“Quale futuro per le comunità di base?” – Ho letto la riflessione di Fausto Tortora di B.Pavan

Beppe Pavan
Cdb Viottoli – Pinerolo (TO)

Da anni ci confrontiamo con la domanda, che torna periodicamente nelle preoccupazioni e nelle parole di qualcuno/a, su “quale futuro per le comunità di base”.

Ricordo la festa a Roma per i 30 anni della CdB di S. Paolo e le lodi di Raniero La Valle per l’insuperabile capacità biblico-esegetica di Giovanni Franzoni. Mi ero permesso di suggerire che non eravamo arrivati al top, che il femminismo e, in particolare, le teologie femministe ci stavano aprendo un orizzonte nuovo e impensato per la nostra ricerca biblica e teologica: avremmo avuto – e abbiamo, indubbiamente – un terreno “nuovo” da esplorare, con una metodologia nuova che ci viene da loro offerta.

Le religioni della Madre, pre-patriarcali; la loro influenza sulla formazione di Gesù; la consapevolezza della parzialità maschile; l’ermeneutica del sospetto… non possiamo più vivere, ricercare, pregare, senza aprirci al punto di vista femminista su ogni “questione”, senza abbandonare con consapevolezza e convinzione il “mono”-pensiero maschile patriarcale. L’ultimo libro di Elisabeth Green “Padre nostro?” (Claudiana) – in particolare i due ultimi capitoli – è illuminante, con le riflessioni e le domande che pone a chi lo legge con attenzione.L’ORDINE SIMBOLICO DI GESÙ

Se smettessimo di puntare sull’identità “cristiana” e facessimo della sequela di Gesù la nostra personale pratica quotidiana, silenziosa e convinta, al punto che non solo la sinistra non sappia cosa fa la destra, ma addirittura che nessuno sappia che siamo cristiani/e, concentrandoci invece sulla nostra piena appartenenza all’umanità, senza fare distinzioni, ma vivendo consapevolmente la convivialità di tutte le differenze!… “I redattori dei vangeli non attribuiscono a Gesù nessun atteggiamento misogino (…) presentano un Gesù che capovolge le strutture patriarcali dell’epoca mettendo al centro del suo movimento i bambini e i minimi (E. Green, op. cit. p 84). Questo penso che sia il futuro per i e le seguaci di Gesù. Un mondo in cui non ci siano più religioni escludenti, nel quale i nomi con cui si prega e si parla dell’Essere divino soprannaturale non siano altro che nomi diversi nelle diverse lingue, come l’infinità di parole diverse che l’umanità usa per dire mamma, tavolo, amore…

C’è una pagina bellissima, che voglio trascrivere integralmente, nel libro Lo sguardo del lupo di Giancarlo Ferron, guardiacaccia e scrittore di montagna (ed. Biblioteca dell’immagine, Pordenone, 2015). La protagonista, per preparare la tesi di laurea, ha accettato la proposta del professore di etologia di vivere per alcuni mesi in montagna… e un giorno le chiede di parlargli dell’esperienza che sta facendo:

“Questo è il momento della verità, caro prof, in cui devo parlarti francamente. Qui ho vissuto situazioni e visto cose che nessun libro e nessun professore potrà mai spiegare. Sono state… sensazioni violente, apparizioni inaspettate, magie folgoranti, che mi hanno fatto… che mi hanno fatto anche piangere. Mi hanno sconvolto, nel bene e nel male. sono state esperienze talmente forti da farmi cambiare il modo di concepire il mondo. Ora penso costantemente alle origini dell’uomo, al suo posto nell’universo, alle sue religioni, al suo rapporto antico con gli animali e la terra. Penso sempre all’arte, alla natura, all’istinto, al ruolo dei sensi nei rapporti con la ragione. Penso ai sentimenti. Penso all’uomo come una parte del tutto e non come a un essere superiore. La cultura del nostro tempo, la scienza, tende a dividere, sezionare, classificare e misurare tutto, anche l’uomo. Corpo e anima, cuore e cervello, istinto e ragione. Organi e funzioni. Certo, si studiano anche le connessioni e l’insieme, ma la tendenza è sempre quella di dividere in singoli pezzi. Invece qui, in questo strano e bellissimo posto, è tutto il contrario. Sembra che non si possa dividere niente, che non si possa isolare una singola parte di nulla, perché quando tenti di farlo, anche solo virtualmente, vieni risucchiato in un vortice che ti trascina a fondo; in una spirale che non finisce mai, che ti ubriaca fino a farti svenire. Una qualsiasi cosa ne contiene altre due di più enigmatiche e grandiose, per una infinita progressione geometrica in tutte le direzioni. L’insieme è sempre superiore alla somma delle parti, ma talmente superiore che non si riesce a immaginarne i confini. Qui ci sono persone strane solo per il fatto di essere nate o vissute su questa montagna. Ogni persona che ho conosciuto, anche se per pochi istanti, mi ha indicato una direzione, mi ha mostrato qualcosa di straordinario, che magari non ho compreso subito ma che si è rivelato più tardi, pensandoci. Tutti hanno un segreto personale più altri segreti di cui possono parlare solo con alcuni. Certe informazioni sono stratificate e possono circolare solo in un certo livello, come se tanti mondi tentacolari e sovrapposti convivessero abbracciati strettamente, nello stesso spazio, e comunicassero fra loro esclusivamente tramite le vie sensoriali di alcuni soggetti. Per soggetti non intendo solo uomini, ma qualsiasi essere vivente. Una specie di groviglio infinito di cellule nervose interconnesse come in un gigantesco cervello. Altre informazioni sono per tutti: animali, alberi, uomini e perfino la terra comunicano fra loro tramite segnali, sensazioni e intuizioni, diverse per ognuno. Un intreccio incredibile, difficile e affascinante. Rapporti fatti di poche parole, di silenzi, di allusioni, di cose non dette, risposte mancate e sensazioni. In questo posto chi vuol capire capisce, magari non tutto e subito, e sempre a proprie spese, ma c’è comunque lo spazio e il tempo per provare a farlo. L’unica cosa certa è che non c’è nulla di preciso, di sicuro, di misurabile. Ogni cosa è strettamente soggettiva, personale. Ogni strumento di misurazione tecnologico è utile: come si fa a misurare la bellezza? Come si fa a misurare, descrivere, dipingere o riprodurre l’ululato di un lupo in piena notte? O raccontare l’emozione dell’istante in cui un animaletto qualsiasi incrocia il tuo sguardo? Non si può. Eppure ce ne sarebbero di cose da misurare: il respiro che si ferma, la presenza di un feromone nell’aria, il battito del cuore che accelera, il PH di una lacrima, la temperatura. Ma sarebbe tutto inutile, perché questi dati non direbbero nulla di quel momento, che mentre lo vivi è già finito. Puff, scomparso. Eppure presente per sempre in te. Resta il fatto che ciascuno ha un compito preciso che si è scelto consapevolmente o meno e che fa la differenza. Scegliere è la parola magica. Scegliere di vivere qui, di non andartene se ci sei nato, oppure venirci ad abitare apposta, consapevolmente” (pagg. 173-175).

Il professore commenta così il discorso della ragazza: “Certi pensieri saranno punti di partenza per molte persone, credimi. Mi è piaciuta anche la tua parola magica ‘scegliere’”. Chi ha fatto una scelta radicale è l’altro protagonista del libro: era ingegnere in un’azienda costruttrice di macchinari per escavazioni e costruzioni e lì, a poco a poco, ha maturato la sua consapevolezza: “L’uomo, grazie alla sua capacità di coalizzarsi, di realizzare strumenti e sostanze che in natura non esistono, è riuscito a modificare l’aspetto del mondo. Ha cambiato i connotati del territorio costruendo paesi, città e zone industriali: una crosta di cemento, asfalto e rifiuti con la quale ha seppellito campi, boschi, fiumi. Tutto. L’uomo ha distrutto, ucciso e cambiato ciò che si opponeva alla sua idea di onnipotenza. Ha trasformato animali selvatici in bestie da soma, da carne e da latte, incapaci di mangiare e difendersi da soli. Ha distrutto intere popolazioni di predatori perché non danneggiassero gli allevamenti. Ha distribuito veleni dappertutto per uccidere insetti, erbe e funghi che gli davano fastidio. (…) Ho cominciato a osservare me stesso, quello che facevo, che vita vivevo. Mi sono chiesto se avevo delle responsabilità per quello che la mia specie ha fatto e continua a fare a Madre Terra. Ho concluso che sì, ero anch’io responsabile come consumatore di pioggia in bottiglia, come venditore di macchine che scavano, e come accumulatore di ricchezza economica che non mi era indispensabile per vivere. Mi sono chiesto se io, con le mie forze, avrei potuto cambiare le cose. No, non avrei potuto. Quindi, se avessi cambiato il mio modo di vivere non sarebbe servito a nessuno. Con una sola eccezione: sarebbe stato meglio per me. Non è poco” (pagg. 178-179).

UN ALTRO PUNTO DI VISTA

C’è sempre un altro punto di vista, e l’esperienza mi va dicendo che è quasi sempre quello di donne femministe: ce lo siamo detti/e rileggendo nel gruppo biblico e riflettendo sulla Santippe di Ina Praetorius (Viottoli 2/15 – http://cdbpinerolo.ubivis.org). La morte di Socrate è sempre stata raccontata con lui al centro della scena; Ina prova a mettersi dal punto di vista della moglie del filosofo, che viene cacciata dalla stanza insieme al figlio perché con le sue lamentazioni disturba il filosofare maschile intorno alla morte e all’aldilà. Impensabile e sorprendente, questo punto di vista, che apre spazio a riflessioni di un’attualità drammatica sull’economia…

E’ così, ad esempio, per la storia del processo di ominazione: il mito di Adamo ed Eva ci viene sempre raccontato dall’unico punto di vista “autorizzato”, quello della teologia patriarcale. Ma per tutte le “cose” e le “questioni” c’è sempre almeno un altro punto di vista, che è coerente con la parzialità del maschile e del femminile, parzialità che non è semplice differenza, bensì differenza irriducibile. Non sono l’unico a pensarlo e a dirlo, questo “concetto”, ma quanto è cosa difficile esserne davvero consapevoli e vivere ogni istante con questa consapevolezza!

Ecco un compito universale, quindi anche per noi delle CdB alla ricerca di un futuro per il nostro stare al mondo: essere consapevoli della nostra corresponsabilità e, insieme, che certi pensieri sono sempre stati e continueranno ad essere “punti di partenza” per altre persone. Non importa che si interrompa il filo che per una manciata di anni ha unito le nostre vite in comunità cristiane di base; quello che non solo non si deve spezzare, ma anzi si deve rafforzare, è il filo vitale che ci lega alla vita del creato, il cordone ombelicale che ci unisce al corpo nutriente della nostra Madre Terra.

Non c’è amore che non sia evangelico: questo credo fermamente. Ogni uomo e ogni donna che vive con amore sincero le proprie relazioni incarna il messaggio di Gesù, anche se non l’ha mai sentito nominare, e ne continua l’opera: l’opera di Gesù e dell’ordine simbolico materno in cui è nato, si è formato ed è vissuto.

IL DONO GRATUITO

La vita come dono, l’economia del dono, vivere e governare la casa comune con impegno gratuito e disinteressato: è o non è questo il compito per la vita di chi sceglie di vivere “da cristiano/a”? Difficile è riuscirci… Mi turba e mi coinvolge la riflessione di Valentina Pazé a pag. 15 de Il Manifesto del 9 gennaio scorso (http://ilmanifesto.info/maternita-surrogata-uno-scambio-in…/), in un articolo sulla maternità surrogata: cita molti libri e parla di “una mole di studi antropologici, psicologici, sociologici che (…) ci dicono che, in realtà, il dono davvero gratuito non esiste. Dalla notte dei tempi, il dono è uno strumento per creare e rinsaldare legami sociali. Comporta sempre l’aspettativa di una restituzione, non intesa nei termini contabili dello scambio mercantile, ma in quelli morali e relazionali propri del paradigma della reciprocità”. Mi convince la conclusione che ne trae a proposito della “maternità surrogata a favore di estranei (…) che nella maggioranza dei casi, oggi, nel mondo, avviene dietro compenso (talvolta mascherato da rimborso spese o regalo)”.

Ma mi interroga il paradigma della reciprocità: se ogni persona si esercitasse e imparasse a vivere con cura gratuita e disinteressata – alla “buon samaritano”, per capirci – le proprie relazioni, ogni persona riceverebbe da chi è in relazione con lei esattamente quello che dà, senza bisogno di concordarlo preventivamente e senza aspettarne la restituzione. La relazione madre-figlio/a mi dice che è possibile, e il cammino di questi anni mi dice che è possibile anche agli uomini imparare a stare nelle relazioni con cura e gratuità. La difficoltà nasce dal nostro istintivo egocentrismo: perché devo cominciare io? e se poi gli altri non fanno altrettanto? aspettiamo che comincino gli altri… E’ come per le faide sanguinose: non si interrompono finché qualcuno non sceglie di farlo per primo.

L’amore è contagioso, la gratuità è contagiosa. Ma a patto di seguire l’esempio di Gesù – e di ogni madre: partire ciascuno/a da sé. Temo che non ci siano scorciatoie. Ma, di nuovo, sono pratiche (e pensieri e parole) che possono diventare punti di partenza per altri. Dalle donne femministe lo stiamo apprendendo anche noi uomini, che poi a volte riusciamo a contagiare un altro…

E’ la strada della conversione, del cambiamento di vita che, di nuovo, è l’invito di Gesù a uomini e donne: anche questo è compito per chi vive con fede-fiducia la propria appartenenza all’unica grande comunità di base che è l’umanità (come ce ne ha parlato a Torino Antonietta Potente).

Mentre scrivo queste cose è arrivata online una riflessione di Gerardo Lutte intitolato “Donne nuove e uomini nuovi per una nuova società”. Contiene proposte di vita e di impegno per i ragazzi e le ragazze del Mojoca (Movimento dei Giovani della Strada) in Guatemala, ma che possiamo tranquillamente fare nostre. Tranquillamente forse no, vista la fatica che ci costano e la facilità con cui ci giriamo dall’altra parte…

METAMORFOSI IN AMERICA LATINA

La riflessione, mi accorgo, può ampliare il proprio orizzonte. Su Le Monde Diplomatique di gennaio 2016 ho letto un articolo di Renaud Lambert (https://www.monde-diplomatique.fr/2016/01/LAMBERT/54462) che dà conto della metamorfosi in atto in America Latina, indagando “le ragioni di una battuta d’arresto”: la sinistra, dopo aver governato per anni quasi ovunque, ha subito cocenti sconfitte nelle recenti consultazioni elettorali, e le prossime non si preannunciano favorevoli. Non riassumo l’articolo, che vi consiglio di leggere con attenzione: quello che racconta di là dice molto anche a noi di qua…

Mi soffermo solo su quanto dice “una giovane donna di un quartiere popolare di Caracas [che] incarna la categoria di popolazione che ha maggiormente beneficiato delle ambiziose politiche redistributive del governo. ‘Vivevo nella miseria. Ne sono uscita grazie a Chàvez’, conferma la donna. per poi continuare, come se fosse una cosa evidente: ‘Adesso che non sono più povera voto per l’opposizione’”. Il suo evidente desiderio di conservare e possibilmente consolidare lo status di benessere raggiunto, condiviso da molti/e, farà verosimilmente ripiombare nella povertà e nella miseria lei e masse di popolazione che ne stanno uscendo…

Sembra una maledizione senza scampo, un “processo circolare” senza via d’uscita: “1/ ‘La destra distrugge le classi medie’; 2/ ‘Le classi medie impoverite votano a favore di un governo popolare’; 3/ ‘Una volta eletto, questo governo migliora il livello di vita delle classi medie’; 4/ ‘Le classi medie immaginano di far parte dell’oligarchia e votano a destra’. Ritorno alla casella di partenza”. Quanta gente, anche nel nostro smemorato e superficiale Occidente, continua a eleggere i ricconi, sperando di beneficiare di qualche loro briciola…

Io penso che un’alternativa ci sia, fondata su un altro punto di vista, su una pratica di vita consapevolmente costruita sul messaggio evangelico contenuto nella parabola della cruna dell’ago, attraverso cui può passare un cammello più facilmente che un ricco entrare nel regno dei cieli – che non è il paradiso dell’aldilà, ma il regno dell’amore e dell’armonia nell’aldiqua. La pratica contagiosa della sobrietà è quella che può garantire a ogni persona la soddisfazione dei suoi bisogni fondamentali e una vita dignitosa e serena, grazie all’accesso equo alle risorse e ai servizi. E’ o non è anche questo l’invito evangelico a cui noi delle CdB, ciascuno e ciascuna a partire da sé, ci sentiamo chiamati/e a corrispondere? Con la fiducia nella contagiosità dell’amore che riusciamo a incarnare.

Forse non era del tutto campato in aria, allora, quello che avevo detto quel giorno in Via Ostiense: anche nello studio della Bibbia ci si aprono orizzonti nuovi. Prendo spunto dalle citazioni di Marcello Vigli dal Vangelo di Giovanni, riportate nel commento che fa alla riflessione di Fausto Tortora (http://www.cdbitalia.it/2015/12/31/una-nuova-sfida-per-le-cdb-di-fausto-tortora/): “Forse sarebbe meglio prendere sul serio la risposta di Gesù a chi gli chiedeva di mostrare il volto di Dio: chi vede me vede il Padre (Giov 14,9) e credere veramente nella sua solenne dichiarazione: Io e il Padre siamo uno (Giov 3,35)”. Io penso che questa “solenne dichiarazione” non sia pensiero e parola di Gesù, ma sia da attribuire all’elaborazione teologica di Giovanni, di Paolo… diventata presto dogma della divinità di Gesù. Mentre Gesù era solo un uomo e, come lui, ciascuno e ciascuna di noi può comprendersi in questa solenne consapevolezza: vedere il divino in ogni persona; ogni persona è “uno con Dio” e, quindi, tutti e tutte insieme – l’umanità è una cosa sola con Dio, insieme a tutto il creato (fatichiamo ancora molto a fare un passo indietro dall’antropocentrismo).

E’ un altro punto di vista, chiaramente, ma mi sembra un bel terreno di ricerca per noi delle CdB, capaci di prendere sul serio l’invito di Fausto Tortora a “sottoporre le nostre azioni… e anche le nostre idee… al vaglio analitico di una critica severa e ricorrente. In assenza di questa attenzione il rischio è cadere preda di luoghi comuni, assenza di creatività, gesti abitudinari e privi di reale significato. A questa dinamica non sfuggono, oltreché le persone, nessuna realtà collettiva, nessuna formazione sociale, a prescindere dalle modalità in cui si organizza e vive”. E’ proprio quello che penso anch’io. In buona compagnia, mi sembra.

PROPOSTA

Le donne dell’arcipelago femminista chiedono sempre alle donne che vengono elette, dai consigli comunali al parlamento, di restare in relazione con le donne dei territori che le hanno elette, per praticare politiche coerenti e resistere al pericolo dell’omologazione alle collaudate pratiche politiche di stampo patriarcale. Molte donne delle nostre CdB, con altre, da decenni sono in relazione tra loro, si riuniscono, ricercano, pregano… tra loro: credo che sia ora di affidare a loro l’animazione delle nostre comunità, affinché la forma e i contenuti delle loro pratiche ci contagino tutti e tutte, per un rinnovamento possibile a partire da un altro punto di vista. Se davvero, come credo, la differenza tra uomini e donne è “irriducibile”, credo che sia ora che sperimentiamo l’“altro da noi”, dal pensiero maschile che finora ha guidato il mondo (verso il baratro). Come possiamo chiederlo al resto della società, quando è chiamata alle urne, se non cominciamo a praticarlo dove ci è possibile, a partire da noi? Il pensiero maschile non è l’unico praticabile.

Provo a dirlo con altre parole. Il mondo “biofilo” intuito da Mary Daly – e descritto nel libro Quintessenza (ed. Venexia) – non è solo per le donne, ma anche per gli uomini che scelgono di fare un “salto quantico” abbandonando il mondo necrofilo del patriarcato; ma sono le donne che l’hanno creato, a partire da sé, dal proprio desiderio “infinito”; sono loro la guida, l’invito, il motore del mondo nuovo, di quell’altro mondo possibile che noi uomini non sappiamo costruire.

Non sto proponendo di sostituire d’ufficio gli uomini, che hanno compiti di animazione e di coordinamento, con donne (non sprecate tempo con queste battute, per favore…). Sto proponendo di avviare un confronto tra di noi su quanto le “madri simboliche” del pensiero femminista ci invitano a praticare.

Penso che le CdB siano luogo “ideale” per queste sperimentazioni, liberi/e come siamo da condizionamenti esterni: il confronto e la condivisione ci possono aiutare a superare anche i condizionamenti interni, personali e reciproci, che potremmo scoprire persistenti. Ponendoci davvero in ascolto di quanto le donne, l’altro irriducibile da noi, hanno da dirci e da offrirci.