2014: le sfide per Francesco e quelle per noi

Agostino Giovagnoli
Europa 2 gennaio 2014

Apparentemente, sono tante le sfide che attendono papa Francesco nel 2014. Deve riformare la
Curia romana, ma il lavoro degli otto cardinali non ha ancora prodotto risultati concreti e la materia
è indubbiamente complessa. I tradizionalisti lo aspettano al varco per dimostrare che ha
abbandonato la difesa dei valori non negoziabili e che il suo insegnamento tradisce l’ortodossia. I
progressisti gli rimproverano invece di essere ancora “troppo papa” e gli chiedono di smentire
l’immagine dell’“uomo solo al comando”.

Si attende poi che metta in pratica ciò che ha annunciato sulle donne e che sviluppi un’azione
diplomatica all’altezza delle sue invocazioni di pace. Le sfide che lo attendono, insomma, sembrano
così tante che potrebbe non riuscire ad affrontarle tutte. Nel 2014 papa Francesco deluderà chi ha
sperato in lui?

In realtà, la domanda andrebbe ribaltata. Invece di interrogarsi sulle sfide che altri gli lanceranno, è
più rilevante chiedersi quale sarà l’impatto della sfida che egli rappresenta. È già successo nel 2013
che, non a caso, è stato l’anno nero della vaticanistica.

Giornali e mass media non hanno saputo raccontare e spiegare che cosa è successo veramente con la
rinuncia di Benedetto XVI, il conclave e l’elezione di questo papa argentino. Dopo aver data per
certa una crisi irreversibile della Chiesa, hanno dovuto registrare un suo inaspettato rilancio (in
Italia, è l’unica istituzione che nell’ultimo anno abbia visto crescere la fiducia nei suoi confronti).

La vaticanistica, però, non ha cambiato strada neanche dopo l’inizio del nuovo pontificato.
Papa Francesco continua a far notizia per i gesti, il linguaggio, il modo in cui saluta. Grande è
l’attenzione rivolta al luogo dove abita, agli abiti che indossa, alle auto che usa. Molto meno si parla
di ciò che pensa, decide, realizza. Anche la sovraesposizione mediatica può rappresentare una forma
di censura. E l’insistenza su aspetti marginali del nuovo pontificato è rivelatrice di
un’incomprensione profonda della sua novità.

Eppure la novità di Francesco è in gran parte evidente e coincide anzitutto con la sua radicalità.
Questo papa, così aperto verso i non credenti, così benevolo verso i peccatori, così vicino a tutti, è
in realtà molto esigente. Verso se stesso, anzitutto, ma anche verso cardinali, vescovi, preti,
religiosi, semplici fedeli.

Non accetta compromessi e non fa sconti. Chi lo contrasta deve andare via, chi aspira a posti di
prestigio si ritrova con incarichi modesti, a chi forza il suo pensiero impone di ritrattare
pubblicamente ecc. Per il vittimismo del clero ha tolleranza zero e spezzando il legame tra carriera e
responsabilità ha innestato una rivoluzione. Con le sue consuete sobrietà e asciuttezza ha chiesto a
chi lavora nella Curia romana santità e professionalità per svolgere ed essere davvero un servizio
efficiente e utile alle Chiese locali. A tutti ha detto di mettersi in movimento, annunciare il Vangelo,
servire i poveri incontrandoli personalmente.

Anche con chi sta fuori dalla Chiesa è stato molto chiaro. È andato a Lampedusa per dire che
l’inaccoglienza verso immigrati e profughi è una vergogna intollerabile. E ha idealmente convocato
in piazza San Pietro tutto il modo per gridare che non si può aggiungere altra violenza a quella,
scandalosa e insopportabile, che già da anni insanguina la Siria. E ricambiando gli auguri di
Napolitano, ha chiesto un «contributo responsabile e solidale di tutti» perché l’Italia «possa
guardare al futuro con fiducia e speranza».

La sua sfida, insomma, è quella di un cambiamento personale, concreto e radicale. Si fa fatica a
spiegarlo perché non è facile accettarlo: il nostro vecchio mondo – ecclesiastico e laico – non ha
voglia di cambiare. Non sappiamo se Francesco vincerà nel 2014 le sfide che gli sono state lanciate.
Ma ha già vinto la sfida di mettere ciascuno davanti alle proprie responsabilità e di mostrare che la
riforma della Chiesa – come quella della politica – non dipende in primo luogo dagli altri, fosse
pure il papa, ma anzitutto da noi stessi.