L’altro Santo Natale

Rosa Ana De Santis
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E’ stato Natale per tutti, per i senza dimora, per gli stranieri, per i rom. Il mondo del volontariato e delle associazioni si è organizzato per offrire una giornata di festa e di condivisione anche a chi, nel nostro Paese, è solo o vive ai margini. A Bologna è stato organizzato un pranzo per gli anziani che non hanno famiglia, mentre a Roma la Comunità di Sant’Egidio, come ogni anno, ha accolto 700 persone nella Basilica di S. Maria in Trastevere per un pranzo di solidarietà, inaugurato dalle parole del Ministro Riccardi. La Caritas torna ad offrire il pranzo agli homeless nelle proprie strutture. Alla Stazione centrale di Milano squadre di volontari hanno animato il pomeriggio dei senza tetto che vivono tra i binari.

Molte le iniziative in tutto il territorio nazionale, utili a restituirci la fotografia del disagio e delle nuove povertà, togliendo quella glassa di retorica che un obbligato clima natalizio porta un po’ nelle case di tutti.

Il Ministro per l’integrazione, Andrea Riccardi, fondatore della Comunità Sant’Egidio, ha espresso preoccupazione per i recenti episodi di cronaca che fanno temere una degenerazione xenofoba grave del diffuso clima di intolleranza: la morte dei senegalesi a Firenze per mano di un militante dell’estrema destra, Gianluca Casseri, e il raid punitivo al campo nomadi di Torino alla ricerca di un violentatore rom che non esisteva. Nonostante questi segnali il Ministro si dice sicuro che l’Italia sia ancora un paese solidale, in cui la gente, nonostante la crisi e le difficoltà, ha voglia di aiutare e darsi da fare.

Eppure la sua proposta choc di investire sulla scolarizzazione dei figli dei rom e sulla possibilità di offrire loro una casa, per favorirne l’integrazione, aveva scatenato i peggiori reflussi razzisti non solo da parte delle persone comuni, ma anche da parte di colleghi di governo restituendo un’immagine meno ottimista sulla cultura italiana dell’accoglienza. Sarà che gli italiani immigrati nel resto del mondo sono stati pesantemente ghettizzati e discriminati, sarà che un avallato linguaggio dell’odio ha intessuto la politica degli ultimi anni, tutto ha contribuito a trasformarci in un paese che benedice i rimpatri, che non prova sconvolgimento per l’uccisione degli immigrati, che tollera il ritorno delle atroci mostruosità culturali del nazi-fascismo tra i propri figli.

Mentre, con l’altra mano, riduce i lavoratori immigrati in semi-schiavitù, fonda intere fette di produzione su questo meccanismo di sfruttamento, eliminando qualsiasi controllo e intervento sull’illegalità diffusa grazie alla penuria di strumenti da parte delle forze dell’ordine. Insomma una doppia identità che ha bisogno degli stranieri di notte e li perseguita di giorno e che spiega tutta l’inconsistenza delle presunte ragioni di chi vuole la cacciata degli immigrati e tutto il bisogno di avere un comodo capro espiatorio che paghi il prezzo per tutti del difficile tempo storico di transizione che viviamo. Un corso e ricorso, direbbe Vico, che conosciamo bene.

A Capodanno torneranno altre iniziative di solidarietà e molte saranno rivolte anche a tutte quelle famiglia italiane che sono sprofondate da un tenore medio di vita alla povertà. Anziani, padri separati, famiglie numerose. E’ nelle mani della sussidiarietà e dell’altruismo quello che dovrebbe competere al welfare di un paese. L’anno che verrà, come recita l’incipit di un celebre brano di un cantautore, non sarà migliore e tutti già lo sanno.

Alle istituzioni andrebbe l’obbligo di pensare alle fasce sociali più deboli e a chi ha pagato già tutto il costo della crisi globale. Agli italiani, ai comuni cittadini, il coraggio di comprendere che chi viene a farsi schiavo qui ha rinunciato a tutto, persino al diritto di rivendicare la propria identità. Zombie che lavorano di giorno nascondendosi dai vigili urbani, che dormono come detenuti nelle case degli italiani pagando caro il prezzo di una brandina e di una latrina, che vengono ammazzati da gruppetti di fanatici noti a chi dovrebbe tutelare la nostra sicurezza. Lavoratori, padri, madri, rifugiati che trovano in una chiesa un piatto caldo e una vaga atmosfera clemente del Natale che hanno lasciato a casa.