Eluana Englaro. Comunicato stampa della Segreteria Nazionale delle CdB italiane

La sentenza della Corte di Cassazione che libera Eluana Englaro è un intervento di grande valore etico, perché rispetta la “sua volontà”.

La Cassazione ha fatto prevalere il diritto sul pregiudizio. Si tratta di una sentenza straordinariamente significativa perchè esprime rispetto e restituisce piena dignità alla scelta di Eluana e del padre Peppino. Nello stesso tempo questa sentenza manifesta quanto sia rilevante per la nostra convivenza civile ogni passo nella direzione della laicità, nel ricoscimento dell’autodeterminazione.

La gerarchia cattolica non ha colto il profondo significato di questa scelta quando ha negato a Eluana il diritto di amare la vita fino a chiedere, attraverso suo padre, l’interruzione dell’alimentazione forzata.

E noi vogliamo esprimere vicinanza, solidarietà e gratitudine a Eluana e al padre di lei Peppino per il contributo che hanno dato al cammino di liberazione della intera società dal dominio del sacro. “Mia figlia ha testimoniato in sostanza Peppino – aveva un senso del morire come parte del vivere e non avrebbe accettato di essere una vittima sacrificale di una concezione sacrale della vita come realtà separata e opposta alla morte”.

Non può sfuggire la pregnanza di un simile messaggio: proprio la separazione fra vita e morte rende tanto aggressivo l’ “ordine” mondiale in cui viviamo.

Mentre portiamo avanti ogni giorno l’impegno politico e sociale per la giustizia e la pace, contro la violenza e la guerra, al tempo stesso il nostro pacifismo ci deve portare oltre la dimensione socio-politica della lotta.

E questo vale anche per l’impegno intraecclesiale. Bisogna andare finalmente alle radici, come vuole il Vangelo, individuare e tentar di sradicare il gene della violenza che cova in tutto l’apparato mummificato, simbolico e normativo, delle culture e delle religioni. E’ il Dio padrone unico e insindacabile della vita e della morte “la cifra assoluta dell’aggressività umana”, come diceva Ernesto Balducci.

Ognuno deve fare la sua parte, sull’esempio di Eluana e Peppino Englaro, per sradicare la violenza del sacro, usando gli strumenti di conoscenza e di saggezza che gli sono stati forniti dall’esperienza di vita, dai cammini di fede e dalla rete delle relazioni che ha potuto intrecciare.

La Segreteria Tecnica Nazionale delle Comunità cristiane di base italiane

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Togliere il sacro dalle scelte degli uomini

di Enzo Mazzi
(Comunità cristiana di base dell’Isolotto – Firenze)

La sentenza della corte di Cassazione che pone fine al dramma di Eluana Englaro e consente la liberazione dalla prigione in cui è stata rinchiusa per sedici anni apre una stagione culturale nuova.

Credo che non sia affatto esagerato considerarla un segno del procedere evolutivo della specie umana in campo etico. E’ una tappa importante dell’esodo storico dal dominio del sacro.

E’ una spinta decisiva a desacralizzare un concetto ossificato e ormai inadeguato del vivere e del morire, del noto e dell’ignoto. Riapre la ricerca sul senso della esistenza, sulla natura e su Dio.

Abbiamo bisogno di occhi nuovi. Ci può esser di aiuto avvicinare l’esperienza di Pierre Teilard de Chardin, gesuita, teologo, grande scienziato, geologo e paleontologo. Professore all’Istituto cattolico di Parigi, poi ricercatore in Cina e quindi negli Stati uniti dove è morto nel 1955. Attraverso la sua indagine sulla evoluzione biologica giunge alla convinzione che l’ordine etico è nel futuro, non nel passato: cioè va costruito.

L’universo si dipana nella libertà e nell’autonomia nutrite di relazioni. E sono precisamente questi valori di trasformazione che costituiscono il compito umano di «costruire la terra – costruire la natura – costruire Dio». Dio è lì, nella trasformazione, non nella fissità.

Nello stesso periodo, anni 50, sosteneva cose simili Ernst Block, marxista antidogmatico ed eretico, autore del Principio-speranza. Si possono avvicinare esperienze e idee simili, vissute e pagate di persona, con senso critico, ma aprendosi agli orizzonti nuovi che lasciano intravedere.

Ripeto, ci occorrono occhi nuovi. Una nuova percezione della natura comporta una profonda modificazione nella consapevolezza del rapporto fra vita e morte. Noi percepiamo la morte come separata dalla vita, anzi contrapposta alla vita.

In particolare il cristianesimo ci ha abituati fin da piccoli a considerare la morte come punizione per il peccato: «A causa di un solo uomo (Adamo) il peccato è entrato nel mondo e col peccato la morte e la morte si è estesa a tutti perché tutti hanno peccato» (Lettera di Paolo apostolo ai Romani).

E non è forse una tale contrapposizione fra vita e morte che rende tanto aggressivo l’«ordine» mondiale in cui viviamo? Mentre portiamo avanti l’impegno politico e sociale per la giustizia e la pace e anche per scelte politiche adeguate alle nuove frontiere dell’etica, al tempo stesso dobbiamo sporgerci oltre la dimensione socio-politica della lotta.

E questo vale anche per l’impegno intraecclesiale che non può limitarsi a rincorrere con la critica scelte inopportune o errate delle gerarchie. Bisogna andare finalmente alle radici. Va eliminata la sacralità come funzione del potere, del dominio e della espropriazione dell’uomo. Non ci può essere cultura di pace se non con la eliminazione del sacro: la fine del sacro è la fine della cultura di guerra (E. Balducci).

«Mia figlia – ha testimoniato Beppino Englaro – aveva un senso del morire come parte del vivere e non avrebbe accettato di essere una vittima sacrificale di una concezione sacrale della vita come realtà separata e opposta alla morte».

Eluana e i suoi genitori ci siano di esempio: hanno fatto una scelta di grande valore simbolico e profetico, hanno portato a compimento la desacralizzazione di un concetto inadeguato del vivere e del morire, e hanno riaperto la ricerca sul senso della esistenza.

E ora puntiamo al testamento biologico che riconosca e rispetti l’autonomia della persona nutrita di relazioni.