LAVORO, EUTANASIA DI UN DIRITTO

di Eugenio Roscini Vitali

Sacconi e la Marcegaglia hanno vinto e lo hanno fatto grazie al ministro dell’Economia e delle Finanze, Giulio Tremonti, che sul fronte della tutela sul lavoro ha aggirato l’articolo 2112 del codice civile, quello che protegge i diritti dei dipendenti di quelle imprese che in momenti di crisi decidono di cedere interi rami aziendali. Questa la legge in vigore fino a ieri: “Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda: in caso di trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. Il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento….. Il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento…….”. L’assalto è avvenuto come al solito in modo sibillino, davanti agli occhi di un’opposizione divisa ed alienata dai problemi interni, problemi che evidentemente non gli permettono di reagire.

In sede di conversione del decreto legge n.162 del 23 ottobre scorso, “Interventi urgenti in materia di adeguamento dei prezzi di materiali da costruzione, di sostegno ai settori dell’autotrasporto, dell’agricoltura e della pesca professionale, nonché di finanziamento delle opere per il G8 e definizione degli adempimenti tributari per le regioni Marche ed Umbria, colpite dagli eventi sismici del 1997”, il Senato ha approvato una modifica che inserisce all’articolo 3 (Interventi in materia di protezione civile) le disposizioni in tema di imprese in amministrazione straordinaria. In pratica vengono annullate le normative disposte dal codice civile e viene autorizzata la cessione di rami aziendali senza che la società acquirente sia tenuta a mantenere l’inquadramento contrattuale dei dipendenti e i loro livelli retributivi.

Come molti addetti ai lavori avevano previsto il caso Alitalia non è stato altro che il cavalo di Troia usato dalla Confindustria per scardinare il rapporto lavoro-impresa: 8429 lavoratori dell’Alitalia Fly, 3344 di Az Service, 3239 di Alitalia Airport, 597 di Alitalia Express e 466 di Volare, senza considerare l’indotto e tutto il sistema di commercio che orbita intorno a Fiumicino e Malpensa; 17 mila lettere di messa in cassa integrazione e poco più di 12 mila assunzioni. E questo è solo l’inizio di una voragine ben più grande. Nel solo Piemonte, regione laboratorio del mondo del lavoro italiano, le aziende in crisi sono 450, più di 5 mila i precari fino ad ora rimasti a casa e 27 mila i cassintegrati (fonte Fim, Fiom, Uilm). I settori produttivi italiani vengono colpiti indistintamente e gli interventi ordinari e straordinari stanno crescendo a dismisura: nel solo mese di ottobre le ore sono salite a 23 milioni, 3 milioni e mezzo in più del mese precedente; rispetto allo stesso periodo dello scorso anno il confronto è poi disarmante, +68%. I contratti di lavoro determinato in scadenza sono poi una vera e propria bomba ad orologeria: 4 milioni che dovrebbero chiudersi entro 12 mesi.

Tornando alla scure che si è abbattuta sull’articolo 2112 del codice civile, il senatore del Partito Democratico, ed ex segretario confederale della Cgil, Paolo Nerozzi, afferma che l’emendamento del governo al decreto legge “infrastrutture” é di gravità inaudita ed in pieno contrasto con le norme dell’Unione Europea. Di fatto vengono tolte le tutele a tutti i lavoratori delle grandi imprese che per superare il crollo dei mercati decidono di fare cassa vendendo parti o rami dell’azienda, cosa particolarmente rischiosa in un mercato del lavoro ingessato da una crisi che, secondo gli americani, al contrario di quanto affermano i nostri vate durerà non meno di vent’anni. Decenni di battaglie sindacali e di contrattazioni che vanno in fumo e centinaia di migliaia di lavoratori candidati a licenziamenti di massa, soprattutto nelle aree più industrializzate del Paese.

Mentre la crisi è ormai entra nelle nostre case, il governo lancia un piano da 80 miliardi che dovrebbe rilanciare l’economia. Secondo il ministro Tremonti si tratta di misure che rientrano nella media europea e sono coerenti con i nostri conti pubblici: “Sono tempi straordinari e servono scelte straordinarie per procedure veloci, sempre ferma restando la trasparenza”. Per ora si sa che il governo dovrebbe mettere a disposizione delle fasce sociali più deboli – circa 900 mila cittadini con un reddito inferiore a 6 mila euro all’anno (sono esclusi i possessori di immobili oltre la prima casa) – una social card da 40 euro, spendibile da dicembre negli esercizi convenzionati e con retroattività
da ottobre. Ma la festa non è finita, perché a questo surplus di denaro va aggiunto il godimento delle tariffe sociali per luce e gas. Notte fonda sul fronte delle pensioni, sulla detassazione delle tredicesime e, soprattutto, sugli ammortizzatori sociali.

Fortunatamente il Natale ci viene allietato dal ministro Tremonti che, con metafore del tutto hollywoodiane, paragona la crisi economica mondiale, la più devastante dal dopo guerra, ad un videogame che non può essere spento. Un gioco costellato di mostri da sconfiggere, la cui morte ci permette di arrivare al livello successivo: il primo mostro è stato quello dei subprime; il secondo è stato il collasso del credito; il terzo la bancarotta delle grandi banche; il quarto il collasso delle Borse. Dietro l’angolo ci sarebbero poi le carte di debito e i derivati, un rischio dagli effetti incalcolabili. Bene, almeno risparmiamo i soldi del cinema