Parla l’equipaggio della Concordia

Luca Galassi
E-ilmensile, 17 gennaio 2012

“Non è vero che abbiamo abbandonato i passeggeri al loro destino. Io sono stato l’ultimo a lasciare la nave. Dopo aver messo in salvo tutti gli ospiti”. Joseph, 30 anni, indiano, è un membro dell’equipaggio della Costa Concordia in procinto di lasciare il residence ‘Fattoria La Principina’, in Maremma, dove è finito insieme ad altre centinaia di extra-comunitari a causa dell’imperizia di un comandante. Mille e ventiquattro persone: cinesi, indonesiani, sudamericani, asiatici, smistati per due giorni tra Grosseto, Principina Terra e Marina di Grosseto, luoghi di vacanza brulicanti d’estate, ma desolati a gennaio. Nessuno ha parlato di loro, dopo il naufragio, se non per accusarli: erano inadeguati, non sapevano cosa fare, pensavano solo a salvare se stessi.

La versione dei fatti è invece diversa. Loro sono stati i primi a soccorrere, e non tanto – o non solo – per l’altruismo e la solidarietà che sono spesso alla base delle loro culture. Ma perché addestrati a farlo. Oltre ad avere il sorriso pronto anche dopo 12 ore filate di lavoro, l’equipaggio deve conoscere a menadito le procedure in caso di emergenza. Così, si stupiscono, gli indiani che stanno lasciando il residence con un asciugamano in testa per ripararsi dal freddo, quando gli viene raccontato cosa dice la stampa italiana a riguardo. Ribattono sdegnati: “E’ falso. Totalmente falso. Io faccio il cameriere, ero nel ristorante al momento dell’incidente, non appena abbiamo ricevuto l’allarme è scattato il piano di emergenza. Solo quando tutti i passeggeri sono stati sbarcati abbiamo abbandonato la nave. Potete vedere le foto e i telegiornali. Dove si vede il ponte con le ultime persone a bordo, quelli siamo noi. E poi: se si fossero salvati per primi i membri dell’equipaggio, come si sarebbero salvati i passeggeri?”.

L’equipaggio – salvo alcune eccezioni – ha perso tutto nel naufragio: documenti, soldi, effetti personali, computer, telefonini. “Se avessimo badato alle nostre cose – racconta un altro indiano – si sarebbe perso tempo. Se avessimo recuperato dalle cabine i nostri soldi e i nostri documenti, forse il numero delle vittime sarebbe stato molto più alto”.

Di loro non ha parlato nessuno. Ma un assistente cameriere come Joseph, che ha rischiato la sua vita per salvarne altre, prendeva 509 dollari al mese per tredici o quattordici ore di lavoro giornaliere. Certo, con pause, anche lunghe, tra i turni di colazione, pranzo e cena. Ma in altri settori della nave c’era chi lavorava undici ore di fila con mezz’ora di pausa solamente. E’ uno dei cinesi, alloggiato all’hotel Villa Gaia di Marina di Grosseto. Lui, addetto alle pulizie, ha un contratto di 450 dollari. “Prima la compagnia ci pagava in euro, ora le cose sono cambiate”, spiega, senza rivelare il suo nome per paura, come tutti gli altri, di non venir pagato fino alla scadenza del contratto. “Mi hanno imbarcato due mesi fa. I prossimi sei mesi non li lavorerò, ma la compagnia mi ha promesso che onorerà il contratto. Capitemi: posso raccontarvi quello che volete, ma non posso rivelare il mio nome. Volete sapere se ci pagano poco? Sì, ci pagano poco. Se lavoriamo molto? Lavoriamo undici ore al giorno, ma se vogliamo fare più soldi ne lavoriamo anche quattordici, con il carico e lo scarico bagagli”. Viene da Shanghai. Molti altri, in capannello, vincono la diffidenza e si lasciano andare. A patto che non li si citi. Spunta una Babele di lingue e una galleria di volti: addetti alle pulizie, stewart, hostess, receptionist, fino ai semplici marinai. Un mondo multietnico che vuole rimanere anonimo fino in fondo. Raccontano di contratti di otto-nove mesi estendibili, siglati con un’agenzia nel loro Paese per lavorare sulle crociere dei ricchi in quasi tutti i mari del mondo. Aspettano la chiamata, lasciano le loro famiglie e stanno in mare per due-tre stagioni. Con stipendi da fame. “Certo, per gli standard asiatici va anche bene, ma per quelli europei siamo sottopagati”.

“Non è la prima volta per me – racconta un marinaio indonesiano -, con la Costa ho avuto altri due incidenti, uno nel 2009 sulla Costa Romantica, a Buenos Aires. Incendio a un generatore, molto fumo ma nessun ferito. L’altro sulla Costa Pacifica, credo nel 2010, abbiamo imbarcato acqua, ma anche lì niente di grave. Mai nulla come questo incidente. Ho avuto molta paura. Credo che per un po’ starò lontano dal mare”. Un cameriere colombiano ha fatto un corso per pompiere, obbligatorio sulla Concordia, grazie al quale ha potuto coordinare l’organizzazione per la risposta all’emergenza: “Ciascuno di noi sa in anticipo dove trovarsi in caso di incidente. Dopo esserci riuniti al punto di raccolta, abbiamo cominciato a gestire gli sbarchi. Spettava a me portare in salvo l’equipaggio, sui barchini a loro destinati. Garantisco che anche molti passeggeri sono stati caricati su questi barchini. I membri dell’equipaggio hanno lasciato i loro posti agli ospiti della nave, prima di salvarsi”. Cosa farà adesso? “Non lo so. Sono tre giorni che sono qui, aspettando i documenti per tornare a casa.

“Chi ci darà indietro le nostre cose? Non abbiamo più soldi. Tre mesi di contratto, più di tremila euro, sono rimasti sulla nave, nella mia cabina, sommersi, perduti insieme al mio computer e al mio passaporto”, lamenta un cinese. Un altro ribatte: “Anch’io li ho lasciati su, al cappellano”. Al cappellano? “Sì, a don Raffaele”. Come accade spesso in nave, marinai ed equipaggio affidano i loro soldi al cappellano di bordo, che dà a ciascuno una chiavetta per la cassetta di sicurezza. Circa il venti percento dell’equipaggio della Concordia aveva i suoi averi nella cabina del cappellano. “Perché è più sicuro, rispetto ad averli nella propria cabina. La compagnia paga cash, e bisogna tenerseli stretti, i quattrini. A me è accaduto di esser stato derubato di mille euro. Al mio collega hanno portato via tutto. Le navi sono così, non si può mai stare tranquilli”. La compagnia ha promesso di risarcire le perdite. L’equipaggio dovrà fare un inventario e presentarlo all’agenzia che li ha assunti, che lo girerà alla Costa Crociere. “Ci fidiamo poco – dice un cinese –. Se non avessi lasciato nulla in cabina, ma denuncio ugualmente la perdita di un computer e di duemila euro, secondo voi la società mi rimborserà? Non lo farò, ma chiunque potrebbe dichiarare il falso. Come si fa a controllare? Per questo non mi fido”.

I pullman sono arrivati, e gli ultimi membri dell’equipaggio della Concordia lasciano Marina di Grosseto. Coperte e vestiti sono stati forniti loro dalla Croce Rossa e dai volontari di Emergency della zona. Infreddoliti ed esausti, partono alla volta di Civitavecchia, poi Fiumicino, poi finalmente a casa. In attesa di ripartire, quando e se un altro contratto a termine li riporterà sulle navi dei ricchi. Sperando che su quelle navi vi siano sempre comandanti all’altezza del loro equipaggio.