Intervista a Luisa Muraro

a cura di Mira Furlani

Luisa Muraro, dopo aver letto il mio articolo “Uguaglianza: una cultura conservatrice” mi ha detto di voler fare alcune precisazioni. Da questa sua richiesta sono nate alcune mie domande a cui lei ha gentilmente risposto

Mira: So che hai letto il mio articolo pubblicato nel Primo piano del 25 settembre sul sito Cdbitalia. Mi hai detto che è un titolo un po’ provocatorio: perché?

Luisa:  La forma di quel titolo si urta con la retorica corrente dei diritti umani universali, retorica che io non condivido perché molti diritti umani sono privilegi che vengono di fatto difesi con uno stato di guerra quasi permanente. Ma quel titolo si urta anche con il principio di uguaglianza che, almeno in Europa, ha ispirato cose come una scuola di qualità per tutti e l’assistenza sanitaria offerta indipendentemente dal reddito. Che sono due grandi conquiste di civiltà.

 Mira: Mi hai scritto che una cosa è il principio di uguaglianza e una cosa è la politica di parità: vuoi precisare?

 Luisa:  Le politiche di parità uomo-donna sono un’interpretazione recente del principio di uguaglianza. Queste politiche hanno di sbagliato che non considerano il valore della differenza donna/uomo, per cui davanti alle manifestazioni della differenza (per esempio, certe scelte di studio o di lavoro fatte da donne), le interpretano non come scelte libere ma come effetti di discriminazioni occulte. E fanno di tutto per cancellarle, con il risultato, simbolico e pratico di fare degli uomini il metro di misura delle donne.  Su questa base, per esempio, il lavoro a tempo parziale chiesto da molte in certe fasi della loro vita, viene ostacolato e, nelle statistiche, viene interpretato come un segno di svantaggio femminile. Il principio di uguaglianza domanda interpretazioni più intelligenti. Nella società circolano anche originali desideri femminili. In politica conta principalmente la leva su cui agire per ottenere effetti desiderabili. In Italia (e non soltanto) il movimento femminista ha sempre messo l’accento più sui desideri delle donne che sulla parità con gli uomini. Non così il femminismo di stato che prevale nelle politiche europee, fissato sulla parità.

Mira:  Non ti sembra che in nome dell’uguaglianza la donna sia fatta oggetto di riformismo utilitaristico?

Luisa:  Sì, capita in molti casi, lo svela anche quel linguaggio pseudofemminista che parla delle donne come di una “risorsa”. Fino a diventare una vera e propria beffa, come nel caso dell’età pensionabile.

Mira: Secondo te il diritto all’eguaglianza potenzia o depotenzia i diritti delle donne nella loro differenza dagli uomini?

Luisa:  Preferisco parlare di un principio d’uguaglianza, cioè di un a priori che sta a monte dei diritti. La tua domanda conserva tutto il suo significato. La risposta non è semplice ma cercherò di fare il taglio essenziale.  Che è questo, secondo me: il principio di uguaglianza, per se stesso, nel nostro tipo di società, può fare poco per le donne, in positivo o in negativo. Quello che indebolisce è non avere cura dei rapporti con altre donne e regolarsi, quanto a sé, su quello che gli uomini sono oppure vogliono. Anche l’essere contro gli uomini ha questo effetto dannoso. Quello che ci fa guadagnare è la presa di coscienza personale (che cosa mi piace, chi sono, che cosa desidero diventare…), più uscire dal confinamento familiare per studiare, lavorare, avere autorità, più la pratica dei rapporti tra donne. Che sono tre fattori che agiscono in circolo tra loro e rafforzano l’autonomia femminile. Lo dice la storia recente che, nei rapporti uomo-donna, ha visto un cambiamento favorevole alle donne e accettato dagli uomini.

Mira:  Da molto tempo, forse da sempre, sento il bisogno di dare una significazione libera della mia differenza di sentire e di agire nel mondo. Esistono mediazioni capaci di togliere capacità simbolica all’attuale cultura maschile della rappresentanza, sia in campo laico che in quello religioso?

Luisa:  Non mi piace l’espressione “togliere capacità simbolica”… La potenza simbolica non è mai una minaccia. Se l’altro (o l’altra) mi porta via il necessario per essere me stessa, forse le mediazioni che difettano sono quelle tra me e me, quelle necessarie a essere e a diventare me stessa, che sono le più fini e preziose. Si deve tener presente, d’altra parte, che la cultura della rappresentanza sta declinando; le subentra un individualismo portatore di solitudine e di narcisismi. O di fanatismi. È in questa direzione che oggi siamo chiamate e chiamati ad agire: che ci siano relazioni di scambio e non identificazioni, che ci siano conflitti se necessario ma non schieramenti (o, peggio, guerre), che ci sia mobilità interiore e non fissazione di sé né chiusura in qualche setta.  

Mira:  Puoi spiegare cosa intendi per invenzione di “pratiche di mediazione vivente”?

Luisa:  Volentieri, ma lasciami dire che l’ultimo capitolo del Dio delle donne(1) è dedicato a questo tema. Mediazione vivente significa esserci in prima persona nelle cose e tra le persone, e non farsi sostituire da parole già dette, da pensieri già pensati, dai comandamenti di entità morte. Il Dio vivente è presenza. Che cosa significa inventare pratiche: si tratta, a volte, di prestare attenzione al come organizziamo le cose, al come ci mettiamo in rapporto con le/gli altri, per togliere di mezzo rituali, automatismi, regole inutili, ripetizioni, cercando gesti e parole dotati di significato, Altre volte, si tratta di trovare le parole e i gesti della liberazione: di uscire dal seminato, mi piace dire, e questa è invenzione in un senso più forte.

Mira:  Secondo te l’attuale protagonismo femminile segna la differenza dagli uomini?

Luisa:  Sì, certamente, se non abbiamo in testa un’idea tutta fatta della differenza femminile (cioè, uno stereotipo).  Ma cerco di interpretare la tua domanda. Mi chiedi, forse, se non prevalga fra le donne l’imitazione degli uomini. No, secondo me, ma un certo imitazionismo permane, specialmente nella vita pubblica. Un segnale di ciò è nella preferenza per i titoli al maschile, preferenza che hanno espresso molte di quelle che fanno carriera: il sindaco, il deputato, il segretario, ecc. Non tutte: la presidente della Confindustria parla di sé al femminile, per esempio. Negli altri paesi europei il neutro-maschile è stato superato e di Angela Merkel, per esempio, si parla come della cancelliera. 

Mira:  Anche nelle Comunità cristiane di base alcuni uomini si stanno interrogando sulla loro differenza nei confronti delle donne. Alcuni gruppi donne delle CdB il 2-3-4 dicembre prossimo faranno il loro  19° Incontro naz.le separato e tu sarai con loro. Pensi sia giunto il momento che donne e uomini possano fare agire la loro differenza, per andare oltre l’uguaglianza dei diritti come assimilazione ai valori maschili esistenti?

Luisa:  Ogni realtà umana ha i suoi tempi e le sue esigenze. All’incontro dei gruppi donne delle CdB io sono invitata, cioè sarò ospite e non ho titoli per esprimere valutazioni come quella che mi chiedi. In generale, direi, è finita la politica che fissa i tempi in cui una cosa va bene o non va bene, in generale. La separazione va bene. Lo scambio uomini-donne in presenza, va bene.  Ma, in un caso o nell’altro, che si opti per la separazione o per lo scambio in presenza, si tratta di possibilità offerte a noi, donne e uomini, e poste oltre l’assimilazione ai valori maschili esistenti. Non tutti, non tutte colgono la possibilità di andare oltre? È il bello della libertà…

(1) Luisa Muraro, Il Dio delle Donne, Mondadori