Meritocrazia ed efficienza? Dalla riforma solo tagli

di Antonella Loi

La protesta studentesca dilaga: da Nord a Sud della Penisola, isole comprese, è un pullulare di assemblee, occupazioni, lezioni all’aperto e iniziative di ogni genere. Decine di migliaia di studenti di medie, superiori e università uniti nella protesta contro il decreto Gelmini (Dl 1 settembre 2008, n. 137) e la legge 133 che impongono una riforma della scuola e dell’università che, nelle intenzioni del governo, dovrebbe portare alla “razionalizzazione delle risorse e ad una maggiore efficienza”. Stefano Busi, dell’esecutivo nazionale dell’Unione degli studenti – uno dei gruppi protagonisti del movimento studentesco – sintetizza le ragioni della protesta parlando di opposizione “ai tagli indiscriminati all’istruzione e alla ricerca” e censura totale “di un’idea di scuola e università che niente ha a che vedere con il diritto allo studio sancito dalla Costituzione italiana”.

Busi, ci spiega meglio questo “no” incondizionato ai decreti 137 e 133?
“Intanto modificano in maniera sostanziale l’organizzazione delle scuole, per esempio il maestro unico introdotto nelle elementari utile solo a giustificare in termini pedagogici il taglio di 87-100mila cattedre nell’organico dei docenti. Ma c’è anche il fatto che la norma va a modificare il modo di vivere la scuola: parlo del voto in condotta che per gli studenti medi è il punto nodale della 137 e che è uno strumento che non serve in nessuna maniera a combattere il bullismo. Già Fioroni aveva inasprito le sanzioni per combattere il fenomeno, non senza critiche, ma almeno lo fece in maniera più responsabile. Diciamoci la verità: il voto in condotta serve solo per censurare il comportamento degli studenti che organizzano manifestazioni, svolgono attività all’interno della scuola o, semplicemente, criticano l’operato dei docenti”.

Meno soldi e meno personale: quali conseguenze denunciate?
“Per la scuola ci sono 8 milioni in meno che provengono per lo più dai tagli al personale: 140 mila posti in tutto, docenti e non docenti, con ripercussione immediata sull’attività delle scuole. Si pensi all’utilizzo dei laboratori: senza personale tecnico non potranno essere utilizzati. Con la conseguenza che la formazione tecnica o professionale che non ha il supporto della pratica non ha ragion d’essere. Per l’Università, invece, è previsto il taglio di 500 e rotti milioni dal fondo per il funzionamento ordinario, con conseguente privatizzazione degli atenei, cioè la loro trasformazione in fondazioni private, cosa che avrebbe ripercussioni sul sistema formativo, sulla offerta didattica e sul diritto allo studio”.

Chi è a favore della privatizzazione parla di un miglior funzionamento del sistema universitario, con punte di eccellenza generalizzate.
“Il punto non è se l’università privata funzioni o no: io so benissimo che le università private funzionano. Il problema è come funzionano: cioè se noi ci chiudiamo in un modello di istruzione non per tutti e ispirato alle leggi del mercato, allora l’università privata va bene. Ma se invece crediamo che il diritto allo studio sia da garantire a tutti, come sancito dalla Costituzione, cioè come veicolo di emancipazione per i singoli, allora non possiamo che essere contrari a questo tipo di organizzazione e progetto. L’università privata da un lato apporrebbe delle barriere in accesso, maggiori rispetto a quelle che già ci sono. E dall’altro incorrerebbe in degenerazioni della formazione in sé. Un esempio sono gli stage, obbligatori per alcuni corsi di laurea: se l’università ha finanziatori prevalenti, allora è ovvio che gli stage verranno fatti all’interno di quelle aziende. Da qui un meccanismo perverso, manodopera a costo zero per dirne una. Senza contare il depotenziamento delle facoltà umanistiche. Perché le aziende in queste non hanno interesse ad investire”.

Gelmini ha calcato molto sul concetto di “razionalizzazione delle risorse” all’interno dell’università, principio ispiratore della riforma stessa. Questo è un problema reale: si pensi solo alla proliferazione dei corsi di laurea.
“Il nostro non è un movimento di difesa dell’esistente, è un movimento che cerca di salvare il salvabile, contro un attacco indiscriminato alla scuola pubblica. Uno dei problemi è sicuramente quello della proliferazione dei corsi. Ma le soluzioni paventate per noi non sono giuste perché il blocco del turnover con assunzioni 1 a 5, significa impedire l’ingresso dei giovani alla docenza e alla ricerca. Un problema anche per la vita economica del paese: come si spera di uscire dalla crisi economica se non si investe in ricerca?”

Infatti mentre Berlusconi taglia, Sarkozy in Francia stanzia nuovi fondi per la ricerca.
Appunto: tagliando non si impedisce la fuga dei cervelli ma la si favorisce.

Concretamente cosa proponete in alternativa alla “razionalizzazione” modello Gelmini?
“Proponiamo l’utilizzo più intelligente delle risorse, non tagliando ma investendo di più e meglio. Poi al governo fa comodo chiamarla “razionalizzazione”: 8 miliardi in meno non è razionalizzazione. Secondo noi con tutti i settori pubblici sovradimensionati che ci sono, la scuola e l’univeristà non sono quelli dove si deve andare a tagliare, ma investire. I tagli si devono fare nelle spese militari, nella macchina burocratica dello Stato che costa troppo ai cittadini o, ancora, attraverso la lotta all’evasione fiscale”. Ma è il modello di scuola nel suo insieme che va rivisto”.

Qual è il vostro modello di scuola?
“Intanto bocciamo questo che si basa troppo sul ‘modello liceale’ ereditato dalla riforma Gentile, un approccio tipico del pensiero fascista, in termini scolastici, dove i licei sono le uniche scuole che servono e le professionali e i tecnici scuole di serie B. Quindi chiediamo l’innalzamento dell’obbligo scolastico non a 16 anni (la riforma Gelmini lo abbassa a 14 n.d.r.) ma a 18 per tutti. Ma anche una riforma della didattica in senso più partecipativo, in modo che il rapporto tra docente e studente non si risolva solo nella trasmissione nozionistica tradizionale. E poi una riforma degli organi collegiali, in senso paritetico. E vogliamo che le scuole vengono messe in sicurezza perché più della metà non hanno certificati agibilità statica. Significa che se viene un terremoto crollano”.

La “razionalizzazione” passa anche attraverso la “meritocrazia”. Balza agli occhi che docenti e ricercatori siano scesi in piazza insieme agli studenti. Cosa li accomuna nella lotta studentesca? Del resto il corpo docente è diretta espressione di un sistema che proprio meritocratico in Italia non è.
“In comune c’è la difesa della scuola e dell’università pubbliche. E la volontà di salvaguardare quel minimo di sistema informativo che ancora esiste, ispirato ai principi costituzionali. Poi il sistema di baronie esiste e non è che venga legittimato dalla protesta.

Come si combattono le baronie?
“Di certo non riducendo il turnover, perché quello è un sistema per accrescerlo. Se prima infatti su 5 un ricercatore o docente entrava per merito, adesso non sarà più così. E chi non ha agganci non farà mai ricerca. Le baronie si combattono attaccando i privilegi dei professori che hanno carta bianca sull’offerta formativa, e fanno nascere corsi che servono solo a giustificare lo stipendio di alcuni docenti, combattendo il fatto che i docenti abbiano nominalmente dei corsi o delle ricerche ma poi li facciano tenere ai ricercatori spesso precari o agli studenti non retribuiti. Servono soluzioni mirate non un taglio un taglio generalizzato dei fondi. Senza contare il fatto che molti professori esercitano un’altra professione ed è per questo che poi non tengono lezioni e non fanno ricerca. Ci sono anche mol
tissimi parlamentari che sono professori universitari.

Sta suggerendo a Brunetta i tornelli anche nelle università?
“Assolutamente no. I tornelli rispondono ad una dinamica di polizia, in termini ideali ambirei a un sistema in cui non ci fosse bisogno di controllare a che ora si entra e a che ora si esce. Deve essere una crescita culturale che si deve fare anche con i metodi di controllo certo… i tornelli sono esclusivamente una mossa mediatica che non risolve nulla. I metodi per aggirare le regole si trovano sempre, bisogna far evolvere la cultura che non può essere quella del ‘tornello’. Il modello proposto dalla destra, non è un modello di meritocrazia, perché la meritocrazia nasce da condizioni di partenza egualitarie, che bisogna assicurare a tutti: l’accesso ai canali dell’informazione per tutti e pari opportunità di arrivare a livelli di eccellenza. Anche per chi non ha i mezzi culturali e materiali”.

Cosa proponete per favorire pari opportunità e meritocrazia?
“Prima di tutto uina legge sul diritto allo studio che chiedevamo anche ai tempi del centrosinistra. E prevista anche dalla riforma in senso federalista approvata in scadenza di legislatura nel 2001, in cui si diceva che nei servizi pubblici essenziali, sanità e istruzione, dovevano essere assicurati dei livelli minimi di prestazione. Sulla sanità questa cosa è stata fatta, per l’istruzione no. Risultato: ci sono regioni che investono nell’istruzione, come la Toscana e l’Emilia Romagna, che hanno sistemi di welfare sul diritto allo studio ottimi, regioni che investono sulle scuole private, come la Lombardia il Veneto e la Sicilia e regioni che non investono o investono male”.

La Gelmini dice che siete una minoranza.
“Il ministro ha un’idea un po’ errata della realtà perché nelle scuole non si parla d’altro. Si mettono in campo iniziative di ogni genere contro la 137 e la 133 e si discute su un modello alternativo di scuola. E’ un fenomeno che riguarda tutta l’Italia con forme diverse, dalle occupazioni alle semplici assemblee. Non lo si può definire minoritario perché, per la prima volta, sta toccando anche gli studenti che normalmente sono indifferenti alla vita attiva nelle scuole e nell’università, quelli che non vanno alle assemblee d’istituto per intenderci. Quella della Gelmini è una miopia voluta, strumentale. Lei e il suo operato non sono assolutamente ben visti all’interno delle scuole, in termini maggioritari”.

Berlusconi ripete come un mantra che la protesta della scuola è guidata dalla sinistra.
“Non c’è nessuna strumentalizzazione in atto in questo momento. Lo voglio sottolineare, né da parte dei sindacati né partiti. La sinistra parlamentare e extraparlamentare, ma anche i sindacati, non stanno in alcun modo condizionando il movimento studentesco che, bisogna dirlo, sta facendo opposizione anche in maniera abbastanza solitaria. La prima data di mobilitazione nazionale è partita il 10 di ottobre. E gli studenti erano soli”.