Il popolo di Dio. Vaticano II, un futuro dimenticato

intervista a Carlos Aguirre a cura di Mario De Maio e Silvia Petitti
in “Oreundici” n. 11 del novembre 2008

Carlos Aguirre è come un fiume che scorre libero. Ascoltarlo significa tenere le antenne pronte a cogliere la nota dell’assolo, la licenza creativa del suo linguaggio che fluisce in tante direzioni. Don Mario ha raccolto alcune sue riflessioni attorno al tema della laicità, che ho provato a riordinare. Riflessioni interessanti perché Carlos è argentino – e la laicità è un tema che si innesta nella cultura di un Paese e di un popolo –, è teologo che ha partecipato all’esperienza del concilio Vaticano Il. È amico, estimatore, seguace libero e sciolto della spiritualità di Charles de Foucauld.

Come nasce il termine laico?
Nietzsche diceva che le Università tedesche dovrebbero dedicare il primo anno allo studio delle etimologie. Forse un anno è troppo, ma senz’altro lo studio dell’origine delle parole è importante… Laico viene da laos, che in greco significa popolo, laico significa dunque membro del popolo. Laico è semplicemente un membro del popolo, non c’erano membri di prima o seconda classe. L’Antico Testamento ci racconta in modo epico come nasce il “popolo di Dio”, quel gruppo che è partito dall’Egitto con Mosè, ha vissuto l’Esodo e con cui Dio ha fatto la sua alleanza. Dio gli ha dato le tavole della legge, dieci parole, affinché non ripetesse quello che aveva vissuto come schiavo in Egitto. Mosè ha accolto quel patto con un rito simbolico (l’uccisione di animali e l’aspersione delle tavole con il loro sangue) e da quel momento Dio è entrato a far parte di quel popolo. Per l’Antico Testamento laos, laico, significa dunque essere membro di questo popolo che ha Dio con sé.

Il termine laico richiama quindi l’appartenenza a una comunità?
Esatto. In particolare va sottolineato che era la comunità stessa a scegliere coloro che la dovevano dirigere, perché vigeva la regola che colui che deve governare su tutti deve essere scelto da tutti. Questa prassi continua fino al primo Millennio: le comunità sceglievano la persona più adatta a
servire la comunità stessa, questa era la funzione del prete. Quando la Chiesa inizia a istituzionalizzarsi, comincia anche a crearsi la divisione tra quelli che comandano e quelli che debbono obbedire. Quelli che sanno e quelli che debbono solo ascoltare perché sono ignoranti. Non si parla più di servizio ma di clero, che significa ’separato’: separato dal mondo dove c’è il profano (la divisione tra sacro e profano) dal quale bisogna distinguersi.
Da qui nasce il chierico, separato dal mondo perché possa parlare di Dio al popolo, come se per essere uomini di Dio fosse necessario essere separati dagli altri uomini e dal mondo.

Fino a quando è durata questa convinzione? In che modo si è rafforzata nel tempo?
A poco a poco questa situazione si è solidificata. Quando Costantino ha riconosciuto la libertà religiosa e Teodosio ha fatto del cristianesimo la religione ufficiale dell’Impero, i cristiani si sono sentiti obbligati a giocare il ruolo di religione ufficiale. I vescovi hanno assunto un ruolo di potere. Nel Medioevo, quando i cristiani si sono resi conto che il cristianesimo era la religione del mondo, hanno pensato di dover fare il mondo secondo Dio. E allora si sono ispirati alle norme contenute nell’Antico Testamento sul sacerdozio. A poco a poco si è formata una specie di casta di sapienti, separati dal mondo. Con il tempo i chierici non venivano più eletti dal popolo, ma era il vescovo di Roma a sceglierli.

Il vescovo di Roma ha così cominciato ad assumere un ruolo centrale…
II Vaticano I ha creduto che per unire la Chiesa fosse necessario dare potere al centro, cioè al Papa. L’idea che il vescovo di Roma sia il centro della Chiesa viene dall’Impero. Il Vaticano I ha dichiarato che il Papa è il vescovo universale, con primato di giurisdizione su tutta la chiesa. In questo modo però la vita della comunità non viene aiutata, ma al contrario ostacolata perché la presenza di un’autorità suprema toglie voce alla comunità stessa. Quando c’è uno che vale di più e l’altro di meno, la fraternità è solo una parola. Non possiamo essere fratelli se tu sei sopra e io sono sotto. C’è un libro di Rosmini, “Le cinque piaghe della Chiesa”, che elenca tra le piaghe anche questa divisione tra clero e laici. Laico, che significava qualcosa di grande adesso significa ignorante, inferiore.

Bisogna arrivare al concilio Vaticano II per trovare un tentativo di recuperare la presenza e il valore del laicato all’interno della Chiesa?
Il Vaticano II ha tentato di recuperare “la novità della tradizione”, ha cercato di ripristinare gli inizi. Quando ti chiedono di parlare della Chiesa, si comincia dal Papa, i vescovi, i preti, e infine i laici. La Lumen Gentium ha rivoluzionato questo ordine mettendo al primo posto il popolo di Dio e poi la gerarchia. Il primo capitolo della Lumen Gentium si intitola “Il mistero della Chiesa”, il secondo “Il popolo di Dio”, il terzo “La gerarchia ecclesiastica”. La gerarchia è al servizio del popolo, ne fa parte.

E oggi? Che cosa resta del Vaticano Il?
Oggi il Vaticano Il è un futuro dimenticato, ci è sembrato di vedere una primavera. Giovanni XXIII aveva usato un’immagine molto efficace: aveva aperto le finestre per fare entrare un po’ di aria fresca nella Chiesa. Il suo gesto e il suo invito significava ridare ai laici la santa libertà dei figli di Dio. Oggi quasi tutte le finestre sono state richiuse… C’è un ritorno all’antico che fa sentire la gente più sicura, De Lubac dice: “Difendono la Chiesa con
quello zelo ambiguo di chi difende un bene di famiglia”. Le conseguenze, almeno in Argentina, sono sotto gli occhi di tutti: sempre meno gente va in Chiesa, i preti non sono più guida del popolo ma spesso soltanto funzionari di Dio.