RASSEGNA STAMPA – Scuola cattolica, la Chiesa attacca. Il governo annulla i tagli

1) LA SCUOLA DEI VESCOVI E QUELLA DELLO STATO

di www.italialaica.it

L’impudenza dei vescovi e l’arroganza del governo berlusconiano hanno avuto un’occasione, finora unica per gravità tempestività, per intrecciarsi.

Monsignor Bruno Stenco, direttore dell’Ufficio nazionale della Cei per l’educazione, la scuola e l’università ha appena lanciato la minaccia che le federazioni delle scuole cattoliche sono pronte a mobilitarsi in tutto il Paese contro i tagli dei fondi per le scuole confessionali, che arriva l’annuncio del sottosegretario all’Economia, Giuseppe Vegas. I vescovi “Possono stare tranquilli, possono dormire su quattro cuscini. C’è un emendamento del relatore che ripristina il livello originario dei fondi per le scuole paritarie”.

La protesta della Cei era già stata preceduta da interventi di tanti integralisti clericali per i quali – ma vale per tutte le corporazioni – il guicciardiniano “bene particulare” deve prevalere sul tanto esaltato “bene comune”: la scuola di pochi, spesso ricchi, ha diritto al finanziamento mentre la scuola di tutti perde ore di lezione, docenti, strutture. Pochi soldi, si potrebbe dire,”solo” 130 milioni di euro: ma gli alunni della prossima scuola che dovrà chiudere perché a rischio crollo per mancanza di manutenzione sapranno chi ringraziare.

Qualcuno potrebbe meravigliarsi che ci sia chi continua a scandalizzarsi e, magari, insiste nel denunciare la violazione dell’art. 33 della Costituzione. In verità sarebbe necessario che fossero in molti della cosiddetta società civile e magari dei cattolici democratici o di sinistra ad uscire dalle sconsolate mormorazioni private e gridassero dai tetti, come dice il Vangelo la loro indignazione. Forse eviterebbero che l’unica voce del maggiore partito di opposizione sia quella della ‘ministra ombra’ dell’Istruzione Maria Pia Garavaglia. Non solo non grida allo scandalo, ma solo esprime la preoccupazione che ‘’l’annuncio del ripristino dei fondi per le paritarie rappresenti soltanto un segnale’’. Si rammarica, infatti, che la cifra intera è ancora lontana dall’essere ripristinata: mancherebbero all’appello ancora molti dei milioni che il precedente governo aveva assegnato alle scuole paritarie!

Roma 5 dicembre 2008

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2) APPUNTI DI SCUOLA
E ora torneranno anche i fondi tagliati all’istruzione pubblica?

di Giuseppe Caliceti
da il manifesto, 6 dicembre 2008

Il governo aveva parlato di tagli alle scuole cattoliche. È bastata la minaccia di una loro mobilitazione per fargli cambiare idea nel giro di qualche ora. Niente sit-in. Niente occupazioni. Niente lezioni all’aperto. Niente striscioni. Niente scioperi. Niente coordinamenti docenti-genitori.

È bastato che la Chiesa si mostrasse risentita e il governo si è rimangiato le parole dette ed è tornato prontamente sui suoi passi: i fondi per le scuole paritarie sono stati immediatamente «ripristinati».

Allora ti fai delle domande. E i soldi già tagliati dalla Gelmini per le scuole pubbliche italiane, quelli saranno ripristinati? E quelli che il governo è in procinto di tagliare ancora all’Università, saranno ripristinati? Sì, insomma, quei soldi lì. Quelli per la scuola pubblica italiana. Quelli per cui sono scesi in piazza in questi mesi migliaia di studenti, genitori, docenti, gente comune – cattolica e non cattolica. Anche i soldi tolti ai figli di questa gente saranno ripristinati? Sì? No? E perché? Forse perché l’Onda anomala non è abbastanza cattolica? O non è abbastanza italiana? O non è ancora abbastanza privata?

Certo, le critiche al governo da parte della Conferenza episcopale italiana sono state severe. Ma pare proprio che qui si spossa parlare dei famosi due pesi e delle famose due misure. Quasi che in Italia, oggi, ci fossero non solo due pesi, ma proprio due Paesi. Due tipi diversi di alunni e di studenti.

Monsignor Stenco (Bruno Stenco è il direttore dell’Ufficio nazionale della CEI per l’educazione, ndr) aveva detto: «Qui si vuole la scuola statale e la scuola commerciale, lo stato e il mercato, ma non il privato sociale che rappresentiamo noi e che fa la scuola non per interesse privato, ma per interessi pubblici».

Colpiva che Stenco parlasse di un «privato sociale» e di una scuola pubblica italiana che avrebbe un «interesse privato» e non «pubblico»; come se il vero «interesse pubblico» fosse esclusiva e prerogativa unica delle scuole cattoliche.

A ogni modo, proseguendo, Stenco aveva aggiunto parole che potrebbero essere anche condivisibili: «Non è il taglio da 130 milioni di euro di adesso che fa scoppiare la scuola cattolica. Il punto è che sono dieci anni che il finanziamento si è inceppato. Può una scuola parrocchiale, ad esempio, permettersi ogni anno una passività di 20, 25 mila euro? Il contributo dello Stato serve a malapena a pagare gli stipendi».

Sante parole, viene da dire. Il mestiere di Stenco è difendere le scuole parrocchiali e lo fa egregiamente. Quello che colpisce è questo: il suo grido per difendere le scuole private cattoliche è lo stesso dei tanti genitori e docenti che in questi mesi difendono la scuola pubblica. Motivazioni comprese. I fondi che ora lo Stato impiega nella scuola pubblica non servono infatti solo a pagare a malapena gli stipendi dei docenti?

Ma in questo caso il governo non torna ancora sui suoi passi. Anzi, la Gelmini si lamenta proprio di questo: per raschiare il fondo del barile parla del taglio di 250.000 docenti in tre anni. Motivazione? Rappresentano il 97% dei fondi a sua disposizione. E non lo fa chiedendo più fondi. Nonostante l’edilizia scolastica in questo Paese sia messa non proprio bene.

Non solo. Niente fondi destinati alla formazione, all’aggiornamento dei docenti, alla ricerca. Questa è la situazione degli ultimi dieci anni della scuola pubblica italiana, caro Stenco.

Ma allora, il criterio del taglio indiscriminato sulla pelle dei più piccoli, dei più giovani, del futuro del nostro Paese, secondo lei, non è ammissibile per la scuola privata cattolica ma magari lo è per la scuola pubblica italiana? Per i figli di chi frequenta la scuola pubblica italiana? Ci sono due pesi e due misure? Ci sono due Paesi? Non credo.

«Gli aiuti per l’educazione religiosa dei figli», ha detto Benedetto XVI, «sono un diritto inalienabile».

Giusto. Chiediamo allora a lui e a questo governo: e quelli per il resto dell’educazione? Cioè per tutto quello che non è educazione religiosa? E l’aiuto per il resto dei figli? Quelli che magari non si dichiarano cattolici? O che si dichiarano cattolici ma comunque non frequentano una scuola privata cattolica ma semplicemente la scuola pubblica italiana? Aiutare anche questi figli è un diritto alienabile? Di fronte ai figli – i figli di tutti – esistono forse diritti inalienabili e diritti alienabili?

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3) SULLA SCUOLA DUE PESI E DUE MISURE

di Franco Garelli
da La Stampa, 7-12-2008

E’ difficile comprendere il recente affondo della Chiesa italiana contro il governo per i ventilati tagli alle scuole paritarie, tra cui quelle cattoliche hanno un peso rilevante. Lo sconcerto è diffuso più nell’opinione pubblica che nel mondo politico (sempre diplomatico nei rapporti con la gerarchia ecclesiale) e coinvolge non solo l’area laica ma anche non pochi ambienti cattolici.

Intendiamoci: la Chiesa può avere molte frecce nel suo arco nel rivendicare la parità di trattamento per le famiglie che scelgono la scuola privata rispetto a quella pubblica, nel ricordare che questo tipo di scuole hanno un peso piuma nel bilancio dell’istruzione (l’1%), nel denunciare che il decurtamento previsto dal governo di 1
/3 dei fondi a suo tempo pattuiti dalla legge sulla parità scolastica può decretare la fine di questo importante servizio «pubblico»; ancora, nell’osservare che l’eventuale chiusura delle scuole «private» costringerebbe lo stato a prendersi a carico anche gli allievi di questi istituti, con un forte aumento della spesa pubblica per l’istruzione. Di qui la discesa in campo della Cei, che parla di «crisi profonda» della scuola paritaria e minaccia una mobilitazione in tutto il Paese degli istituti cattolici. Ciò che colpisce in questa dura reazione non è il merito di una questione da tempo controversa e sin qui senza una chiara (e auspicabile) soluzione, quanto i tempi e i modi in cui essa si è manifestata e il comportamento messo in atto al riguardo dagli attori coinvolti.

In un momento di forte deficit delle risorse pubbliche, in cui la crisi della finanza creativa sta affossando l’economia reale, in cui si prevedono tagli e amputazioni per tutti i settori della società, desta sorpresa che le scuole cattoliche pensino di sottrarsi alla cura da cavallo a cui è sottoposto il Paese. La rivendicazione della Cei avrà richiamato a molti la penosa situazione in cui versa la scuola pubblica, che di tanto in tanto produce morti e feriti tra i giovani che la frequentano, per la carenza di adeguate risorse per riqualificare gli spazi e renderli all’altezza di un Paese civile. Chi ha più voce in capitolo? Chi ha più diritto ad alzare la voce?

Il potere della Chiesa

Altro punto controverso della vicenda è la pronta risposta del governo di fronte alla protesta dei vertici ecclesiali, che ha fruttato alle scuole paritarie l’immediato ripristino dei fondi decurtati (120 milioni per il 2009). Qui è emerso sia il «potere» della Chiesa nel far cambiare idea al governo nel giro di qualche ora; sia il diseguale trattamento che l’esecutivo riserva alle diverse parti sociali, pur in un tempo in cui si predicano sacrifici per tutti. Le opere della religione meritano certamente grande considerazione pubblica. Ma perché i partiti al governo sono stati così solleciti nel ripristinare i fondi per le scuole paritarie, mentre da mesi sono inflessibili nel confermare i pesanti tagli che attendono le università italiane e una ricerca scientifica sempre più ridotta al lumicino? È davvero sufficiente, come qualche «maligno» ha detto, che il Vaticano fischi perché Tremonti e Berlusconi obbediscano?

Singolare è anche la minaccia avanzata nella circostanza dalla Chiesa per costringere il governo a modificare un provvedimento che penalizzava le sue strutture. Se non ascoltate, le scuole cattoliche scenderanno in piazza, potranno organizzare sit-in e lezioni all’aperto, «occuperanno» i media, proprio come hanno fatto in questi mesi il personale dell’Alitalia, le famiglie che protestavano contro il maestro unico, i dipendenti di aziende travolte dalla crisi. Come a dire, che il linguaggio rivendicativo è ormai di casa anche negli ambienti ecclesiali, disposti a mostrare (magari con pudore) i muscoli per difendere i propri valori e «interessi» e meglio operare per il bene comune.

L’insieme della vicenda è comunque intricato. Anzitutto, quella del finanziamento della scuola privata (cattolica in particolare) è un’annosa questione che divide tutti i raggruppamenti politici, anche se i partiti del centro-destra sembrano i più sensibili e ossequienti ai richiami della Chiesa. Inoltre, la campagna della Chiesa per la scuola cattolica cade in un momento favorevole per l’istruzione privata, per la crescente domanda delle famiglie di ambienti più seri e omogenei per la formazione dei propri figli. Il trend rischia dunque di bloccarsi se lo Stato non interviene, se le famiglie in un periodo di crisi devono accollarsi per intero questo investimento formativo. Più in generale, la Chiesa italiana non si capacita del perché nella «cattolica» Italia non vi sia la parità di condizioni di scelta scolastica riscontrabile in molti altri Paesi europei, pur più distaccati dalla tradizione religiosa. Perché chi sceglie la scuola cattolica deve essere economicamente penalizzato in Italia, mentre ciò non succede nella laica Francia, dove gli istituti cattolici attraggono un numero di studenti tre volte superiore a quello delle omologhe scuole italiane? In sintesi, anche la crisi economica alimenta la battaglia sui temi della laicità dello Stato, coinvolgendo quel finanziamento alla scuola paritaria che da anni è oggetto di contesa pubblica.

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4) COSTITUZIONE DIMENTICATA

di Miriama Mafai
da La Repubblica

Giulio Tremonti era noto fino ad oggi come il più rigoroso, persino spietato ministro dell’Economia, tanto da essere soprannominato “signor no”. Qualcuno, non solo dell’opposizione ma anche della maggioranza, gli chiedeva di allargare i cordoni della borsa a vantaggio dei pensionati, o dei licenziati, o dei precari? No, non si possono purtroppo sforare le cifre del bilancio, rispondeva il nostro ministro. La riposta fino a ieri era sempre la stessa: no. “Tagliare, tagliare le spese” era il suo mantra. Crolla il soffitto di una scuola a Rivoli e si scopre che molte altre scuole sono a rischio?

Occorrono fondi per mettere le nostre scuole a norma? No, la risposta è sempre no. Il bilancio dello Stato non lo consente.

Eppure ieri, finalmente il ministro Tremonti ha detto sì. Nel giro di un paio d’ore ha trovato i soldi per soddisfare la richiesta che gli è venuta dal Vaticano di aumentare lo stanziamento già fissato in bilancio per le scuole cattoliche. Contro il taglio originario di circa 130 milioni di euro aveva tuonato monsignor Stenco, direttore dell’Ufficio Nazionale della Cei per l’educazione, minacciando una mobilitazione nazionale delle scuole cattoliche contro il governo Berlusconi e il suo ministro delle Finanze.

La minaccia ha avuto ragione delle preoccupazioni del ministro. Nel giro di poche ore il sottosegretario all’economia Giuseppe Vegas, a margine dei lavori della Commissione Bilancio del Senato sulla Finanziaria, rassicurava il rappresentante delle scuole cattoliche. “Abbiamo presentato un emendamento che ripristina il livello originario di finanziamento.

Potete stare tranquilli. Dormire non su due ma su quattro cuscini?” . Dunque il taglio previsto in finanziaria non ci sarà. E non ci sarà la minacciata mobilitazione delle scuole cattoliche contro Berlusconi e Tremonti. Soddisfatti, ma solo per ora, i vescovi italiani. Soddisfatto, per ora, il Pontefice che però alza il prezzo e chiede nuove misure “a favore dei genitori per aiutarli nel loro diritto inalienabile di educare i figli secondo le proprie convinzioni etiche e religiose”.

In parole più semplici, c’è qui la richiesta rivolta allo Stato italiano di smantellare il nostro sistema scolastico a favore della adozione del principio del “bonus” da assegnare ad ogni famiglia, da spendere, a seconda delle preferenze, nella scuola pubblica o nella scuola privata.

Naturalmente nessuno contesta il diritto “inalienabile” delle famiglie di educare i figli secondo le proprie convinzioni etiche e religiose. E non ci risulta che nella nostra scuola pubblica si faccia professione di ateismo. E l’insegnamento della religione non è affidato a docenti scelti dai rispettivi Vescovi? Cosa si vuole dunque di più?

Anche a costo di essere indicati come “laicisti” vale la pena di ricordare che l’articolo 33 della nostra Costituzione, ancora in vigore, afferma che “enti e privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione senza oneri per lo Stato”. E che nel lontano 1964 un governo presieduto da Aldo Moro, venne battuto alla Camera e messo in crisi proprio per aver proposto un modesto finanziamento alle scuole materne private. Bisognerà dunque aspettare quasi quarant’anni perché un governo e una maggioranza parlamentare prendano in esame la questione delle scuole
private e della loro possibile regolamentazione e finanziamento.

E saranno il governo D’Alema e il suo ministro dell’Istruzione Luigi Berlinguer a volere, e far approvare, una legge sulla parità scolastica che prevede, ma a precise condizioni, un finanziamento non a tutte le scuole private ma a quelle che verranno riconosciute come “paritarie”. Tutta la materia in realtà, nonostante alcuni provvedimenti presi nel frattempo, è ancora da regolare (non tutte le scuole private, ad esempio, possono essere riconosciute come “paritarie”).

Anche per questo, per una certa incertezza della materia, ho trovato per lo meno singolare l’intervento di due autorevoli esponenti del Partito Democratico, a sostegno della richiesta delle gerarchie. Maria Pia Garavaglia, ministro dell’istruzione del governo ombra del Pd, e Antonio Rusconi, capogruppo del Pd in Commissione Istruzione al Senato hanno subito e con calore dichiarato di apprezzare le rassicurazioni fornite, a nome di Tremonti, dal sottosegretario Vegas. Ma non ne sono ancora soddisfatti. Chiedono di più. Sempre per le private. Chiedono cioè che vengano garantiti “pari diritti agli studenti e alle famiglie” È, quasi con le stesse parole, la rivendicazione già avanzata dalle gerarchie.

Ma è davvero questa, in materia scolastica, la posizione alla quale è giunto il Pd? E se sì, in quale sede è stata presa questa decisione? È giusto chiederselo, è indispensabile saperlo. Anche perché ha ragione chi, come don Macrì, presidente della Federazione che riunisce la scuole cattoliche, lamenta che la strada che porta al bonus trova un ostacolo “nell’articolo 33 della Costituzione che sancisce che le scuole private possono esistere senza oneri per lo Stato”.

E allora, che facciamo? Per rispondere alle esigenze delle scuole cattoliche butteremo alle ortiche l’articolo 33 della Costituzione?

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5) Scuola cattolica, la Chiesa attacca. Il governo annulla subito i tagli

da www.repubblica.it

L’ufficio dei vescovi, parlando di “crisi profonda”, aveva annunciato una mobilitazione. Poi interviene anche il Papa: “Inalienabile dell’educazione religiosa dei figli”. Il sottosegretario Vegas: “I fondi verranno ripristinati con un emendamento”. Ma a decidere come destinare i soldi dovrà essere il ministero dell’Istruzione

Non sono servite manifestazioni, sit-in, o lezioni all’aperto. E’ bastata la minaccia della mobilitazione delle scuole cattoliche per far cambiare idea al governo nel giro di qualche ora. I fondi per le scuole paritarie “vengono ripristinati”, ha assicurato il sottosegretario all’Economia Giuseppe Vegas a margine dei lavori della commissione Bilancio del Senato sulla finanziaria. “C’è un emendamento del relatore che ripristina – dice Vegas – il livello originario, vale a dire 120 milioni di euro. Possono stare tranquilli, dormire su quattro cuscini”. Nonostante le rassicurazioni, anche il Papa ha fatto sentire la propria voce: “Gli aiuti per l’educazione religiosa dei figli – ha detto Benedetto XVI – sono un diritto inalienabile”.

La palla, comunque, viene rimbalzata al ministero dell’Istruzione: sui 120 milioni di fondi in arrivo per la scuola sarà il dicastero guidato da MariaStella Gelmini, di concerto con quelli degli Affari regionali e dell’Economia, a valutare successivamente, entro 30 giorni dall’entrata in vigore della legge finanziaria, la quota da destinare agli istituti scolastici privati. Lo stabiliscono due diversi emendamenti dei relatori al disegno di legge finanziaria e al bilancio approvati oggi dalla commissione Bilancio del Senato.

L’emendamento del senatore Saia (Pdl) al ddl Bilancio stanzia 120 milioni per il 2009 all’istruzione scolastica. La proposta del senatore Pichetto Fratin (Pdl) invece stabilisce che “fermo restando il rispetto delle prerogative regionali in materia di istruzione scolastica, con decreto del ministro dell’Istruzione di concerto con il ministro degli Affari regionali e il ministro dell’Economia, sentita la conferenza stato-regioni, sono stabiliti entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, i criteri per la distribuzione alle regioni delle risorse finanziarie occorrenti alla realizzazione delle misure relative al programma di interventi in materia di istruzione”.

Dal Pd, Maria Pia Garavaglia chiede chiarimenti al governo: “l’annuncio del ripristino dei fondi per le paritarie rappresenta soltanto un segnale, ma, come il governo sa benissimo, la cifra intera e’ ancora lontana dall’essere ripristinata e mancano all’appello ancora molti dei milioni che il precedente governo aveva assegnato alle scuole paritarie’’. ‘’Il punto centrale della questione – e’ la conclusione della Garavaglia – dovrebbe essere quello di garantire pari diritti agli studenti e alle famiglie. Invece il governo conferma di guardare all’istruzione nient’altro che come a un costo da contenere’’.

Secondo il senatore del Pd Antonio Rusconi, mancano all’appello ancora 14 milioni di euro per le paritarie. “Tutto questo finirà inevitabilmente per penalizzare non solo le scuole cattoliche ma anche i cittadini e le famiglie delle scuole dell’infanzia che si vedono in difficoltà e sono costretti a ricorrere al portafogli per l’inevitabile aumento delle rette. Come sempre, tante rassicurazioni, tante promesse e scarsi risultati”.

Positivo il fatto che il governo abbia accolto le richieste della Cei, commenta il capogruppo alla Camera dell’Italia dei Valori Massimo Donadi, “ma ora dovrebbe fare lo stesso per quelle altrettanto legittime che provengono dal mondo della scuola pubblica e della ricerca”.

Più duro Paolo Ferrero, segretario di Prc: “Mentre il governo ha ignorato, quando non ha represso, le manifestazioni di centinaia di migliaia di giovani studenti, ricercatori e docenti della scuola pubblica, rifiutandosi di cambiare i suoi provvedimenti che massacravano scuola e università e che tagliavano soldi e risorse, è bastata una semplice minaccia di mobilitazione da parte delle scuole cattoliche private per far cambiare idea al governo e nel giro di pochissime ore. Insomma, il Vaticano fischia e Tremonti e il governo ubbidiscono. Siamo alla farsa, se non fossimo alla tragedia, sulla scuola”, ha detto.

Contro il taglio originario di circa 130 milioni di euro aveva tuonato stamane monsignor Bruno Stenco, direttore dell’Ufficio nazionale della Cei per l’educazione, annunciando che “le federazioni delle scuole cattoliche si mobiliteranno in tutto il Paese”, contro i tagli previsti dal governo Berlusconi.

“Non si tratta di restituzione – aveva lamentato Stenco – a questo punto si è aperta una crisi molto più profonda e le federazioni delle scuole cattoliche presto si mobiliteranno in tutto il Paese”. “Qui – aveva detto ancora – si vuole la scuola statale e la scuola commerciale, lo stato e il mercato ma non il privato sociale che rappresentiamo noi e che fa la scuola non per interesse privato, ma per interessi pubblici”.

“Nel 2000 – aveva spiegato ancora Stenco – la legge sulla parità scolastica ha previsto un contributo di 530 milioni di euro per tutto il sistema delle scuole paritarie, mentre la spesa per la scuola statale è di 50 miliardi. Il contributo, dello’1% per cento, è quindi già irrisorio”. “Nel 2004 – ha proseguito – per tre anni consecutivi Tremonti ha tagliato 154 milioni sui 530 di contributo totale, cioè il 33 per cento. La scuola cattolica ha taciuto – ha aggiunto – e li abbiamo recuperati anno per anno con emendamenti, con fatica e con ritardi. Ora, però, il ministro ripete la stessa manovra”. “La Chiesa adesso – aveva concluso – deve tirare le sue conseguenze perché senza contributi le scuole dell’infanzia non vanno avanti e di certo rischiano di chiudere”.

Dopo le parole di Vegas, il portavoce della Conferenza Episcopale Italiana, don
Domenico Pompili, ha sfumato i toni della polemica. “I vescovi italiani – ha ricordato – sono preoccupati come emerso anche di recente da diverse voci del mondo cattolico, per il destino delle scuole pubbliche non statali, tuttavia pur consapevoli del momento economico e sociale che il Paese sta attraversando, confidiamo negli impegni che il governo ha assunto pubblicamente”.

Ma poco dopo arriva la voce del Papa. “Il ventunesimo secolo sta mostrando con sempre maggiore chiarezza la necessità di forgiare la vita personale, familiare e sociale in accordo a quei valori irrinunciabili che esaltano la persona e tutta la comunità”, e fra questi rientra “l’adozione di misure a favore dei genitori che li aiutino nel loro diritto inalienabile di educare i figli secondo le proprie convinzioni etiche e religiose, come pure la promozione della gioventù”, ha detto Benedetto XVI questa mattina, ricevendo le lettere credenziali del nuovo ambasciatore di Argentina presso la Santa Sede, Juan Pablo Cafiero.