Unioni civili: la chiesa ribadisce il suo no. Con qualche spiraglio?

Ingrid Colanicchia
Adista Notizie n. 2 del 18/01/2014

Nello stagno della politica italiana, un sasso l’ha lanciato, nei giorni scorsi, il segretario del Partito democratico, Matteo Renzi, il quale – oltre ad aver inviato una lettera a tutti i segretari di partito nella quale invita a discutere della riforma della legge elettorale e della trasformazione del Senato in Camera delle autonomie – ha annunciato che, nel nuovo contratto di governo che si dovrebbe siglare entro gennaio, il Pd chiederà che ci sia un capitolo sui “diritti civili” che, oltre alle modifiche alla Bossi-Fini, ai provvedimenti per le famiglie, a una disciplina più moderna ed efficace delle adozioni, comprenda anche le unioni civili per persone dello stesso sesso. «Pensandoci bene – scrive – questi non sono diritti civili, ma doveri civili». E ad Angelino Alfano, che lo ha gelato asserendo che non si può pensare alle unioni civili senza pensare prima alle famiglie, Renzi ha rinfacciato che i suoi governi, per la famiglia, hanno fatto ben poco.

Ma il sassolino nello stagno non ha scosso solo i palazzi della politica: anche da Oltretevere le reazioni non si sono fatte aspettare.

«Stravagante divagazione»

Di un’accelerazione al dibattito sulle riforme, che «dovrebbe essere valutata, in linea di principio, come una prima positiva novità del neonato 2014», ha parlato Avvenire in un commento di Gianfranco Marcelli (4/1). Se non fosse che la selezione delle priorità, individuata da Renzi, al quotidiano dei vescovi non va giù. «Accanto al filone, certo irrinunciabile, del riequilibrio dell’impianto istituzionale (e alle regole elettorali a esso collegate), rimane in assoluto come prima emergenza per l’azione legislativa e di governo la ricerca dei mezzi per dare sostegno al sistema produttivo e al reddito», scrive Marcelli. Ma dove e verso chi vanno indirizzati?, si chiede Avvenire: «Lavoro e famiglia sono il binomio dal quale, senza ombra di dubbio, non si può prescindere». «Nessuno più ormai nega che senza la tenuta delle famiglie italiane, senza la rete di solidarietà interna fondata sui legami tra le generazioni, il peso inflitto dalla crisi apertasi nel 2008 sarebbe stato intollerabile e la sofferenza sociale avrebbe toccato ben altri livelli rispetto a quelli, pur acuti, fin qui sperimentati. Occorre pertanto – prosegue Marcelli – che sia prima di tutto e più di tutti la famiglia la destinataria dei prossimi interventi da compiere. E in particolare che si mettano in campo nuovi e più equi criteri di imposizione e maggiori agevolazioni per i nuclei con figli». «In questa prospettiva – è il ragionamento di Marcelli –, davvero non si riesce a comprendere la volontà di equiparare (per qualcuno addirittura di anteporre) a tali questioni quella del riconoscimento delle unioni di fatto, a cominciare da quelle tra persone dello stesso sesso. Nel quadro emergenziale che tuttora ci troviamo a fronteggiare – è la conclusione di Avvenire – mettere una simile rivendicazione sullo stesso piano delle urgenze fin qui richiamate somiglia, nelle migliore delle ipotesi, a una stravagante divagazione».

La famiglia è una sola

Per il vescovo di Parma, mons. Enrico Solmi, presidente della Commissione per la famiglia e la vita della Cei, nelle unioni di fatto è possibile tutelare i diritti attraverso il Codice civile, mentre è «chiarissima la deriva che viene data e proposta anche in Italia: il favorire progressivamente, attraverso sentenze, soluzioni di fatto, un riconoscimento delle unioni di fatto e anche delle unioni di persone omosessuali» (Radio Vaticana, 3/1). «Parlare di famiglia – ha proseguito – significa avere una relazione uomo-donna che si palesa, si ratifica davanti alla società». Per il resto «si può arrivare a una tutela dei diritti e delle persone in quanto tali» e «questo percorso è assolutamente fattibile facendo riferimento al Codice civile e ai diritti della persona. Codice civile che può essere anche adeguatamente modificato per fare spazio a queste situazioni che, oggettivamente, da un punto di vista numerico sono significative».

Dello stesso avviso il card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei, il quale è intervenuto nel dibattito per sottolineare che «i bambini, che sono la società di domani, hanno bisogno di riferimenti certi, concreti e sicuri che soltanto papà e mamma, nella complementarietà dell’amore, possono offrire in modo completo al bambino, alla sua formazione integrale». (Il Secolo XIX, 7/1).

Sulla stessa linea mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, il quale, intervistato da Radio Capital (8/1), ha dichiarato che il riconoscimento dei diritti «non è un problema della Chiesa» ma «una questione che debbono trattare i governi». «Che si possano riconoscere alcuni diritti, come quelli patrimoniali o le visite in ospedale – ha detto –, non c’è dubbio che possa accadere. Io però vorrei prima di tutto difendere la realtà delle famiglie tradizionali, padre madre e figli, anche quelle ferite. Queste realtà devono essere sostenute perché nel mondo del lavoro sono spesso sfruttate ma poco aiutate».

Si può fare

Più conciliante mons. Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo, il quale in un’intervista a La Stampa (5/1), senza fare riferimento a coppie gay o eterosessuali, ha affermato che «la legge non può ignorare centinaia di migliaia di conviventi. Senza creare omologazione tra coppie di fatto e famiglie, è giusto che anche in Italia vengano riconosciute le unioni di fatto». «Lo Stato può e deve rispettare e tutelare il patto che due conviventi hanno stretto tra loro. Contrasta con la misericordia cristiana e con i diritti universali il fatto che i conviventi per la legge non esistano. Oggi se uno dei due viene ricoverato in ospedale, all’altro viene negato persino di prestare assistenza o di ricevere informazioni mediche come se fosse una persona estranea. Mi pare legittimo – ha proseguito – riconoscere diritti come la reversibilità della pensione o il subentro nell’affitto in virtù della centralità della persona». «È insostenibile che per la legge il convivente sia un signor nessuno. Le unioni civili riguardano i diritti di persone che nella relazione di coppia e sociale chiedono garanzie per il loro vivere quotidiano. Ciò non significa creare una forma giuridica di “famiglia di serie b” scimmiottando l’istituto matrimoniale. Senza equipararle alle coppie sposate – è la conclusione di Mogavero – non ci sono ostacoli alle unioni civili».

Non problemi, ma sfide

Una diversità di approccio rispetto agli anni passati la testimoniano le parole utilizzate da papa Francesco in occasione del colloquio con i superiori delle congregazioni religiose maschili, avvenuto il 29 novembre scorso, ma pubblicato da Civiltà Cattolica il 4 gennaio in un lungo articolo firmato dal direttore del quindicinale dei gesuiti, p. Antonio Spadaro.

Parlando dell’educatore che deve «essere all’altezza delle persone che educa» e interrogarsi su come annunciare il Vangelo «a una generazione che cambia», Bergoglio ha rievocato un episodio accaduto a Buenos Aires: «Ricordo il caso di una bambina molto triste che alla fine confidò alla maestra il motivo del suo stato d’animo: “la fidanzata di mia madre non mi vuole bene”». «La percentuale di ragazzi che studiano nelle scuole e hanno i genitori separati è elevatissima», ha proseguito Bergoglio. «Le situazioni che viviamo oggi pongono dunque sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere. Come annunciare Cristo a questi ragazzi e ragazze? Bisogna stare attenti a non somministrare ad essi un vaccino contro la fede».

Nessun cambiamento dottrinale, nessuna apertura alle coppie omosessuali come ipotizzato da qualcuno – immediatamente smentito da p. Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana – ma il segnale, come ha sottolineato lo stesso Spadaro in un commento apparso sul Corriere della Sera (7/1), che il papa «più che vedere davanti a sé “problemi” per la fede, vede questioni da disputare e sfide da affrontare: finestre, non muri».

I tempi sono cambiati

E certamente ai movimenti di riforma della Chiesa piace molto di più l’atteggiamento di papa Francesco che quello della Cei. In un comunicato diffuso il 5 gennaio, il portavoce della sezione italiana di Noi Siamo Chiesa, Vittorio Bellavite, invita i vescovi ad essere in sintonia con il papa e ad avere «il buon senso di non occuparsi più delle unioni civili». «Per quanto ciò possa sembrare incredibile il fatto è all’attenzione di tutta l’opinione pubblica e dei media: ancora una volta la regolamentazione legislativa delle unioni di fatto, etero ed omo, sta diventando l’occasione di uno scontro che minaccia la stessa stabilità del governo», scrive Bellavite. «La Conferenza episcopale, per bocca di mons. Enrico Solmi, presidente della Commissione Cei sulla famiglia, e l’Avvenire sono scesi in campo, così come hanno fatto nelle scorse settimane contro il progetto di legge sull’omofobia. Ci troviamo di fronte alle vecchie barricate, quelle fondate sui “valori non negoziabili”? Al solito sono barricate fondate sull’argomentazione che bisogna occuparsi prima di tutto della “vera” famiglia, il resto non è mai urgente». «Ma ci chiediamo allora per quale motivo i cattolici, che governano il Paese con le massime responsabilità dal dicembre del 1945, hanno fatto una ben misera politica della famiglia ed anche in tempo di vacche grasse. Al contrario, per esempio, della “laica” Francia». «Ai nostri vescovi, se davvero sono decisi a scendere in campo con stile ruiniano alla “Family day”, vogliamo chiedere di riflettere bene, di avere un po’ di buon senso e di consapevolezza del momento in cui siamo ora e che è differente da prima. Osserviamo loro che: i propositi, avanzati con troppa sicurezza nei convegni di Todi 1 e di Todi 2, di organizzare un consenso “cattolico”, si sono rapidamente esauriti; l’ipotesi di un centro politico che fosse padrone degli equilibri istituzionali, con la lista di Scelta Civica, non ha avuto successo; ma soprattutto e anzitutto papa Francesco ha rovesciato il tradizionale approccio ai problemi della famiglia». «Noi ci aspettiamo e speriamo – è la conclusione di Bellavite – che il vento “che viene dall’altra parte del mondo” rovesci nel nostro Paese mentalità e prassi pastorali che rendono più difficile l’annuncio della Parola di Dio. La grande maggioranza del popolo dei credenti sta con il vento di papa Francesco».