Il nostro parlare di Dio di S.Salomone

Stefania Salomone
Cdb San Paolo (Roma)

Definisco il Dio teistico come “un essere con potere soprannaturale, che dimora al di fuori di questo mondo e che invade il mondo periodicamente per realizzare la sua divina volontà”. [1]

E’ evidente che nella nostra comunità da tempo abbiamo superato questo tipo di idea del divino. Talvolta però, a mio avviso, tendiamo a conservarne il linguaggio e la gestualità.

Da alcuni mesi ho scelto di parlare di dio, con la minuscola, proprio per allontanare la tentazione di considerarlo “nome proprio di persona”. E’ stata forse la cosa più semplice e meno problematica da fare, per incominciare. Quindi ne parlo utilizzando il pronome “esso” e non “lui”.

Certamente si tratta di una mia personale esigenza, ma è una modalità nella quale si rispecchia il percorso che ho intrapreso. E questo percorso non è propriamente facile.

C’è qualcosa di spaventevole e solitario nel riconoscere che non siamo più bambini dipendenti dal Dio-genitore teistico, ma se saremo capaci di andare oltre quest’ansia, possiamo sperimentare qualcosa di profondamente tonificante. Mi riferisco ad una divinità che non è “un essere” nemmeno se rivendichiamo per Dio lo status di Essere supremo. Parlo piuttosto del Dio di cui facciamo esperienza come Fondamento e Sorgente di tutto l’essere, quindi della presenza che mi chiama a passare oltre ogni confine verso la pienezza di vita con tutte le sue stimolanti insicurezze.

Dire queste cose non è lanciare un attacco a Dio; è piuttosto sostenere l’ovvio: che nessuna parola umana, nessuna spiegazione umana capterà mai l’essenza di Dio. Dovremmo senz’altro sospettare del fatto che del Dio teistico si dica che abbia la vocazione primaria di prendersi cura, vegliare e provvedere alle necessità delle creature stesse che lo hanno definito.

Gli esseri umani sono davvero fatti a immagine di Dio, come l’antica saggezza ha testimoniato, o ci siamo auto illusi nel pensare una cosa del genere per giustificare l’ovvio, cioè che il Dio teistico del passato è stato creato da noi e a nostra immagine?

E’ chiaro comunque che possiamo parlare di Dio solo con parole umane. Non ne abbiamo altre. Ma il linguaggio antropomorfico che possediamo è sempre distorcente, lo dobbiamo riconoscere. Quel che mi pare indispensabile è un dibattito oltre le tre inadeguate definizioni di Dio – teismo, deismo o ateismo – allo scopo di suggerire nuove possibilità. [2]

Qui di seguito riporto una breve tabella, che potrà sembrare semplicistica (o forse addirittura inutile), ma ritengo personalmente che rispondere alle domande contenute possa esserci d’aiuto per dare il via alla nostra discussione.

L’oggettivizzazione di Dio. Dio diventa un essere molto speciale, concreto, un individuo che vive “lassù o là fuori”. E’ una persona che ama, perdona, ordina, ha un progetto. Ancora oggi la stragrande maggioranza dei credenti di questo pianeta crede che sia letteralmente così. Non si rischia l’antropomorfismo?

È onnipotente. Signore, padrone assoluto di tutto, da cui dipende interamente l’essere umano. Giudice universale che premia e castiga. Non si rischia di negare la sua “bontà”?

Si prende cura con la sua “provvidenza” della storia umana ed esercita e detiene la responsabilità ultima sul suo corso e sulla sua fine. Non ci deresponsabilizza?

E’ il creatore che un giorno ha deciso di creare, invece di continuare a lasciar esistere il nulla. Essendo creatore, è assolutamente trascendente, totalmente diverso dal cosmo che avrebbe potuto non esistere mai se il creatore non avesse deciso di farlo sorgere e mantenerlo continuamente in essere. Siamo di fronte a un dualismo radicale che pone l’Assoluto da un lato e la realtà cosmica, spogliata da ogni valore, dall’altro?

Tradizionalmente è stato un Dio della mia religione che ci ha scelto e ci protegge di fronte agli altri, ci ha rivelato la verità e ci da una missione universale per salvare gli altri. Un Dio tribale, particolarista, provinciale?

 

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[1] John Shelby Spong “Un cristianesimo nuovo per un mondo nuovo” – Ed Massari, 2010
[2] John Shelby Spong. Op. Cit.