IL VATICANO PREDICA LA CARITÀ, MA SFRATTA I SUOI INQUILINI POVERI

di Luca Kocci
da Adista

“Ci trattano come merce, e allora mettiamo all’asta noi stessi, sperando che qualcuno ci compri”. È l’iniziativa provocatoria di un gruppo di sfrattati romani aderenti al Comitato di lotta per la casa del centro storico che, lo scorso 11 novembre, si sono messi in vendita al miglior offerente per sottolineare la loro drammatica situazione: esclusi dalla nuova proroga (che scadrà il 30 giugno 2009), costretti a pagare affitti ben più alti rispetto alle cifre che guadagnano con il loro lavoro spesso precario, obbligati a trasferirsi nei residence o nei pochi centri di accoglienza della città (entrambi gestiti per lo più da enti religiosi) oppure a vivere in strada.

Fra loro, anche diversi inquilini dei circa 200 sfrattati da case di enti ecclesiastici, che a Roma sono proprietari di circa un quinto degli immobili della capitale (direttamente il Vaticano, attraverso l’Apsa – Amministrazione del Patrimonio apostolico della Sede Apostolica – e lo Ior – la banca vaticana –, ma anche diocesi, istituti, congregazioni religiose, confraternite) e che da oltre un anno hanno avviato una politica di aumento esponenziale dei canoni di affitto fino al 300% e di sfratti anche con l’ausilio della forza pubblica (v. Adista n. 39 e 79/07, 7/08).

“Bisognerebbe affermare un principio elementare – ha detto Walter De Cesaris, ex parlamentare di Rifondazione Comunista –: come il ferito non viene lasciato in strada, ma portato in ospedale, così chi è senza casa, o sul punto di perderla, non può essere abbandonato. Si tratta cioè di fissare per legge quei livelli essenziali di assistenza a cui tutti hanno diritto”.

E propone di aprire delle vertenze nazionali su tutto quel patrimonio immobiliare pubblico non statale che da qualche anno, con le cartolarizzazioni, viene venduto all’asta: “Le caserme dismesse o le case degli enti previdenziali o assicurativi, come per esempio l’Ina – spiega De Cesaris -, non possono essere vendute all’asta perché a suo tempo vennero costruite con denaro pubblico, quindi sono patrimonio della collettività e vanno usate per il bene comune”.

Mario Staderini, ex consigliere municipale radicale, punta invece il dito sugli immobili di proprietà ecclesiastica, che godono di ingenti privilegi fiscali (come l’esenzione dal pagamento dell’Ici e di parte dell’Ires) e che vengono affittati a carissimo prezzo: “Il problema della Chiesa che sfratta andrebbe posto anche come questione teologica, e sarebbe opportuno che questa riflessione nascesse all’interno della stessa comunità dei credenti”.

Gruppi o associazioni sensibili al tema dei senza dimora, come per esempio la Comunità di Sant’Egidio, potrebbero farsi portavoce del problema e sollevare le contraddizioni della Chiesa che, mentre parla di carità, sfratta i suoi inquilini. Ma la rappresentante di Sant’Egidio presente all’incontro sembra non intendere: facciamo assistenza ai senza tetto – spiega una esponente della Comunità – cerchiamo di risolvere i problemi delle singole persone, sollecitiamo gli enti locali a trovare delle soluzioni. Ma sulle questioni intraecclesiali nemmeno una parola.

E dopo l’asta, il Comitato annuncia un’altra iniziativa provocatoria: lettere ai dirigenti scolastici per proporre agli studenti delle visite guidate nei luoghi dove vivono i senza dimora, per esempio sotto i ponti di Roma. Per far conoscere un altro aspetto della città e per continuare a denunciare una situazione insostenibile.