Quel giusto equilibrio fra il cuore e la mente

Vito Mancuso
Repubblica, 29 dicembre 2013

Caterina Simonsen, studentessa di veterinaria all’Università di Bologna da tempo seriamente malata, qualche giorno fa su Facebook ha scritto così a favore della sperimentazione animale in ambito medico: «Ho 25 anni grazie alla vera ricerca, che include la sperimentazione animale, senza la ricerca sarei morta a 9 anni». Ha aggiunto di studiare veterinaria «per salvare gli animali», di essere vegetariana, e nel suo profilo mostra una foto che la ritrae mentre bacia il suo criceto di nome Illy. Nel giro di qualche ora ha ricevuto centinaia di messaggi offensivi, tra cui una trentina di questo tipo: «Era meglio se morivi a 9 anni brutta imbecille, io sperimenterei su persone come te»; oppure: «Se per darti un anno di vita sono morti anche solo 3 topi, per me potevi morire pure a 2 anni». Penso sia lecito chiedersi dove siamo finiti e che ne sia ormai della solidarietà umana.

Come Caterina Simonsen, anch’io ho scelto di non mangiare più carne, è una scelta che mi fa sentire solidale con la vita, che reputo sacra in ogni sua manifestazione, umana e animale. Anzi, penso che la vita sia sacra già a livello vegetale e che di per sé non si dovrebbero mangiare neppure le patate e le cipolle che sono tuberi e possono generare vita, e infatti i monaci giainisti non le mangiano cibandosi solo di frutti. Ma non basta, occorrerebbe chiedersi se un albero voglia darci i suoi frutti, che non ha certo prodotto per noi, e se raccoglierli non implichi una forma di violenza, per lo meno di quella legata al furto. Non a caso Gandhi scriveva che «il consumo dei vegetali implica violenza», aggiungendo però subito dopo: «Ma trovo che non posso rinunciarvi». Da qui il profeta della non-violenza concludeva che «la violenza è una necessità connaturata alla vita corporea». La nostra vita, in altri termini, per esistere si deve nutrire di altra vita che deve necessariamente sopprimere. Per questo nessuno è innocente e nessuno è in grado di stabilire con certezza dove si debba attestare il rispetto per la vita…

Tale conclusione sull’alimentazione vale anche per la cura medica: anche qui c’è un’inevitabile dose di violenza, come mostra già il nostro sistema immunitario del tutto simile a un esercito di professionisti senza scrupoli. Si potrebbe obiettare che i batteri eliminati dai globuli bianchi e le cavie su cui viene condotta la sperimentazione nei laboratori non sono la stessa cosa perché i primi sono aggressori e gli altri no, ma io penso che anche i batteri che entrano nel nostro corpo siano innocenti perché fanno solo il loro mestiere senza nessuna intenzione di aggredirci. In realtà la violenza è intrinseca in ogni sistema di difesa: se vuole continuare a vivere, nessun vivente può uscire indenne dalla catena di violenza di cui è impastata la vita, e per questo nessuno ha il diritto di tirare la prima pietra condannando chi mangia carne o chi sostiene la ricerca mediante sperimentazione animale.

Tuttavia dalla catena di violenza di cui è intrisa la vita alcuni esseri umani desiderano emanciparsi, e questo è un nobile ideale che a mio avviso va sostenuto. Nessun altro essere vivente può concepire tale emancipazione, solamente l’uomo lo può, mostrando in questo di essere ben al di là della vita animale. Sto dicendo che gli animalisti, con il loro sostenere un comportamento del tutto privo di violenza verso gli animali e con il loro volere per gli animali gli stessi diritti dell’uomo, mettono in atto un comportamento che li distanzia al massimo dal mondo animale. Nessun animale carnivoro infatti cesserà mai di mangiare carne, nessun animale erbivoro deciderà mai di astenersi dai bulbi e dai tuberi, nessuna specie animale estenderà mai alle altre specie i diritti di supremazia che la natura lungo la sequenza della selezione naturale le ha concesso.

A parte quella umana, nessuna specie cesserà mai di seguire l’istinto sotto cui è nata. L’uomo al contrario ha imparato a poco a poco a estendere gli ideali di giustizia a tutti gli esseri umani, compresi quelli dalla pelle diversa, e oggi alcune avanguardie stanno lottando per allargare tali ideali ad altri esseri viventi. Tutto ciò, esattamente al contrario del naturalismo professato da alcuni animalisti, mostra in modo lampante lo iato esistente tra Homo sapiens e gli altri viventi. Se gli esseri umani lottano per estendere agli animali gli stessi diritti dell’uomo non è quindi perché non c’è differenza tra vita umana e vita animale, ma esattamente al contrario perché tra le due vi è una differenza qualitativamente infinita.

Ponendosi in tale prospettiva di estensione degli ideali di non-violenza anche al mondo animale, Gandhi scriveva: «Aborrisco la vivisezione con tutta la mia anima. Detesto l’imperdonabile macello di vita innocente nel nome della scienza e della cosiddetta umanità, e considero del tutto prive di valore le scoperte scientifiche macchiate di sangue innocente». Per questo, al di là delle ignobili offese a Caterina Simonsen che meritano solo l’oblio, io ritengo che nella campagna animalista contro la sperimentazione sugli animali vi sia qualcosa di importante. Si tratta dell’appello a estendere a tutti i viventi l’imperativo categorico della vita etica, formulato da Kant alla fine del Settecento solo in prospettiva antropocentrica: «Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre come fine e mai solo come mezzo». Oggi si tratta di giungere a trattare «sempre come fine e mai solo come mezzo» non solo l’umanità, ma, per quanto è possibile, tutto ciò che vive: gli animali, le piante, i mari, le montagne, il pianeta, il cosmo… tutto dovrebbe essere visto in una prospettiva non utilitaristica ma vorrei dire contemplativa, in cui si contempla la natura delle cose rispettandole per quello che sono e cessando di calcolare solo l’utile che ne viene a noi, per una filosofia ecologica di cui il nostro tempo e il nostro spazio hanno urgente bisogno.

Attenzione però alla saggezza del grande filosofo: dicendo «mai solo come mezzo», Kant ricordava che un elemento di strumentalità è sempre connaturato al vivere, nel senso che ognuno di noi in alcune circostanze è anche un mezzo per la vita degli altri. Ciò ci dovrebbe portare a quel saggio equilibrio del cuore e della mente che mette al riparo da ogni radicalismo fanatico e che porta ad appoggiare la liceità etica della sperimentazione animale laddove davvero non vi sia altra possibilità per sconfiggere le malattie degli uomini e degli stessi animali.

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Dalla parte di Caterina

Fabrizio Casari
www.altrenotizie.org

Si chiama Caterina Simonsen, ha venticinque anni. Vegetariana, studia per diventare veterinaria. Dall’età di nove anni deve la sua sopravvivenza ai farmaci e ai ricoveri. Perché Caterina è vittima di un dramma che le ha reso la vita un calvario difficilmente immaginabile. Si sarebbe portati a pensare che una vicenda come la sua dovrebbe portare ad un istintivo moto di solidarietà, ma far di conto con la solidarietà ai tempi dei social idiots non è così semplice.

Succede infatti che Caterina, dalla sua pagina di Facebook, si rivolge alle persone che le vogliono bene e a coloro che la seguono, ringrazia ed elogia il Servizio Sanitario Nazionale e ricorda di essere viva grazie ai farmaci con i quali si cura. Ricorda anche che gli stessi farmaci sono in commercio in virtù della loro efficacia, raggiunta anche grazie alla sperimentazione animale che ha permesso indovinare la miscela chimica giusta.

Ma Caterina non aveva fatto i conti con gli animalisti. Sì, esistono anche loro, gli animalisti. Che svolgono una funzione utile nell’educare al rispetto e alla cura per gli animali e si rendono decisivi nel salvare molti randagi da un destino crudele ma che diventano ridicoli quando presumono di poter elevare gli animali a precetto divino, una sorta di Alfa e Omega dei comportamenti che dovrebbero regolare le umane attività.

L’animalismo è una corrente di pensiero più che rispettabile, degna comunque di considerazione, persino etica, che parte dalla decisa messa in discussione dell’antropocentrismo. Propone l’abolizione non solo dei farmaci ma anche dei cibi realizzati con componenti animali e, forse troppo spesso, tende a sovrapporre sperimentazione con vivisezione.

Chiede comunque agli uomini, auspicandone l’assoluta assenza di comportamenti sopraffattori verso gli animali, d’interrompere la catena naturale alla quale ogni animale, in virtù del suo istinto, non rinuncerebbe mai. La forza, la sopraffazione, il possesso, la logica del controllo del territorio e le gerarchie di branco, il bisogno di uccidere per sfamarsi, elementi presenti nella catena naturale di ogni animale, non consentirebbero nemmeno al più docile degli stessi rinunciare all’istinto e alla caratteristica genetica della quale è formato.

Ma la serietà delle argomentazioni animaliste s’infrange contro le estremizzazioni dei suoi concetti. L’estremismo di alcune posizioni, del resto, annullando in radice la ragionevolezza delle argomentazioni, incide sulla loro stessa autorevolezza, insudicia anche le posizioni più coerentemente intelligenti e fa apparire la sensibilità per gli animali una sorta di manicomio a chi vi si avvicina. Il caso è emblematico: detti animalisti, mentre si dicono contrari alla morte per gli animali, senza indugio si augurano la morte per Caterina.

Dal web piovono insulti deliranti: “dovresti morire”, “sarebbe stato meglio che fossi morta nove anni fa” e via farneticando. Molti di coloro che hanno inviato messaggi auguranti la morte di Caterina si sono probabilmente curati in infanzia o adolescenza (e hanno probabilmente curato i loro figli) con farmaci i cui test sono stati effettuati su animali, ma ora l’odio prevale. L’accusa è quella di adoperare farmaci testati su animali, pratica considerata criminale. E non si chiede mai come siano stati sperimentati gli stessi farmaci veterinari.

Ovviamente, non si sta parlando della vivisezione, barbaro accanimento pseudoscientifico inutile ai fini farmacologici; si sta parlando di sperimentazione dei farmaci sugli animali. Che vengono utilizzati come cavie in quanto specie vivente più simile all’uomo. E su chi andrebbero altrimenti sperimentati? Su altri uomini? Tesi stravagante, comunque cara a Mengele.

A Roma ci sono oltre trecento milioni di topi. Rappresentano una delle emergenze ambientali della città. Non sono certo una razza a rischio di estinzione, mentre continuano a rappresentare un pericolosissimo veicolo di malattie molto serie. Quale sarebbe il crimine di una sperimentazione sui topi dei farmaci?

Gli idioti ci sono sempre stati e il problema non è risolvibile. Statisticamente c’è chi sostiene che ogni 10 esseri umani vi siano un malvagio e uno stupido, e che quasi mai siano la stessa persona. Il generale De Gaulle, dopo la liberazione di Parigi, a chi gli chiese di fare qualcosa conto l’idiozia rispose che si trattava di “un programma troppo vasto”. Ma nel 1945, almeno, gli idioti non si esprimevano se non nella loro ristretta cerchia di simili. Non avevano la possibilità di postare, twittare e quant’altro all’intero cyberspazio le proprie imbecillità.

Forse sono i limiti oggettivi della democrazia, che comunque preferiamo imperfetta ma vigente. Ma per stasera, l’unico intento è quello d’inviare un abbraccio forte a Caterina e dirgli che siamo con lei, la vogliamo viva e, per quanto difficile, felice di esserlo.