Vincono i reazionari, progressisti schiacciati

di don Vitaliano della Sala
da il manifesto, 25 gennaio 2009

Che il Papa abbia accolto la richiesta formulata da mons. Bernard Fellay, Superiore della Fraternità Sacerdotale San Pio X, di rimettere la scomunica in cui erano incorsi i 4 vescovi lefebvriani ordinati illecitamente nel 1988 è, di per sé, una bella notizia, a prescindere dall’essere d’accordo o meno con i seguaci di mons. Marcel Lefebvre. Inutile dire che il sottoscritto non condivide molto con questo gruppo tradizionalista.

L’esclusione ha tracciato lungo la storia della Chiesa una scia rossa di sangue e di dolore, mentre si sente sempre più il bisogno di una Chiesa che, come diceva don Tonino Bello, il compianto vescovo di Pax Christi, deve essere capace di realizzare anche al suo interno una «convivialità delle differenze» tra chi la pensa in modo diverso, fatte salve le Verità di fede: solo in una logica dell’inclusività è l’avvenire anche della Chiesa.

Riflettere sul tema dell’esclusione nella Chiesa, mi ha fatto ricordare la parabola evangelica del piccolo granello di senape che diventa un albero frondoso, «e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra» (Luca 1, 51-53): paradigma della Chiesa-altra che sempre più cattolici sognano e si impegnano a costruire. Una Chiesa inclusiva, che non emargina, non usa la pesante scure del giudizio su nessuno; una Chiesa degli esclusi e non dell’esclusione, capace di accogliere, di portare tutti nel suo seno.

Si sa molto dell’Inquisizione nel medioevo; poco si sa e meno si parla dell’Inquisizione moderna, probabilmente perché solo pochi sono a conoscenza dell’impressionante tuffo nel passato che sono i processi “interni” che le varie Congregazioni vaticane intentano ogni anno contro preti, religiosi e teologi cattolici, in maggioranza progressisti, rei di non aderire, non tanto alle verità di fede e ai dogmi, quanto piuttosto alle mille pieghe delle elaborazioni del magistero pontificio, di cui si vuole ostinatamente ribadire, contro la centralità del Vangelo, la fondamentale importanza.

Qualcuno dovrebbe raccogliere i frammenti di storia di tutti i provvedimenti disciplinari, o delle precisazioni dottrinali, emanati dal Vaticano negli ultimi 25 anni contro quei sacerdoti, teologi e religiosi che hanno adottato un approccio molto più ampio e flessibile nel trattare la delicata questione dei rapporti tra annuncio evangelico, strutture religiose, contesti storico-sociali e norme morali. Ne emergerebbe, tra l’altro, la storia del tentativo di difendere la visione della Chiesa come istituzione – gerarchica, autoritaria e centralista – tutta tesa a tradurre il messaggio rivoluzionario del Vangelo in norme morali e giuridiche, e purtroppo i lefebvriani di questa chiesa sono nostalgici e paladini.

Provvidenzialmente e malgrado ciò, non si è riusciti a impedire che il cattolicesimo proseguisse quel cammino di rinnovamento iniziato con la seconda metà dello scorso secolo e con il Concilio Vaticano II. Ma non possiamo evitare di porci qualche domanda: come mai si sdoganano solo i gruppi più reazionari, che appoggiano politiche di estrema destra, razziste e xenofobe, che negano l’Olocausto, che ripropongono una immagine di Chiesa slegata dalla gente e nella quale i fedeli laici non valgono nulla, una Chiesa trionfalmente alleata con i potenti, potente essa stessa, mentre al contrario si condannano e si contrastano aspramente i settori progressisti e le Teologie della liberazione?

Nella Chiesa c’è chi, come i lefebvriani, può permettersi di criticare e dissentire, addirittura contestare le decisioni non solo del papa, ma di un Concilio, quello Ecumenico Vaticano II. Invece c’è chi per molto meno, per il solo fatto di porsi e porre domande, perché approfondisce scientificamente gli argomenti teologici, perché sceglie di stare dalla parte dei poveri difendendoli, denuncia le ingiustizie e accusa i potenti, viene tacciato di disobbedienza, punito, processato, cacciato: sto parlando delle centinaia di vescovi, preti, suore e laici “progressisti”, inquisiti dai tribunali ecclesiastici, colpiti da provvedimenti canonici ed emarginati sotto i pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI.

Nella Chiesa-altra che sognano i “progressisti”, i “tradizionalisti” hanno non solo il diritto di esistere ma, anzi, possono essere una ricchezza; temo invece che nella Chiesa che vogliono restaurare i “tradizionalisti” come i lefebvriani, i “progressisti” siano solo un “cancro da rimuovere” a tutti i costi. Per questo il provvedimento a favore dei seguaci di mons. Marcel Lefebvre ha creato in me sconcerto, tristezza e dolore, perché rischia di acuire nel mondo cattolico una sorta di “scisma sommerso” (come scrive Piero Prini nel suo libro con questo titolo). Per fortuna il futuro del cristianesimo, nelle singole comunità e nel mondo, non è affidato solamente alla quantità di documenti stampati a Roma.