Il papa: «La precarietà è una vergogna» di L. Kocci

Luca Kocci

il manifesto, 8 Nov. 2015

Nel giorno in cui si apprende dall’Istat che una famiglia su dieci non riesce a pagare le bollette e una su sei è in difficoltà con l’affitto, papa Francesco incontra i dipendenti dell’Inps e pronuncia una severa requisitoria contro il lavoro nero e la precarietà e in difesa del diritto al lavoro, alla pensione e del lavoro femminile.

Messe da parte, ma non archiviate, le polemiche per il Vatileaks 2 – dalle indagini e gli arresti per la fuoriuscita dal Vaticano di documenti riservati, alle notizie sulla vita da «faraoni» di molti cardinali e sull’uso disinvolto dei soldi raccolti per la carità –, in piazza San Pietro arrivano 23mila dipendenti dell’Istituto nazionale previdenza sociale, per la prima udienza, ieri mattina, nella lunga storia dell’Inps.

Bergoglio comincia ad affermare il «diritto al riposo» – che naturalmente va «santificato» –, ma finisce a parlare di pensioni e lavoro, con una sequenza piuttosto originale: senza la sicurezza del lavoro, o della pensione, è impossibile riposare. «Tu ti puoi riposare quando sei sicuro di avere un lavoro, che dà dignità a te e alla tua famiglia – argomenta –. E tu ti puoi riposare quando nella vecchiaia sei sicuro di avere la pensione che è un diritto. Sono collegati, tutt’e due: il vero riposo e il lavoro».

Il mondo del lavoro è «piagato dall’insufficienza occupazionale e dalla precarietà delle garanzie. E se si vive così, come si può riposare?», chiede Francesco. «Il riposo è il diritto che tutti abbiamo quando abbiamo lavoro, ma se la situazione di disoccupazione, di ingiustizia sociale, di lavoro nero, di precarietà è tanto forte, come mi posso riposare?». Quindi l’esempio di un dialogo fra padrone e dipendente, ipotetico, ma che in realtà riguarda la vita di tanti. «“Ah, tu vuoi lavorare?” – “Sì!” – “Benissimo. Facciamo un accordo: tu incominci a lavorare a settembre, ma fino a luglio, e poi luglio, agosto e parte di settembre non mangi, non ti riposi”. Questo succede oggi, in tutto il mondo, e qui, a Roma! Riposo, perché c’è lavoro. Al contrario, non si può riposare».

Dal lavoro alle pensioni, in tempi in cui si rincorrono voci sulla fragilità del sistema pensionistico e si avanza la possibilità di una nuova riforma, che se vi sarà non potrà che essere peggiorativa. «Fino a qualche tempo fa era comune associare il traguardo della pensione al raggiungimento della terza età, nella quale godere il meritato riposo», adesso non più, invece «non manchi il diritto alla pensione, e sottolineo: il diritto, la pensione è un diritto», spiega Bergoglio. «Da un lato, l’eventualità del riposo è stata anticipata, a volte diluita nel tempo, a volte rinegoziata fino ad estremismi aberranti, come quello che arriva a snaturare l’ipotesi stessa di una cessazione lavorativa. Dall’altro lato, non sono venute meno le esigenze assistenziali, tanto per chi ha perso o non ha mai avuto un lavoro, quanto per chi è costretto a interromperlo per i motivi più diversi. Tu interrompi il lavoro e l’assistenza sanitaria cade».

Quindi un appello affinché «non manchino le sovvenzioni indispensabili per la sussistenza dei lavoratori disoccupati e delle loro famiglie» e «non manchi mai l’assicurazione per la vecchiaia, la malattia, gli infortuni». Sia protetto soprattutto il lavoro femminile, anche in funzione della maternità, chiede papa Francesco: «Non manchi tra le vostre priorità un’attenzione privilegiata per il lavoro femminile, nonché quell’assistenza alla maternità che deve sempre tutelare la vita che nasce e chi la serve quotidianamente. Tutelate le donne, il lavoro delle donne!». Pochi giorni fa, il papa aveva rivolto un appello simile all’Unione cristiana imprenditori dirigenti: «Quante volte abbiamo sentito che una donna va dal capo e dice: “Devo dirle che sono incinta” – “Dalla fine del mese non lavori più”».

Il lavoro, conclude ribadendo un concetto già espresso in altre occasioni, «non può essere un mero ingranaggio nel meccanismo perverso che macina risorse per ottenere profitti sempre maggiori; il lavoro non può dunque essere prolungato o ridotto in funzione del guadagno di pochi e di forme produttive che sacrificano valori, relazioni e princìpi». Non si tratta di «solidarietà», ma di «giustizia».