la propria pratica personale dello yoga che ha portato l’autrice a sentirsi parte di Oriente e Occidente: “ormai appartengo a entrambi”, dice. E dice anche che non è tanto importante costruire ponti tra le culture, quanto sforzarsi di “essere ponti” tra culture differenti.

Come far nascere una nuova cultura dell’energia? Per rispondere a questa domanda concorrono tutte le competenze, potrei dire anche tutti i vissuti, dell’autrice: il pensiero filosofico, il lavoro di psicoanalista, quello di studiosa del linguaggio, l’esperienza di praticante dello yoga.

Ancora una volta, è la differenza fra i sessi, prima ancora che la differenza fra le culture, il punto su cui tornare per ritrovare “la più grande fonte di energia naturale”.

Un’energia che, a partire dall’attrazione sessuale, spinge ogni individuo “a trascendersi, ad andare al di là di sé, verso un altro”.

L’importanza della differenza sessuale è tuttavia ancora sconosciuta sia nella tradizione occidentale che in quella dello yoga e anche in questo libro Irigaray ci ritorna parlando dell’energia.

La pratica dello yoga può condurci, soprattutto grazie alla coltivazione del respiro, a fare l’esperienza di un’energia libera.
Ma il modo in cui si insegna e si pratica lo yoga in Occidente, nota Irigaray, ha un limite nell’assenza della dimensione relazionale e nell’occultamento della differenza sessuale.

E’ molto attenta, l’autrice, ogni volta che parla di yoga, a precisare che lo yoga con cui si confronta è quello che si pratica in Occidente dove ”gli insegnanti di yoga sostengono, proprio come nella tradizione occidentale, che il sapere è neutro.”

Anzi, sono molti gli episodi che Irigaray racconta in cui “l’ambiente dello yoga” ha reagito ignorando o trattando con sufficienza ogni suo tentativo di introdurre una riflessione sulla fecondità della differenza sessuale nel percorso spirituale. In proposito, vale la pena di notare che in questo libro sono spesso riferite esperienze personali, modalità in genere non presente in questa autrice che ha sempre tenuto molto a mantenere il riserbo sulla propria biografia.

In Occidente, continua Irigaray, si insegna a praticare yoga come tecnica performante: un percorso competitivo solitario, un divenire fatto “di presa, controllo, possesso”, un accumulo di vitalità che deve poi essere consumata.

E’ il modello proposto da Freud per la sessualità maschile, nota Irigaray: un accumulo di tensione che deve essere scaricata per tornare a un grado zero, all’omeostasi .

E invece l’energia deve essere conservata, coltivata e trasformata. Non in solitudine. Un divenire alimentato “dall’interrogazione, dalla sorpresa e dall’accoglienza accordate al divenire dell’altro” è possibile, dice Irigaray, solo se non si rinuncia alla fecondità della differenza sessuale. Lo yoga offre comunque la possibilità di sperimentare una forma di energia vitale che altrimenti resterebbe, per noi occidentali, sconosciuta. Nella cultura occidentale, infatti, l’energia è ingabbiata, immobilizzata: “si conosce soltanto sotto forma di istinti, pulsioni o passioni più o meno umane, più o meno patogene o reprensibili.”

La cultura occidentale non coltiva l’energia, si occupa invece di disciplinarla/reprimerla nelle bambine e nei bambini e negli adolescenti, e di consumarla negli adulti. “Nella nostra tradizione siamo stati abituati ad affidare il corpo ai medici e l’anima ai preti, oppure lo spirito ai professori. Siamo rimasti dipendenti dagli altri, quindi, come sono i bambini”. Il primo gesto di autonomia compiuto dal piccolo umano è il respiro autonomo (un gesto che non si compie senza angoscia e senza sofferenza: si accompagna infatti a un grido, e “non assomiglia certo a un grido di gioia!”). Ma non possiamo restare al respiro come esigenza vitale.

Per essere umani dobbiamo coltivare il nostro respiro e preoccuparci di mantenerlo nella sua purezza. “Una nuova cultura dell’energia” è un libro ricco di argomenti e lo si può leggere seguendo diversi filoni: il pensiero della differenza, l’educazione, il confronto tra culture. Molto interessanti, e da approfondire, sono alcuni nodi teorici, per esempio quello del confronto tra il “non nuocere”, primo insegnamento dello yoga, e l’amore, il “grande comandamento” della tradizione cristiana.

Il primo insegnamento dello yoga, dice Irigaray, è non nuocere a sé e agli altri. Nella tradizione cristiana, invece, il primo comandamento è l’amore (anche se è stato inteso soprattutto come amore di Dio e del prossimo, amato però “in Dio”).

Irigaray sostiene che l’amore è l’unica strada per portare a compimento la nostra umanità. Che cosa viene prima, dunque, qual è il primo “comandamento”?

La risposta di Irigaray a questa domanda è un ragionamento filosofico, un vero e proprio esercizio laico di pensiero fatto per cogliere, nella differenza delle culture e delle tradizioni, la propria sintesi personale.

L’amore, dice Irigaray, esige la necessità di non nuocere: “L’amore reciproco richiede innanzitutto un mutuo rispetto, non formale, ma assoluto nei confronti della vita e dell’esistenza di ognuno”, significa “lasciar essere l’altro: lasciarlo al suo cammino, al suo divenire, alla sua differenza, nel rispetto di se stessi.”

Se non nuocere è allora un gesto preliminare all’amore, in qualche modo questo gesto è reso possibile, a sua volta, da “una forma d’amore”, quel “prestare attenzione a chi è quest’altro(a), percepirlo(a) nella sua differenza.”

Un analogo percorso di attraversamento critico Irigaray lo propone anche rispetto ad un’altra “parola ponte” tra Oriente e Occidente: compassione.

Invece, la parola desiderio è sostanzialmente trascurata in entrambe le culture: perché – si chiede – negli ambienti spirituali, anche quelli legati allo yoga, il desiderio non viene mai evocato? “Forse perché il desiderio esiste grazie a una dualità umana di cui le tradizioni più elaborate non tengono conto e che non hanno coltivato come si dovrebbe.”

Anche il ruolo della percezione sensibile nella nostra evoluzione spirituale è analizzato con grande profondità (interessantissima la distinzione tra l’estasi mistica cristiana e l’illuminazione orientale), così come il confronto tra il differente valore dato alla parola e al silenzio nelle due culture.

Raccogliersi nel silenzio è indispensabile per scegliere il senso delle proprie parole, il silenzio è “la prima parola rivolta all’altro. E’ il segno della mia disponibilità ad accoglierlo(a) così com’è, senza piegarlo(a) al mio discorso, senza includerlo(a) nel mio mondo”. Questo insegnamento non viene dalla cultura occidentale, un mondo nel quale la meta del percorso umano è piuttosto, come in Hegel, “raccogliere in sé la totalità dei discorsi”.

L’ultimo libro di Irigaray è un libro di molte domande, a partire da quella fondamentale posta nell’introduzione: come portare a compimento la mia umanità? E’ un libro anche di molti insegnamenti, dei quali dobbiamo ringraziarla ancora una volta.

Io la ringrazierò soprattutto per un’illuminazione fondamentale, in questi tempi di banalità e di false semplificazioni.
Grazie allo yoga, dice Irigaray, le domande non le si presentano mai in forma astratta, puramente teorica o morale: “Sarà l’effetto della mia decisione sulla vita quotidiana a decidere della sua fondatezza.”
Nella nuova cultura dell’energia “è la nostra stessa esperienza che deve istruirci e insegnarci gradualmente a diventare i maestri di noi stessi. “

Luce Irigaray, Una nuova cultura dell’energia. Al di là di Oriente e Occidente, Bollati Boringhieri, traduzione di Paola Carmagnani, Torino 2011, euro 12.00