SE UNA NOTTE A GERUSALEMME UN CARDINALE… LA VEGLIA DI CARLO MARIA MARTINI

di Eletta Cucuzza
da adistaonline.it

È rivolto ai giovani, società e Chiesa di domani, il messaggio del card. Carlo Maria Martini nel suo ultimo libro “Conversazioni notturne a Gerusalemme” (Mondaori, 2008), una via di mezzo fra l’intervista e il dialogo condotto nottetempo – quando “le idee nascono più facilmente che nella razionalità del giorno”, dice Martini – da p. Georg Sporschill (anch’egli gesuita) sul canovaccio delle domande formulate dai ragazzi di strada del gruppo di cui p. Sporschill è animatore in Romania.

Non c’è argomento delle ‘cose’ umane e ecclesiali che non venga toccato, sempre intersecate, l’una ad illuminare l’altra. Ne emerge la fede in un Dio e in un Gesù totalmente compromessi con l’uomo: “Gesù si è battuto in nome di Dio perché viviamo secondo giustizia”, afferma. Il “buon cristiano” allora sarà spinto “ad agire socialmente, a intercedere per gli altri, come ha fatto Gesù, che ha operato guarigioni, chiamato gli apostoli, criticato i potenti, ammonito i ricchi e accolto gli stranieri”. Perché “l’inferno esiste, ed è già sulla Terra”, dalla malattia alla tossicomania, alla violenza di alcuni contro altri, “anche Stalingrado e l’Olocausto sono autentici inferni”. “Nella predicazione di Gesù l’inferno è un monito a vivere in modo da non generare mai questo inferno e non precipitarvi mai”. Gesù “vuole preservarcene e liberarcene”.

Se Gesù vivesse oggi, è l’ipotesi di Martini, “risveglierebbe proprio i giovani benestanti, li porterebbe dalla sua parte per cambiare il mondo insieme a lui”, che significa “togliere agli uomini le loro paure, ridurre le aggressività, abolire le ingiustizie tra poveri e ricchi”. Fine per il quale Gesù non ha temuto il conflitto, e d’altronde “dove esistono ancora conflitti arde la fiamma, lo Spirito Santo è all’opera”. Perciò nella ricerca di collaboratori e vocazioni religiose “dovremmo forse prestare attenzione innanzitutto a coloro che sono scomodi e domandarci se proprio questi critici non abbiano la stoffa per diventare un giorno responsabili e alla fine sognatori” che “ci mantengano aperti alle sorprese dello Spirito Santo”.

Se Gesù vivesse oggi, “scuoterebbe tutti i responsabili della Chiesa rammentando che la loro missione riguarda il mondo intero. Che non devono dedicarsi a una contemplazione narcisistica, bensì guardare oltre i confini della propria istituzione”.

E allora “cosa sogna per la Chiesa?”, chiede p. Sporshill. “Un tempo – risponde il cardinale che ha guidato per oltre vent’anni la diocesi di Milano – avevo sogni sulla Chiesa”: che procedesse “in povertà e umiltà”, che non dipendesse dai poteri di questo mondo. Sognavo che la diffidenza venisse estirpata. Una Chiesa che dà spazio alle persone capaci di pensare in modo più aperto, una Chiesa che infonde coraggio, soprattutto a coloro che si sentono piccoli o peccatori. Sognavo una Chiesa giovane. Oggi non ho più di questi sogni”, confessa Martini. “Dopo i settantacinque anni ho deciso di pregare per la Chiesa”.

Fra i temi caldi sui quali si confrontano spesso la Chiesa e la società, soprattutto i giovani, c’è quello della sessualità. “Nessun vescovo e nessun sacerdote – afferma il card. Martini – ignora ormai che la vicinanza fisica delle persone prima del matrimonio è un dato di fatto. Se vogliamo proteggere la famiglia e promuovere la fedeltà coniugale, dobbiamo rivedere il nostro modo di pensare. Illusioni e divieti non portano a nulla”. E bisogna rispondere alla domanda di “responsabilità consapevole nei confronti dei figli” che i giovani pongono spesso a persone di fiducia.

Su queste convinzioni si innesta la critica del cardinale alla Humanae vitae, l’enciclica del 1968 di Paolo VI che proibì ai cattolici l’uso dei contraccettivi artificiali. “Ne è derivato un grave danno”, afferma senza mezzi termini Martini, “ha contribuito a far sì che molti non prendessero più in seria considerazione la Chiesa come interlocutrice o maestra”. Papa Montini, che già nel 1964 disponeva delle conclusioni di una apposita commissione di specialisti sul tema, “sottrasse scientemente l’argomento ai dibattiti dei padri conciliari”. “A lunga scadenza, la solitudine di questa decisione non si è dimostrata un presupposto favorevole per trattare il tema sessualità e famiglia”. “Ad alcuni amici – racconta Martini (che precisa anche: “l’ho conosciuto bene e l’ho molto stimato”) – spiegò il suo intento servendosi di un paragone: anche se non si deve mentire, a volte non è possibile fare altrimenti; forse occorre nascondere la verità, oppure è inevitabile dire una bugia. Spetta ai moralisti spiegare dove comincia il peccato, soprattutto nei casi in cui esiste un dovere più grande della trasmissione della vita”.

Si esprime anche sull’omosessualità il cardinale. La Bibbia la condanna “con parole forti”. Era “prassi dell’antichità”, e “la preoccupazione delle Sacre Scritture” era “la tutela della famiglia e uno spazio sano per i figli, che in ogni caso vengono dalle coppie eterosessuali”. “Di conseguenza io propendo per una gerarchia di valori e non, in linea di principio, per una parità di diritti. Ho già detto – sigilla il cardinale – più di quanto non avrei dovuto”. E chiosa: “Nel rapporto con l’omosessualità (…) nella Chiesa dobbiamo rimproverarci di essere spesso stati insensibili”.Sul celibato dei preti il cardinale Martini dice poche cose, precise: “Forse non tutti gli uomini chiamati al sacerdozio possiedono questo carisma. Da noi la Chiesa dovrà escogitare qualcosa. (…) La possibilità di consacrare viri probati (uomini esperti, di provata fede e capacità relazionale) dovrà in ogni caso essere discussa”.

Il tema conduce al legame che la Chiesa ha ‘istituito’ tra il peccato e la donna, la quale è stata anche resa il più possibile invisibile. “Gli ecclesiastici – commenta il gesuita – devono chiedere perdono alle donne per molte cose, ma, soprattutto, oggi devono considerarle maggiormente come interlocutrici”. Ma per quanto riguarda il sacerdozio, “dobbiamo tenere conto del dialogo ecumenico con gli ortodossi e delle mentalità in Oriente e in altri continenti”. Come la pensi personalmente il card. Martini traspare quando racconta questo episodio: “Negli anni Novanta sono andato a trovare a Canterbury l’allora primate della Chiesa d’Inghilterra (…). L’ordinazione di donne aveva provocato tensioni nella sua Chiesa. Ho tentato di infondergli coraggio in questa impresa: potrebbe aiutare anche noi a rendere più giustizia alle donne e a comprendere come andare avanti. Non dobbiamo esser scontenti perché la Chiesa evangelica e quella anglicana ordinano donne, introducendo un elemento fondamentale nel contesto del grande ecumenismo. E, tuttavia, questo non è un motivo per uniformare le diverse tradizioni”.

In almeno due, tre punti del libro, il cardinale gesuita parla dei musulmani e della loro religione. “Molti dicono che [essi] siano favorevoli alla guerra santa, che vorrebbero convertirci tutti in maniera più o meno violenta. Sarà, ma non lo si può dimostrare con il Corano. Gli uomini – considera ampliando il discorso – si allontanano dai propri documenti di base, dai dieci comandamenti, e si costruiscono una propria religione; questo rischio esiste anche per noi. Non puoi rendere Dio cattolico. Dio è al di là dei limiti e delle definizioni che noi stabiliamo. Nella vita ne abbiamo bisogno, è ovvio, ma non dobbiamo confonderli con Dio”