Spagna: un gruppo cristiano di base chiede la revoca del concordato di E.Cucuzza

Eletta Cucuzza
Adista n.45/”012

Il Concordato fra Spagna e Santa Sede del 1978 lede i principi di uguaglianza, tolleranza, laicità. Dunque va denunciato, è una questione di giustizia. La richiesta è stata indirizzata al presidente del governo spagnolo, Mariano Rajoy, al presidente della Conferenza episcopale, card. Antonio María Rouco Varela, e al nunzio apostolico mons. Renzo Fratini, dal collettivo Cristiane e Cristiani di Base di Madrid in sinergia con gruppi analoghi di credenti di diverse parti del territorio iberico. Accordi da impugnare perché «consacrano per la Chiesa cattolica numerosi privilegi», «pregiudicano seriamente i diritti di molti spagnoli che hanno altri credi e altre convinzioni filosofiche» e «pesano gravemente sul genuino significato del cristianesimo».

Gloria Encinas, che in qualità di presidente del collettivo firma la lettera (resa nota alla fine dello scorso novembre), motiva il rifiuto dell’attuale Concordato da diverse prospettive. Per cominciare, in «ambito giuridico-politico»: l’Accordo «mantiene intatto il nucleo del Concordato del 1953 (pre-democratico, nato quando era in vigore la dittatura di Francisco Franco) specialmente nei privilegi che si concedono alla Chiesa cattolica nelle sfere dell’economia e dell’insegnamento, negoziati e siglati senza una consultazione con la cittadinanza» e appena «pochi giorni dopo la promulgazione della Costituzione spagnola del 1978».

Dal punto di vista economico, sono assicurate alla Chiesa «sovvenzioni, esenzioni fiscali e facoltà di appropriazione patrimoniali inspiegabili in uno Stato democratico» (la Chiesa cattolica è, precisa la lettera, «il maggiore proprietario di beni immobili in Spagna»), ed è «l’unica istanza, oltre al settore finanziario e alle grandi imprese, immune» dai tagli che con l’attuale crisi stanno invece «impoverendo la popolazione». In sua difesa, l’autorità ecclesiastica vanta «il lavoro della Caritas (che tutti riconosciamo), ma occulta che non ne finanzia neanche il 3% del budget».

Sotto l’aspetto dell’educazione, le critiche all’Accordo vigente nascono dalla convinzione che «la scuola deve non solo trasmettere conoscenze, ma propiziare quella formazione piena dell’alunno come persona e come cittadino che solo lo Stato può garantire in forma universale e ugualitaria: una scuola pubblica di qualità per tutti. Un compito che non appartiene alla Chiesa, che rappresenta solo una parte della popolazione, e che tuttavia rastrella più di due terzi dei centri educativi non pubblici». «Un altro anacronismo difficile da comprendere», seguita la lettera, «è la presenza della religione nella scuola. Educare nella fede religiosa è proprio di altro luogo – templi, sinagoghe, moschee, ecc. – di altri protagonisti. Se oggi sussiste è perché gli Accordi con la Santa Sede garantiscono alla Chiesa, e blindano, questo dominio ideologico delle coscienze». E «ci sembra irregolare», aggiunge Gloria Encinas, «che sia lo Stato a pagare i professori di religione che i vescovi scelgono e possono espellere a loro convenienza».

In ambito socio-culturale poi, gli accordi sono «contrari alla logica democratica, giacché assicurano la quasi onnipresenza della Chiesa cattolica in istituzioni e spazi che non sono suoi propri: ospedali, esercito, cerimonie civili, senza dimenticare il suo costante tentativo di ingerenza nelle politiche sociali e nel processo legislativo che regola i diritti civili, la morale pubblica, la ricerca, ecc. Un potere di coazione morale incompatibile con il pluralismo etico e culturale della società spagnola e con l’esercizio delle libertà consacrate dalla nostra Costituzione».

Nell’articolato e lungo “Allegato” alla lettera, sono puntualizzati i principi che sorreggono le «ragioni per denunciare l’Accordo». Innanzitutto il principio di laicità: «Secondo la nostra Costituzione, lo Stato è aconfessionale», «laico, indipendente da ogni credo religioso» non discriminante dei «cittadini di altre convinzioni». E ciò malgrado, la Chiesa cattolica gode di uno «status preferenziale rispetto ad altre confessioni»; poi, il principio di uguaglianza: «È evidente che, dal momento che una confessione religiosa è favorita legalmente», i suoi adepti «godono di vantaggi che ledono l’uguaglianza di diritti con gli altri cittadini», che rimangono in «condizioni di inferiorità». Infine, a favore della soppressione del Concordato del 1978, gioca il principio di tolleranza, basandosi questa sulla pari dignità dei cittadini al di là di credi e convinzioni. Il rispetto di questo principio richiede di «liberare la politica e la morale da ogni tutela religiosa, sostituendovi la ragione».