La mia battaglia per la libertà

Le memorie di Hans Kung

di Giovanni Franzoni
da Liberazione del 20 agosto 2008

La mia battaglia per la libertà , primo volume delle memorie di Hans Küng, è a disposizione dei lettori italiani grazie alla casa editrice Diabasis (pp. 554, euro 28).

Per comprendere l’anima del discorso di Küng, attualmente solo al primo volume, è importante cogliere nel titolo due indicazioni fondamentali: il teologo non parla genericamente di un percorso personale di crescita ma parla di “battaglia” (nell’edizione originale si parla di Erkämpfte Freiheit , cioè di libertà “conquistata”, espressione che non sarebbe stato male riportare anche nella traduzione italiana). Bisogna inoltre rilevare – e questa è la seconda indicazione – che la battaglia è indicata come “mia” (nel testo originale questo è affidato all’integrazione del titolo con Erinnerungen , cioè “ricordi”, il che nella traduzione appare solo come un sottotitolo).

Senza insistere nel sottilizzare sulla traduzione si potrebbe concludere che quella di Hans Küng è stata una battaglia che lui ritiene di aver vinto, conquistando una libertà di pensiero e di costruzione teologica, contro alcuni o contro alcune forme istituzionali che ne hanno contrastato l’acquisizione. I ricordi, che spesso assumono la forma biografica e in questo modo potrebbero indurre su una strada sbagliata, in realtà si aggregano intorno alla libertà come scelta fondamentale di vita, per cui la libertà conquistata è la sua libertà.

Assunte queste due considerazioni si comprende l’ampiezza e insieme il limite delle memorie contenute nel primo volume. Se la libertà, nell’accostarsi al messaggio evangelico con rigore e con profondo rispetto è una ricchezza conquistata e saldamente tenuta, come spenderla perché diventi ricchezza di tutti e da libertà del teologo divenga liberazione di quei poveri cui si riferisce il vangelo delle beatitudini?

Il passaggio da libertà individuale a liberazione collettiva è quanto ci possiamo aspettare dal secondo o forse da un terzo volume.

Riassumere il contenuto della ricca esposizione di ricordi – dall’infanzia alla maturità – sarebbe un invito alla pigrizia e un esonero alla lettura; una prima sottolineatura penso, peraltro, che sia utile. Uscendo da una serena rivisitazione del contesto sociale, politico e familiare della sua adolescenza, in cui tra i fumi di invasioni e di guerre suscitate dal nazismo, le figure eroiche , di difensori della libertà, che appaiono a un giovane svizzero, sono quelle di Churchill e De Gaulle.

Hans Küng affronta lo scenario medieval-barocco del cattolicesimo che gli viene proposto. Questo passaggio è importante perché è un momento di svolta nel suo orientamento fondamentale per il suo futuro di uomo e di credente. Da una parte una comunità parrocchiale tradizionalista e tutta gongolante nel godersi il parroco – protonotario apostolico – pomposamente addobbato con paramenti vescovili che incarna una forma di religione sociale senza le inquietudini di una ricerca di fede. Dall’altra parte un’altra figura di giovane sacerdote – Franz Xavier Kaufmann – che condivide la vita con i giovani, ha sempre la porta aperta per loro. «Un pastore dell’anima che in molte cose è anche un pastore del corpo». Il segreto di questa guida tra i giovani sta nel rappresentare ancora attuale la figura di Gesù. «In lui agisce lo stesso spirito di colui che già duemila anni fa non ha dato peso alla veste spirituale e all’affaccendarsi clericale… che non ha interrogato e valutato nessuno, in tono inquisitorio, sulla sua professione di fede, ma che ha la capacità di scrutare il cuore. Che, contrario a ogni devozionalismo esagerato, non ha costruito alcuna posizione di potere sacrale, ma si è posto al servizio degli uomini». Affascinato da questa figura di prete, Hans Küng imboccherà la via della vocazione sacerdotale e arriverà a Roma per studiare al famoso collegio Germanicum.

Pontificio Collegio Germanico e Pontificia Università Gregoriana sono le inevitabili istituzioni per un giovane germanofono che vuole studiare a Roma. Non sembra peraltro che il nostro abbia subito come coazione questo bagno nella romanità in epoca pacelliana.

In pieno Concilio Vaticano II, il patriarca dei melchiti cattolici, Massimo IV Saigh, parlando in francese invece che in latino – unico fra tanti a ostentare disamore per Roma, fino a disprezzare la lingua latina – ebbe a dire: «Ho studiato teologia per quattro anni a Roma e ne ho dovuti spendere dieci per dimenticare quello che mi avevano insegnato». Paolo VI non se ne ebbe, e scelse lui, in una cerimonia in rito bizantino – presieduta dal patriarca che aveva fatto un secco intervento contro l’assistenzialismo ai poveri, che lascia la povertà a se stessa e altrettanto la lotta dei poveri per non essere più poveri – di deporre la tiara di platino, simbolo della cumulazione del potere temporale col potere spirituale del papa, proprio sulle sue ginocchia. Küng ha una diversa versione dell’evento probabilmente perché, non essendo i periti presenti in aula conciliare, l’ha conosciuto solo indirettamente da voci. In questa occasione Roma seppe fronteggiare Antiochia con dignità. Nessun papa, nonostante il riflusso postconciliare, ha mai più indossato la tiara.

I tedeschi, invece, spesso assai critici su alcuni aspetti del cattolicesimo romano, non hanno mai odiato la latinità e hanno accettato Roma, nella sua ricchezza e nella sua ambiguità. Paradigma di mondanità, di dotta ignoranza, di astuzia politica ma anche custode di memorie preziose.

Poiché sono anch’io del ‘28, abbiamo avuto per i tre anni di filosofia alla Gregoriana gli stessi professori, le stesse dormite alle lezioni di padre Dezza, che allora insegnava Metafisica, e gli stessi sussulti ai tentativi di padre Arnou, professore di Teodicea, che si permetteva di allargare l’attenzione dal rigido insegnamento di San Tommaso, all’esistenzialismo. Hans Küng, per la tesina di licenza in filosofia, scelse Sartre e lo studio dell’esistenzialismo umanista dell’autore di L’être et le néant . Le opere di Sartre, proprio nel 1948, sono state messe all’Indice dal Sant’ Uffizio ma con una sottile distinzione il giovane Hans propone di mettere in scena, in Collegio, una pièce teatrale di Sartre: Les mouches . La rappresentazione non è proibita! L’idea non passa ma il giovane studente, pur essendo d’accordo nell’obbiettare a Sartre che l’uomo non è solo libertà, concorda col filosofo nell’affermare che la libertà definisce l’uomo. «Contro ogni falsa sicumera e sazietà borghese – asserisce Küng – mi sembra che Sartre abbia ragione nel dire che l’uomo che non è ciò che è, è perduto. Egli sarà tale e quale egli stesso si è progettato». La scelta del giovane studente avrà aspetti diversi da quella di Sartre ma concorda sul fatto che la scelta fondamentale, a monte di ogni altra scelta, è la scelta di essere se stessi nel mondo.

Dalla licenza in filosofia, nel curriculum degli studi ecclesiastici alla Gregoriana si passa alla teologia. Qui, per i primi anni, pur manifestando qualche insofferenza e un profondo tedio, il giovane Hans si allinea sull’insegnamento scolastico dei padri Tromp, Zapelena e Hürth finché, dopo aver affrontato il problema di coscienza col padre spirituale, non prende la decisione di seguire soltanto le lezioni utili.

Si apre così lo spazio per leggere Rahner e il grande teologo protestante Karl Barth. Su Barth farà la tesina di licenza e anche la tesi di laurea, benché padre Boyer – prefetto degli studi – lo avesse avvisato che un teologo protestante poteva essere letto ma non citato, e doveva cambiare strada se voleva avere la “lode”. E lui disobbedì; cambiò strada , lasciando Roma e la Gregoriana e andando a Parigi.

La sua ammirazione per il pensiero teologico del teologo protestante è grande; dopo la lettura dell’undicesimo volume della Do
gmatica ecclesiale di Barth, Küng annota sul suo diario «semplicemente grandioso!». E ancora oggi, dopo 53 anni, riassume il grande disegno barthiano; affermata «la divinità del Totalmente Altro, della Trascendenza, della infinita differenza qualitativa tra Dio e tutte le creature, è ormai diventata sempre più importante l’affermazione dell’umanità di Dio e dell’uomo alla luce del farsi uomo di Dio, in Cristo». Dio non può essere imprigionato in alcuna religione perché la religione è un affaccendarsi umano e clericale mentre la fede è risposta di abbandono. Ma il tema scottante che divide i cattolici dal luteranesimo è appunto quello della giustificazione. Per fede o per le opere?

A Parigi Hans Küng avrà la desiderata vittoria, ottenendo il dottorato – con lode – con una tesi sulla giustificazione (per fede e non per opere di religione ndr ) cui lo stesso Barth aveva consentito di aggiungere, come prefazione, una sua “lettera all’autore”. La tesi fu pubblicata e recensita favorevolmente in Germania – anche dal dott. Joseph Ratzinger – ma il Sant’Uffizio aprì sul nome di Küng il fascicolo n. 399/57i, rimasto fino ad oggi aperto e il giovane teologo rimase col fiato sospeso nel timore che fosse messa all’Indice dei libri proibiti.

Il giovane dottore riceve presto un incarico pastorale come vice-parroco a Lucerna ma le sue aspirazioni vanno assai oltre e precisamente nella direzione di una abilitazione per conseguire un incarico di insegnamento: dopo vari contatti e varie ipotesi una lettera del prof. Volk di Münster in Westfalia (Germania) gli apre la possibilità dell’abilitazione e lascia Lucerna per la nuova destinazione.

Ma un altro evento lo avvia verso un terreno di ricerca che si dimostrerà estremamente attuale e fecondo. Nell’autunno del 1958 con una telefonata, Karl Barth lo invita a Basilea a tenere una conferenza in quella Facoltà teologica protestante: tema proposto la Giustificazione. A Küng sembra strano tenere una conferenza sulla giustificazione proprio davanti a Barth e propone un altro tema. La chiesa protestante si ispira alla Riforma luterana ma la riforma della chiesa è un una tantum oppure la chiesa est sempre reformanda ? E se la chiesa è sempre da riformare per raggiungere l’ideale evangelico è pensabile che anche la chiesa cattolica sia riformabile e reformanda .

Barth accetta e la conferenza sulla chiesa, «sempre da riformare» (19 gennaio 1959), è un successo ma rimane un interrogativo angosciante: è disponibile la chiesa cattolica a riformarsi e a convergere verso l’evangelo e verso l’unità dei cristiani? Ed ecco il colpo di fulmine. Giunge per il mondo la notizia che papa Giovanni XXIII, il 25 gennaio ha annunciato un Concilio ecumenico. Tutti credevano, almeno nella Curia romana e dintorni, che dopo il Vaticano I, in cui si era proclamata l’infallibilità del papa, sarebbe stato inutile un Concilio, perché tutto si poteva risolvere a Roma. Qualsiasi dubbio o controversia applicativa, imposta dal mutare dei tempi, sarebbe stata portata a Roma. E: Roma locuta, causa finita . Ed ecco questo strano papa contadino, anche lui con un dossier giacente da anni presso il Sant’ Uffizio, che ti convoca un Concilio.

Il 1960 diventa per il trentaduenne teologo un anno pieno. Da un lato, essendo stato invitato a concorrere per la cattedra di Teologia fondamentale alla prestigiosa Università di Tubinga, deve mettere a punto i suoi scritti; d’altra parte partecipa, con altri teologi e sollecitato dai vescovi tedeschi, alla elaborazione di idee e proposte per il Concilio. Comincia così a scrivere un libro su Concilio e ritorno all’unità di cui presenta il manoscritto al cardinal Döpfner – che sarà uno dei quattro moderatori del Concilio – che ne è soddisfatto. Fra le proposte l’introduzione della lingua corrente nella liturgia latina, la necessità del trasferimento di competenze dalla curia romana ai vescovi locali, la revisione della figura dei laici nella Chiesa che non appartengono alla chiesa ma sono la Chiesa, la revisione della disciplina sul celibato ecclesiastico obbligatorio nella Chiesa latina. L’abolizione dell’Indice dei libri proibiti. Presenta le sue idee anche al cardinal Montini che obbietta e distingue ma non si adira. Sarà un vero riformatore se sarà papa?

Queste proposte, in fondo abbastanza moderate, Hans Küng le affida ad un altro libro Strutture della Chiesa , in cui si comincia a impostare il problema dell’infallibilità del papa e dei Concili, libro che andrà ad appesantire il dossier 399/57i del Sant’Uffizio ma che non gli impedisce di essere scelto come perito per seguire a Roma il vescovo Carl J. Leiprecht di Rottenburg.

I periti seguirono il Concilio con un animo di speranza e di fiducia per il futuro della Chiesa e delle Chiese nel mondo. Certo è presente un fronte estremamente ostile a qualsiasi cambiamento reale – i cardinali Ottaviani, Ruffini, Siri, Browne, Spellman e non pochi altri – che peraltro è messo in minoranza dagli episcopati di chiese diffuse per tutto il mondo e rappresentanti una vera cattolicità finora considerata come marginale e colonizzata. «Nonostante il partito romano, la libertà del Concilio – afferma Küng – è un’esperienza irrepetibile per tutti i partecipanti. Quanti sono coloro che nella loro vita, la sperimentano qui per la prima volta nella libera comunione dei vescovi!…ora questa libertà audacemente percepita nel Concilio diventa il presupposto sia per un rinnovamento della chiesa, sia per una riunificazione dei cristiani separati».

La prima votazione, sullo schema di riforma liturgica, passa con 2162 voti favorevoli e 46 contrari. Così si scopre che la dura e rumorosa opposizione raccoglieva solo il 3% scarso dei consensi.

Il lavoro del Concilio va avanti favorevolmente ma, dopo la morte di papa Giovanni, l’opposizione cerca di guadagnare spazio, utilizzando delle forzature di Paolo VI sulla libertà del Concilio. Il papa sottrae alla materia del dibattito due argomenti fondamentali: la disciplina del celibato ecclesiastico e la contraccezione.

Nella terza sessione si registra una settimana nera (14 – 19 novembre 1964) in cui il decreto sulla libertà religiosa viene bloccato e rinviato in commissione con stupore di tutti e indignazione degli americani, alla Costituzione Lumen Gentium sulla Chiesa vengono imposte, per autorità del papa, alcune note previe, che salvaguardano, rispetto al principio di collegialità, il potere sovrano e assoluto del papa: contro la volontà del Concilio, che considera Maria nella Chiesa e non sopra la Chiesa, Paolo VI proclama Maria Mater Ecclesiae , per le pressioni dei polacchi.

Comunque, nella quarta sessione, passa il decreto per la libertà religiosa che farà impazzire l’estrema destra di Lefevre e quello sugli ebrei, riscattati ormai definitivamente dall’infame accusa di “popolo deicida”. Nella Gaudium et spes la modernità non è più vista come diabolica invasione ma come sfida alla chiesa per aggiornare il suo messaggio al mondo.

Chiuso il Concilio, l’8 dicembre del 1965, Hans Küng conclude che nonostante i compromessi e le omissioni si è aperta per la chiesa una nuova epoca piena di speranza «un’età del rinnovamento costruttivo in tutti gli ambiti della vita ecclesiale, dell’incontro comprensivo e della collaborazione con la restante cristianità, con gli ebrei, le altre religioni e con il mondo moderno in genere»…e poi annuncia: «di tutto ciò parlerò nel secondo volume che, se Dio vuole, racconterà i decenni in cui l’accento principale si è sempre più spostato dalla libertà alla verità. La verità che può essere annunciata, difesa e vissuta solo nella veracità».
Non resta che attendere.