Maroni, ministro dell’Interno o magistrato delle Galere?

Annamaria Rivera
www.micromega.net

Come si sa, “galera” nel senso di carcere o prigione viene da “galea” o “galera”, cioè una nave a remi e a vela, veloce e leggera, che fu in uso dal Medioevo fino al Settecento. E “galeotto” nel senso di condannato al carcere viene, appunto, dal nome dato ai rematori forzati: schiavi catturati mediante guerre e razzie, ottomani, disertori, eretici, vagabondi, debitori insolventi… Dal mondo delle galere viene anche la parola “aguzzino”: era colui che, armato di frusta o anche di sciabola e pistola, sorvegliava i galeotti incatenati al banco dei remi.

Faccio questa premessa perché nei giorni scorsi in Italia è circolata insistentemente una strana leggenda metropolitana, forse propalata dai soliti comunisti: si è raccontato che le autorità italiane avrebbero riesumato le galere – addirittura! – e che al posto dei forzati di un tempo ci sarebbe un altro genere di forzati: tunisini “irregolari”, sbarcati a Lampedusa nelle settimane precedenti e destinati al rimpatrio, fra loro perfino cinque minorenni e una donna.

Siamo andati a verificare: non è una leggenda metropolitana, ma, per quanto assurda sia, la pura e semplice realtà. Certo, non abbiamo visto le belle galee che facevano l’orgoglio, per esempio, della Repubblica di Venezia o della Marina turca, ma solo dei banali ferry-boat a motore, di quelli destinati di solito ai turisti. Si chiamano Moby Fantasy, Moby Vincent e Audacia. Uno di questi non potrebbe essere più sinistro: sulle fiancate, giganteschi personaggi da cartoon sghignazzavano sulla sorte dei migranti sequestrati a bordo.

Dunque, non una voce popolare, ma un fatto così reale che nei giorni scorsi la Camera penale di Palermo ha presentato un’interrogazione urgente al ministro dell’interno. I penalisti palermitani chiedono al Magistrato delle Galere, cioè a Maroni, se il “trattenimento a bordo delle imbarcazioni possa ritenersi conforme alla Costituzione, alla normativa europea e alla disciplina interna dei rimpatri” e se garantisca ai migranti “un trattamento che salvaguardi la dignità degli individui”.
Un esposto in Procura è stato presentato dal Forum Antirazzista, che chiede di accertare se il sequestro dei migranti nelle galere, oltre a violare le norme internazionali, non configuri i reati di violenza privata e abuso d’ufficio. Un esposto più circostanziato alla Procura di Agrigento sta per presentarlo l’Arci, che avanza l’ipotesi della privazione illegittima della libertà personale e del sequestro di persona.

Inoltre, in occasione di un convegno internazionale a Tunisi, sulle migrazioni e la libera circolazione nel Mediterraneo, al quale ho avuto l’opportunità di partecipare, tre cittadini tunisini hanno conferito agli avvocati dell’Arci il mandato di procedere per vie legali. Hanno raccontato, i tunisini, che, sequestrati in una delle tre galere, per una settimana sono rimasti stipati in cento in una sala, spesso provocati e offesi, costretti a dormire sul pavimento e a mangiare cibo che gli veniva lanciato per terra. Erano gli stessi poliziotti a concedere o no il permesso di uscire sul ponte per qualche minuto o di usare i servizi igienici.

Certo, gli “aguzzini” non erano armati di frusta e sciabola, ma – immaginiamo – di pistola e manganello, ma solo perché si sono ammodernati. E i tunisini non erano incatenati al banco dei rematori, ma solo perché i ferry-boat non sono imbarcazioni a remi.

Che dire? “Mondo era e mondo è”, come ripetevano rassegnate le nostre nonne? Dobbiamo accontentarci del progresso che ha sostituito i ferry-boat alle galere, i “tutori dell’ordine” agli aguzzini, le pistole d’ordinanza e i manganelli alle sciabole e staffili, un ministro dell’interno al Magistrato delle Galere? Il quale, oltre tutto, gongola e si pavoneggia degli illegittimi rimpatri collettivi dei 604 cittadini tunisini ai quali ha inflitto un trattamento così disumano. E a tal proposito: ci piacerebbe sapere da Maroni come mai a tal scopo abbia autorizzato un volo charter della compagnia romena Jetran Air. Solo per taccagneria, perché costa meno, perché questo si meritano i “clandestini”?

No, non è questo il progresso che ci piace. Quello per cui lottiamo è inscindibile dalla giustizia sociale e dall’uguaglianza, dalla dignità e dalla libertà. E libertà significa anche libertà di circolazione: il diritto di lasciare qualsiasi paese, compreso il proprio, e di ritornarci se si vuole, come recita l’articolo 13 della Dichiarazione universale dei diritti umani.