La generazione dei “teo-senza”

Marco Politi
Il Fatto Quotidiano, 21 ottobre 2011

Tre ricerche mettono a nudo la frattura tra Chiesa e giovani.
Crisi della fede è un’ espressione in fondo ottimistica. Pare la crisi delle banche. Qualcosa che con opportune ricapitalizzazioni si possa rimettere in sesto. Ma il fenomeno in corso nel Vecchio Continente, casa e colonna del cattolicesimo, va molto più in là. L’ Europa è entrata in un’era di de-cristianizzazione.

Il primo decennio del 2000 vede l’affermarsi di una generazione che nel suo complesso ha perso la memoria viva, il legame reale con il patrimonio cristiano. Armando Matteo, assistente ecclesiastico degli universitari cattolici (Fuci), parla di “prima generazione incredula” e non ha timore di affermare che il cristianesimo sta diventando estraneo agli uomini e le donne del nostro tempo.

Non devono ingannare le folle dei grandi raduni o le dichiarazione di “appartenenza” al cristianesimo, che si verificano nei sondaggi. È un’appartenenza senza credenza. Meramente sociologica. Ma se il divario tra identità formale e fede sostanziale è tipico anche di altre epoche, spesso caratterizzato da fluttuazioni nel corso dell’esistenza, il segno dell’attuale generazione incredula si rivela (per la gran massa, senza fermarsi alle piccole minoranze motivate) attraverso una «generale sordità quando si parla di Dio, di fede, di preghiera, di comunità».

Un atteggiamento che supera di molto la scarsa frequentazione della messa e dei sacramenti. È una perdita sistemica dei fondamenti culturali del cristianesimo, degli insegnamenti, dei simboli derivati dall’Antico e dal Nuovo Testamento. Il fenomeno si manifesta già nell’infanzia dal momento che la famiglia non esercita più luogo di trasmissione primaria della fede.

Sono scalzati dalle loro radici concetti potenti come eternità, creazione, provvidenza, destino escatologico. Paradiso e inferno non sono più rappresentabili. Darwin ha rovesciato l’immagine del Dio Creatore. Auschwitz ha reso impossibile l’idea che il male, per quanto grande, possa avere una sua funzione a fin di bene. Lo stesso Benedetto XVI nel suo libro-intervista Luce del mondo (Libreria editrice vaticana) riconosce ad esempio che oggi l’idea del sangue di Cristo come “riscatto” dai peccati dell’uomo rischia di non arrivare più ai contemporanei.

D’altronde, dalla sua predicazione contro il relativismo emerge la difficoltà a proporre il concetto di verità assoluta. Tramontati gli scontri ideologici del Novecento quando si contrapponevano ancora visioni del mondo forti, la novità radicale non consiste nell’aumento dell’ateismo. Sostiene giustamente Matteo che la nuova generazione non si pone contro Dio e la Chiesa, ma «sta imparando a vivere senza Dio e senza la Chiesa».

Riferirsi ai “vicini” o ai “lontani” rispetto alla religione, come si faceva ancora qualche anno fa, ha sempre meno senso. La maggioranza dei giovani si sente in cammino – anzi nomade – privilegiando il primato dell’esperienza personale. La presenza di Dio non è più un assioma individuale e sociale. Credere in Dio è una “possibilità”. Alessandro Castegnaro, che dirige l’Osservatorio socio-religioso del Triveneto, non a caso intitola una sua recente ricerca sul mondo giovanile C’è campo?. Il punto interrogativo esprime l’intermittenza con cui vengono captati i temi della spiritualità, della religione, della Chiesa.

Le nuove leve rispettano singoli esponenti ecclesiali e apprezzano la Chiesa, quando indica orizzonti di valori. Ma il distacco dall’istituzione è enorme e l’individualizzazione delle scelte è massima. Regole e credenze vengono sottoposte a un meccanismo di selezione e riduzione su cui la Chiesa non ha alcun potere. Dogmi fondamentali – come la persona di Dio, la figliolanza divina di Cristo, la resurrezione, l’aldilà – hanno assunto una fisionomia indeterminata.

Gran parte dei concetti teologici vengono avvertiti come immagini vecchie. La Chiesa nel suo complesso viene percepita come arretrata. «Non fate i conti con ciò che viviamo. Vi raccontate una storia che non c’è», riassume Castegnaro sintetizzando le confessioni emerse nei focus groups. In massima parte il revival religioso o spirituale non equivale a un ritorno in seno all’istituzione ecclesiastica. E c’è un dato interessante: adesso le ragazze si allontanano dall’istituzione esattamente come i ragazzi.

Non vale più lo schema del passato, in cui esisteva un maggiore attaccamento femminile alla Chiesa. Né la vitalità delle associazioni o dei movimenti è garanzia di una “riconquista”. La preziosa ricerca di Alberto Cartocci per il Mulino rivela che le regioni italiane, dove si realizzano maggiori iniziative di testimonianza e attivismo, sono anche quelle in cui la secolarizzazione avanza inesorabilmente. Si tratta delle regioni centro-settentrionali. Al Sud, invece, il minore sviluppo economico e sociale si accompagna alla tenuta di un cattolicesimo tradizionale.

Armando Matteo, La prima generazione incredula, Rubbettino, pagg. 110, € 10,00;
AA.VV., C’è Campo?, Marcianum Press, pagg. 626, € 39,00;
Roberto Cartocci, Geografia dell’Italia cattolica, Il Mulino, pagg. 200, € 15,00