Contributo per l’ incontro nazionale delle Comunità cristiane di base di ConferenzaRegionaleVolontariatoGiustizia

Contributo per l’ incontro nazionale delle Comunità cristiane di base “vino nuovo in otri vecchi ” (lc. 5,37) novità e contraddizioni nella comunita’ e nella societa’ al tempo di Francesco

Conferenza Regionale Volontariato Giustizia F.V.G.

“Ciò che abbiamo udito, ciò che abbiamo visto con i nostri occhi, ciò che abbiamo contemplato, ciò che le nostre mani hanno toccato”: (1Gv. 1,1-3)

Così Bartolomeo 1°, patriarca di Costantinopoli  a Lesbo assieme a papa Francesco e al patriarca di Atene sabato 16 Aprile u.s.: “…abbiamo viaggiato fin qui per guardare nei vostri occhi, sentire le vostre voci e tenere le vostre mani nelle nostre ” . E quei tre rappresentanti di comunità cristiane si son sentiti obbligati ad uscire da uno schema preordinato di dottrine e di sistemi culturali, e si son messi in sintonia con il grido dei protagonisti del drammatico momento storico : il grido dei rifugiati.

E’ il cammino di fede: un cammino che ci fa lasciare le sicurezze delle città-difesa dalle rassicuranti mura del quotidiano e ci fa intraprendere la strada di un’avventura incerta. E’ il cammino delle Comunità Cristiane di Base.

E ogni viaggio presuppone un ritorno alla quotidianità con rinnovata forza ed energia, e uno degli elementi che si ricorda maggiormente è senz’altro il volto di alcune persone. “Cerco il tuo volto Signore… ciò che abbiamo visto con i nostri occhi” scrive l’evangelista Giovanni. E papa Francesco a Lesbo dice :  “che cosa hanno visto i miei occhi? “ Hanno visto tanta sofferenza, tanto dolore. E voglio dirvi che non siete soli ” .

Da qui comincia la “riappropriazione della parola di Dio per incarnarla,” perché ci sono coloro che fanno teologia ufficialmente e coloro che semplicemente vivono questa Parola non solo con il gusto di “servire”, ma anche di toccare, di condividere.

Tutti noi sogniamo un altro mondo possibile e percepiamo i cambiamenti storici notando i ritardi, le presenze e le assenze. Perché la teologia è una scelta, una fedeltà, una passione;  mentre le discussioni teologiche sono un’eredità di certe visioni del mondo maturate nella disciplina. Ma i gesti e i sapori della vita cambiano da luogo a luogo, da tempo a tempo.

È il cammino di fede con l’unico vero bagaglio della propria debolezza, dei propri limiti. “Le mie pecore ascoltano la mia voce“.

Voce è un termine che dice relazione, intimità, prima ancora che le cose dette. La voce, la seduzione di una voce. Da qui nascono le Comunità Cristiane di Base: un popolo dell’ascolto non delle visioni, perché qualcuno continua a gridare “…Avevo fame..  ero in carcere..  ero ammalato..” Ecco la voce del Signore, “…parla, Signore che il tuo servo ti ascolta”. C’è il rischio che la voce del Signore sia coperta da troppe voci; che la parola di Dio venga soffocata da un diluvio di parole di uomini: “ uno solo è il vostro Maestro, il Cristo” (Mt.23,11).

E si è alzato dalla cena, ha deposto la veste, ha preso un asciugatoio, se l’è cinto ai fianchi. E poi, gettata dell’acqua nella catinella, cominciò a lavare i piedi dei discepoli, ad asciugarli con l’asciugatoio con cui si era cinto, e alla fine ha detto : “ vi ho dato un esempio, perché come ho fatto io facciate anche voi”. E poi ha dato il pane anche al traditore, Giuda, e lui sapeva che lo avrebbe tradito.

“.Ora il figlio dell’uomo è stato glorificato” (Gv. 31,33)

La teologia è l’avvicinamento all’invisibile attraverso il visibile. L’invisibile è il mistero, è l’opportunità di inventare nuove e più giuste strutture sociali e religiose che garantiscano la vita ai figli, che consentano di trovare un lavoro duraturo, di avere i mezzi per curare una malattia e di vivere in armonia con la natura (la Coop, la Comunità, la Tempesta, l’Oasi del Preval, Farra Casa Ioana…).

Teologia non sempre è una “parola” o un discorso su Dio, ma è anche silenzio, soprattutto quando entriamo nella vita, nella storia di certe persone (il silenzio nella CdB di Gorizia con il digiuno quaresimale per immergermi nella storia delle celle del carcere).

Nel racconto della storia dei detenuti la teologia c’è già: “ero in carcere e tu…” (le Via Crucis). Più che parole sono coraggiosi avvicinamenti, volti, gesti, sensazioni, dolori, assenze, presenze, gesti individuali e comunitari, gesti che sono esclusivamente di chi li fa e li disegna nell’aria della quotidianità più intensa.

Nel cammino di fede in gruppo certamente la fatica è minore se c’è un continuo sostegno reciproco e se si crea nel gruppo una sorta di benefica competizione che incentiva il debole e frena colui che è più forte.

Spesso questa possibilità di interpretare si realizza senza sapere se le nostre interpretazioni saranno accettate perché si intrecciano sempre con quelle di altri. Si tratta di capire il loro senso, il loro modo di intendere o di dire le cose in altro modo.  Si tratta quindi di un avvicinamento tra differenti scelte, fedeltà e passioni. E’ l’esperienza che vive in intima relazione con la lentezza del tempo.  Ci sono gesti che non rivelano risposte e ci obbligano ad uscire da schemi preordinati da dottrine e da sistemi culturali. E la mia teologia cerca e si mette in sintonia con la ricerca dei protagonisti  (Salvatore, Dorian) diventando così solidale e addirittura complice perché i soggetti della teologia devono seguire la vita con i suoi delicati movimenti, e stare dentro essa.  Chi non ha vissuto la preoccupazione del vitto, dell’alloggio, degli affetti, la notte della vita impregnata di sentimenti e di emozioni con la percezione dell’abbandono e dell’ incertezza per il proprio sostenibile futuro?

Sono momenti difficili è vero, l’insicurezza impedisce di gustare l’originalità dell’istante: è necessario toccare.

Ed è in questo contesto che si fanno strada le mie inquietudini: la dignità e la giustizia sono possibilità reali che ho per toccare o sfiorare il mistero. Dignità e giustizia evocano un altro modo di stare nella vita e di incontrarla e, al tempo stesso, un altro modo di essere: sono gesti esistenziali.

Se la vita in quanto tale è davvero l’unico bene posseduto, come non mettercela tutta affinché essa possa essere dignitosa e confortevole per tutti?

Oggi nella comunità di base non solo riconosciamo, nonostante i gesti di papa Francesco, l’insufficienza del linguaggio, ma anche l’insufficienza dei gesti. C’è la necessità di tornare a leggere la storia della nostra comunità a partire dall’insufficienza e di cominciare un cammino per cercare umilmente i contesti della vita delle persone perché la teologia sostenga veramente la vita. Essa deve seguire i passi delle nostre migrazioni interiori ed esteriori, e anche quelle dei nostri sogni, e dei sogni di tante persone. Si tratta di una sensibilità profonda nell’interpretare ciò che i sogni insegnano nelle notti piene di solitudine e di dubbi per tutto ciò che la vita custodisce segretamente e che solo l’amore scopre “…voglio che abbiate la vita e che l’abbiate in abbondanza”.

La nostra memoria è troppo corta per mantenere in noi questi 40 anni di storia per poterci impegnare e non voler dimenticare. Tuttavia a volte questi ricordi ritornano, come se volessero tornare a vivere in noi, a ispirare un’altra storia, un’altra politica, un’altra chiesa, un’altra religione, un’altra pace.