INTERVISTA A FEDERICO BOLLETTIN

INTERVISTA A FEDERICO BOLLETTIN — IN OCCASIONE DELLA PUBBLICAZIONE DI “BIANCO E NERA”

1. Qual e’ il senso delle tue “Resurrezioni”? In che cosa ti sentivi morto? E come sei risorto?

Chi vive dentro ad una gabbia è come fosse morto! Io sopravvivevo nascondendo la mia relazione d’amore, e di conseguenza mi sentivo morto. Ufficializzarla, ha significato per me uscire allo scoperto, mostrarmi e quindi vivere pienamente.

2. Per quali motivi hai deciso di affidare la tua storia personale allo scritto di “Bianco e Nera”? Volevi uscire da un incubo o sentivi bisogno di spazio vitale?

All’inizio doveva essere un semplice diario che ho scritto per “buttare fuori”. Poi le pagine continuavano a scorrere e ho pensato di creare un libro. Qualche amico mi ha invitato a condividerlo, perchè la mia-nostra storia era espressione di sentimenti ed esperienze comuni. Quindi ho trovato un appoggio sicuro nell’editrice Gabrielli. Infine, essendo stato privato della possibilità di parlare in una chiesa, davanti ad un’assemblea, ho cercato altri spazi e strumenti per continuare il mio lavoro.

3. Ho fatto leggere il tuo opuscolo ad amici e devo dire che è piaciuto molto. L’ho letto anch’io, e mi ritrovo in tante cose che dici. A quali persone hai pensato come lettori del tuo libro?

Inserendo alcune citazioni prese dalla Bibbia, ho mantenuto il mio riferimento alle Scritture. Del resto non potevo ignorare la mia formazione nè il mio attuale sostegno! Raccontando la mia-nostra storia tocco molti temi, senza però approfondirne nessuno. Lancio stimoli, provocazioni. Esprimo sentimenti, riflessioni personali. Preti sposati o innamorati, cristiani critici e maturi, coppie miste, uomini e donne alle prese con un amore apparentemente impossibile. Quindi il libro è indirizzato a tutti coloro che, pur definendosi cristiani, non pretendono di possedere la Verità, ma desiderano costruirla insieme nell’ascolto autentico di se stessi e della realtà in cui vivono. Purtroppo è ancora presto perchè anche gli stranieri presenti in Italia, in modo particolare gli africani, possano leggere il libro.

4. Quali sono stati gli stimoli che tu hai ricevuto dalla tua famiglia? La ricordi solo come un’esperienza frenante. Perche’?

É vero, mentre scrivevo ho evidenziato gli aspetti negativi della mia famiglia, per la grande difficoltà che trovavo nel comunicare loro le mie scelte. In realtà i miei genitori mi hanno trasmesso valori importanti come l’ospitalità e la semplicità. Descrivendo la mia famiglia, veneta, cattolica praticante, ho cercato di esprimere i difetti comuni delle famiglie “per bene”. Primo tra tutti è la difficoltà di convivere con i fallimenti e gli insuccessi che fanno parte della vita, in nome di un’immagine da difendere con i denti.

5. Cosa rimane della tua esperienza di seminario? I condizionamenti la cultura classica e teologica? Cosa contesti ai tuoi educatori e professori?

L’unica cosa che contesto agli educatori e professori del Seminario è il fatto di aver insegnato, a noi giovani ingenui, che esiste una Verità e che coincide esattamente con le teorie della dottrina cattolica. Per loro sono i dogmi e le formule, a costruire la nostra personalità e non viceversa. Bèh, è anche vero che nella Facoltà Teologica di Padova la teologia fondamentale e dogmatica prende molto più spazio dello studio biblico.

6. Come nasce in te l’esigenza di fare un viaggio nel continente africano? In che cosa ti ha cambiato?

Un sesto senso mi ha spinto ad andare in Africa. La mia grande sensibilità rimaneva impressionata dalle tragiche immagini che la televisione divulgava. Sono partito come missionario e salvatore, mi sono riscoperto come fratello. Africano nel sangue, attratto dalla musica e dalla danza, dal loro stile di vita. Io e Fidelia, non escludiamo infatti la possibilità di andare a vivere là, da dove molti scappano, accecati dal falso mito del progresso occidentale.

7. Il tuo primo approccio con le donne della notte africane ha messo in luce i tuoi limiti di identità….Che cosa ci puoi dire di quei primi incontri?

É sempre emozionante ricordare quei primi incontri. Mi rendo conto di aver sfidato la mia timidezza e le forme di controllo che dominavano la mia mente e il mio cuore. Tremavo in modo esagerato, per la forte tensione interiore. Non erano donne qualsiasi, animatrici parrocchiali o catechiste. Racconto bene nel libro di noi, come a due ferite che si attraevano con i segni del trauma. Il desiderio di trasgressione mi ha paradossalmente messo davanti alla mia verità e ai miei reali bisogni.

8. Come hai giudicato la tua formazione in seminario alla luce di questa prima esperienza? Cosa salveresti ancora?

Le ragazze sulla strada mi chiedevano un tipo di rapporto che non era contemplato nei manuali di teologia. La vita di Gesù, invece, è un esempio eclatante di chi incontra le persone senza giudicarle o catalogarle dentro a dei modelli prestabiliti. Quindi lo studio biblico, nelle sue diverse e complementari scuole di pensiero, è essenziale per formare una coscienza secondo la logica del Vangelo.

9. Quali sono le ferite che sono piu’ difficili da cicatrizzare e da guarire?

Certamente le ferite che sono state procurate volontariamente e in nome di Dio. Se il celibato obbligatorio e la chiusura-repressione nei confronti della Donna vengono imposti come strumento per essere più produttivi nell’ “azienda-Chiesa”, allora mi sono sentito ingannato, dentro. Dall’inganno è nata la rabbia, che ancora provo, anche se in forma minore rispetto alcuni mesi fa.

10.Antonio De Angelis, dopo il suo libro denuncia-confessione, dice chiaramente che i seminari minori vanno assolutamente chiusi. Tu cosa pensi in proposito?

Concordo perfettamente con lui. Per un adolescente è fondamentale crescere all’interno di una famiglia, nella relazione conflittuale con i genitori, a contatto con le esigenze reali e concrete di qualsiasi coetaneo. L’ambiente del Seminario, come ogni organizzazione gerarchica e militare, innesca nell’adolescente dei meccanismi che ruotano attorno al ruolo, alla carriera, alla paura di raccontarsi e di essere scoperto come colpevole. Inoltre alimenta nei familiari e nei conoscenti delle aspettative, condizionanti e difficilmente gestibili, sul futuro del giovane.

11.Che cosa rimane della tua ordinazione presbiterale? Ti senti ancora prete dentro?

I motivi per cui sono diventato prete nel 2001 a Padova, sono ancori presenti dentro di me. Anzi si sono rafforzati grazie ad una lettura, più matura e comunitaria, dei segni dei tempi. Il mio servizio, gratuito, disinteressato, onesto a favore della costruzione di un mondo di giustizia, di pace e di amore continua ad affascinarmi. Certo, le forme variano, si adattano alle esigenze personali e di chi mi circonda. So di non essere in sintonia con il pensiero ufficiale della Chiesa Cattolica, però mi sento parte di un movimento sempre più vasto che lotta per un rinnovamento ecclesiale.

12.La tua esperienza in parrocchia come l’hai vissuta? Hai cercato di cristianizzare o di umanizzare?

Uscito dal Seminario, i ritmi sono totalmente cambiati. La realtà della parrocchia è bella perchè è varia, ma la pastorale, secondo me, dovrebbe essere rivista seriamente. Il contesto sociale e religioso è profondamente cambiato, le sfide riguardano temi comuni a tutti, dalla salvaguardia dell’ambiente alla politica, dall’economia all’immigrazione. Ma soprattutto, quando si mette al centro la persona e la sua storia, sono le relazioni umane che contano, la loro profondità e concretezza. Questo vorrebbe dire per i vertici della Chiesa rivedere tutta un’impostazione teologica e una struttura politica
ben radicate nei secoli.

13.Ti piacerebbe continuare ad essere prete sposato a servizio della comunità locale?

Sarebbe il mio sogno ed è il motivo per cui sono rimasto nel quartiere dove ho esercitato il ministero presbiterale. Con la mia famiglia. Mantenendo quelle relazioni d’amicizia che oltrepassano il ruolo istituzionale. Non ho in mente di creare un’altra chiesa, ma di proporre iniziative che mirano ad un rinnovamento di questa chiesa.

14.Il romanzo della tua vita è piacevole perche’ non concedi troppo a morbosità. Quando ti sei accorto di essere innamorato di Fidelia?

Quando ho capito che non era soltanto lei ad avere bisogno di me, ma soprattutto io di lei, in quel momento sono sceso dal piedistallo e ho iniziato un rapporto alla pari.

15.Che cosa pensi dell’esperienza di don Sante Sguotti? Perche’ non pensate di mettere in comune le vostre esperienze e vedere cio’ che vi accomuna, per portare avanti insieme la causa del ministero uxorato?

Con don Sante ci siamo incontrati spesso, per condividere le nostre esperienze ma non per progettare un percorso insieme. Lui si sente cattolico al 99 per cento, io no. Secondo me la questione non è il ministero uxorato o il matrimonio dei separati o divorziati, ma il rinnovamento radicale della Chiesa, partendo dal recupero di una lettura, approfondita e comunitaria, della Parola di Dio, scritta e orale.

16.Nella prima parte della tua storia prevale l’aspetto dedicato alla corporeità repressa ed alla sessualità ancora inespressa. Da che cosa dipende questa sessuofobia della Chiesa?

La gestione della propria sessualità è un aspetto che riguarda tutti. La Chiesa ha creato una mentalità repressiva e oppressiva per un discorso di controllo e di dominio delle coscienze. In realtà, la repressione di una dimensione così fondamentale della persona che è la corporeità, crea delle personalità immature, tristi e violente.

17.Che cosa hai provato alla nascita di Lucy e adesso di Julia? Che cosa significa per te paternità fisica?

Con Lucy ho capito che non si nasce padri ma lo si diventa, così come si diventa figli. Con Julia ho capito che la paternità è responsabilità, per sempre. Ma oltre al capire, provo tanta gioia nell’essere chiamato papà, anche da altri bambini che non hanno un padre. Perchè è un ruolo che si basa sul grado di affetto e di saggezza che gli altri sperimentano su di me.

18.Ha posto dei limiti l’editore Gabrielli alla tua storia ed ai suoi contenuti?

No, assolutamente. Cercavo una casa editrice seria, per paura di venire usato sulla scia di don Sante. Emilio Gabrielli, da subito si è complimentato con me e ha ritenuto il mio scritto valido non solo dal punto di vista letterario ma anche da quello dei contenuti.