La legalità dell’Acta sarà verificata dalla corte di giustizia europea

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La Commissione Ue ha intenzione di adire la Corte di Giustizia europea per verificare se l’accordo contro la contraffazione Acta, che ha suscitato proteste in tutto il mondo, non violi i diritti fondamentali. Lo ha annunciato il commissario Ue al Commercio Karel De Gucht. «Abbiamo l’intenzione di chiedere alla più alta Corte in Europa se Acta è in un modo o nell’altro incompatibile con i diritti e le libertà fondamentali dell’Ue, come la libertà di espressione, d’informazione o la protezione dei dati personali», ha affermato il commissario.

L’accordo internazionale anticontraffazione e pirateria informatica, dopo l’adozione da parte dell’Ue, è ora in via di ratifica negli Stati membri, ma nelle ultime settimane è scoppiato un intenso dibattito sulle misure in questo contenute, anche con azioni di protesta che hanno bloccato diversi siti web istituzionali. L’esecutivo di Bruxelles è stato poi accusato di mancanza di trasparenza nella conduzione dei negoziati con i partner internazionali, tenutisi tra il 2008 e il 2010. Da qui la decisione del Collegio dei commissari di oggi di rivolgersi alla Corte di Lussemburgo,

«La tutela del copyright non può mai essere una giustificazione per eliminare la libertà di espressione o la libertà di informazione. Per questo motivo, l’opzione di bloccare internet non è mai da prendere in considerazione». Lo ha indicato il Commissario Ue per la giustizia, diritti fondamentali e cittadinanza, Viviane Reding, commentando la decisione della Commissione europea di adire la Corte di giustizia sull’accordo commerciale contro la contraffazione Acta.

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L’Italia aderisce all’Acta: a rischio libertà della rete

Enrico Piovesana

“Immagina il tuo internet provider che controlla tutto ciò che fai online. Immagina farmaci generici, che potrebbero salvare delle vite, messi al bando. Immagina semi che potrebbero nutrire migliaia di persone tenuti bloccati nel nome dei brevetti? Tutto questo diventerà realtà con Acta: l’accordo commerciale anti-contraffazione negoziato in segreto da 39 Paesi”.

Dal 26 gennaio questa inquietante prospettiva, descritta in un video di denuncia che circola in rete*, ha iniziato a tradursi in realtà. Giovedì scorso a Tokyo i rappresentanti di 22 Paesi europei, tra cui l’Italia, hanno firmato l’adesione all’Acta, che dovrà essere ratificata l’11 giugno dal Parlamento europeo. Usa, Cana, Giappone, Australia e altri hanno già aderito lo scorso ottobre. Per l’Italia, a nome del ministro degli Esteri ‘tecnico’ Giulio Terzi, la firma è stata apposta dall’ambasciatore Vincenzo Petrone.

Di questo ‘monstrum’ legislativo internazionale si è parlato molto poco (il testo dell’accordo è rimasto segreto per un anno e mezzo, inaccessibile perfino al Parlamento europeo) nonostante le pesanti limitazioni che, una volta in vigore, esso avrà sulla privacy e la libertà degli utenti di internet e sul diritto alla salute e al cibo: diritti fondamentali che verranno sacrificati in nome della tutela dei diritti d’autore e dei brevetti gestiti dalle multinazionali dell’industria musicale, cinematogarfica, farmaceutica e agroalimentare. In una parola, in nome del profitto.

Non è un caso che, in coincidenza con la firma di Tokyo, il relatore dell’Acta per il Parlamento europeo, l’europarlamentare socialista francese Kader Arif, si sia clamorosamente dissociato e dimesso dal suo incarico, “allertando l’opinione pubblica” e denunciando “nel modo più vivo” la “mancanza di trasparenza nei negoziati” che hanno portato a un accordo che “può avere grosse conseguenze sulla vita dei nostri concittadini” e che “pone problemi per l’impatto sulle libertà civili, per le responsabilità che si fanno gravare sui provider, per le conseguenze che avrà sulla fabbricazione di medicinali generici”.

Grandi Ong internazionali, come Oxfam e Action Aid, hanno pubblicamente denunciato il devastante impatto che l’Acta avrebbe sulla produzione e commercializzazione di farmaci e vaccini generici a basso costo, massicciamente utilizzati nei Paesi poveri. Stesso discorso per la libertà di utilizzo di sementi e prodotti agricoli brevettate dalle multinazionali del settore.

Ma l’effetto dell’Acta che tocca più da vicino i cittadini italiani ed europei riguarda la privacy e la libertà degli utenti di internet. L’accordo, infatti, rende le aziende che offrono accesso alla rete (in Italia, ad esempio, Telecom, Vodafone, Infostrada, Tiscali, Tele2, Fastweb, ecc.) legalmente responsabili per ciò che fanno i loro utenti online non di fronte alla magistratura nazionale, ma di fronte alle multinazionali titolari di diritti d’autore.

A questi soggetti privati l’Acta riconosce il potere di agire direttamente, senza autorizzazione di un giudice, a tutela dei propri interessi commerciali, facendosi consegnare dai provider informazioni per l’identificazione dei loro utenti sospettati di violazione del copyright. In quanto legalmente corresponsabili della condotta dei loro utenti, i provider saranno spinti a monitorare preventivamente e costantemente l’attività di tutti i loro utenti.

Ricorrendo a sistemi di filtraggio degni delle peggiori dittature, le aziende che offrono accesso alla rete si trasformeranno così in poliziotti del web al sevizio delle multinazionali titolari dei diritti, censurando le proprie reti per evitare guai legali, con evidenti conseguenze sulla riservatezza e la libertà di espressione degli utenti.

L’accordo Acta è, in sostanza, la versione globale delle proposte di legge statunitensi Sopa e Pipa (contro cui lo scorso 18 gennaio è stato indetto il primo sciopero del web della storia), con l’aggravante di riguardare anche i brevetti farmaceutici e agroalimentari e di essere stato negoziato senza alcuna trasparenza, il che non è mai un buon segnale.

L’adesione all’Acta dei Paesi europei ha scatenato proteste in rete (e petizioni online). Solo in Polonia la mobilitazione è uscita dal mondo virtuale con grandi manifestazioni di piazza e un’originale iniziativa dei parlamentari dell’opposizione di sinistra, che hanno indossato in aula maschere di V per Vendetta.