Lettera a Gesù in occasione del suo compleanno

di Gianni Geraci

Milano, 23 Dicembre 2008

Caro Gesù,

scrivo a te, perché so che tu, di sicuro, mi ascolti. In realtà vorrei scrivere a coloro che guidano la tua chiesa, ma so che queste persone di lettere ne ricevono tante e non hanno certo il tempo di leggere quello che scrivo io. D’altra parte non credo che loro riescano a capire la gravità dei problemi che la vocazione a cui tu mi hai chiamato mi mette di fronte ogni giorno.

A loro non telefona nessun omosessuale disperato perché si sente sporco a causa della suo specifico orientamento. A loro non si rivolge nessun omosessuale combattuto tra il desiderio di esplorare la propria affettività e il terrore di finire all’inferno.

A loro non si rivolge nessun transessuale che, dopo aver lottato e sofferto per ritrovare la sua vera identità, si vede negata qualunque possibilità di vivere nella chiesa le scelte vocazionali a cui si sente chiamato. A loro non arrivano il dolore e la disperazione che nascono dalla solitudine e dal rifiuto di se stessi.

A loro non arrivano l’amarezza e il rimpianto di chi ha dovuto rinunciare, a causa della propria omosessualità, alla confidenza delle persone che sentiva più vicine. Sono solo alcuni esempi, ma la lista, caro Gesù, é davvero tanto lunga. Ancora più lunga se si considerano poi le tante storie in cui, a un certo punto, le persone decidono abbandonare una chiesa che non riconoscono più come madre.

Probabilmente, ai successori dei tuoi apostoli, queste persone non interessano in maniera particolare perché di gente, nelle cerimonie che presiedono, ne vedono sempre tanta e sanno che, occupandosi di una minoranza particolare come la nostra, nel migliore dei casi dovrebbero iniziare un processo di totale ricomprensione della sessualità alla luce del Vangelo, mentre nel peggiore dei casi si ritroverebbero al centro di un vero e proprio scisma, qual è quello che sta sconvolgendo la comunione anglicana in questi ultimi anni.

Sono infatti molti le persone che frequentano le nostre chiese e che si sono abituate a identificare l’annuncio cristiano con un determinato modello di famiglia e di società: non si può certo pretendere che, all’improvviso, cambino radicalmente il loro atteggiamento nei confronti delle persone omosessuali.

Ecco perché ho deciso di non scrivere più a nessuno dei tuoi vescovi. Mi sono reso conto che è inutile. Nella migliore delle ipotesi ti ascoltano e ti guardano imbarazzati per la loro impotenza. Nella peggiore delle ipotesi non ti rispondono nemmeno e negano, magari di aver mai ricevuto la lettera che hai scritto loro. Ho deciso di non scrivere più ai tuoi vescovi, perché da adesso in poi ho deciso di scrivere direttamente a te, convinto di aver finalmente fatto la scelta giusta.

Qualcuno mi prenderà per pazzo. Qualcun altro sorriderà e penserà che, pur non essendo pazzo, resto comunque un illuso che crede in qualche cosa che, nella storia, è stato contraddetto decine di volte. Io, invece, che amo la storia e che amo ancora di più la storia della tua Chiesa, credo davvero che dietro a questa storia ci sia comunque la tua mano che la guida e che, alla fine, cerca di impedirle di allontanarsi troppo dal messaggio che hai predicato nel Vangelo.

Naturalmente si tratta di una mano che è costretta ad agire tra mille difficoltà: perché da un lato c’è il profondo rispetto che tu hai per la libertà di ciascuno di noi, anche per la libertà di coloro che sono stati chiamati a rappresentarti tra le genti; dall’altro c’è sempre e comunque la discrezione con cui hai scelto di agire tra gli uomini. Come infatti ti dice con rabbia il Grande inquisitore di Dostoevskij: «Che libertà può mai esserci se l’obbedienza è comprata col pane?».

Ma quando perdiamo la fiducia nella tua azione che si snoda discreta nella vita di tutti noi e che guida con pazienza e con perseveranza la vita della tua Chiesa, rischiamo di uccidere la speranza che tu ci sei venuto a portare. Quando iniziamo a dubitare del fatto che, comunque, al di là delle cose brutte che i capi della tua chiesa dicono a noi omosessuali, ci sei tu che ci chiedi con insistenza di entrare nella nostra casa e di sedere a cena con noi, allora rischiamo di sederci di fronte a una tavola sterile, perché incapace di dare un significato alla quotidianità della nostra vita.

Quando ci fermiamo e diciamo che non vale più la pena lottare, perché siamo destinati alla sconfitta, allora affermiamo in maniera inequivocabile l’inutilità del tuo sacrificio, l’inutilità della tua passione, l’inutilità dei passi che hai voluto fare vicino a noi, l’inutilità della tua nascita.
Ecco perché ti scrivo, mio caro Gesù.

Perché io sono convinto, sono fermamente convinto, sono assolutamente convinto che ci sia un senso nei particolari che hanno accompagnato la tua venuta tra noi. Perché sono convinto che non è un caso se i vangeli ci dicono che sei nato da una donna che non era ancora sposata, una donna che, secondo quella legge mosaica che condanna a morte gli omosessuali, avrebbe dovuto essere lapidata, per distruggere con lei il frutto del suo concepimento.

Non è un caso se i vangeli ci dicono che, quando i tuoi sono arrivati a Betlemme,«non c’era posto per loro»; in quel trovarsi stranieri in una terra che non conoscevano io leggo la condizione di tante omosessuali che, quando chiedono alla chiesa di essere accolti come religiosi o come consacrati, si sentono rispondere che non c’è posto per loro. Non è poi un caso se, ancora in fasce, sei stato costretto a emigrare e a cercare rifugio in una terra che non era la tua.

Una circostanza che ti accomuna alle tante persone che sono costrette ad abbandonare la loro terra perché la fame, la violenza, i pregiudizi, le leggi ingiuste, gli egoismi che regolano l’economia non permettono loro di continuare a vivere nella terra in cui sono nati. Tra questi ci sono tanti omosessuali, mio caro Gesù: si tratta di quelli che fuggono dagli Stati dove verrebbero condannati a morte, o dove finirebbero in prigione se fossero scoperti; ma si tratta anche di quelli che dai loro paesi vanno nelle grandi città per nascondersi meglio e per poter costruire lì quella vita che nei loro luoghi d’origine incontrerebbe l’ostilità della gente.

So benissimo che non sono gli unici. So anche che troppe volte ci sono degli omosessuali che non riescono a sentirsi solidali con i tanti immigrati che, per i motivi più diversi, sono spinti nel nostro paese. Ma so anche che tra i tanti profughi di cui tu hai condiviso la condizione quando sei stato costretto a fuggire in Egitto, ci sono anche loro.

Ecco perché Signore ti scrivo nel giorno del tuo compleanno. Perché vorrei che mi aiutassi a far capire alle tante persone omosessuali che si sentono rifiutate dalla tua chiesa che, a capo della chiesa, al di sopra delle sue gerarchie e, magari, contro i suoi stessi leader che, per paura o per ignoranza, ti tradiscono pronunciando parole che tu non avresti mai pronunciato, ci sei tu che li chiami e che continui a ripetere: «Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò».

Te lo posso dire per esperienza diretta: sono tantissimi gli omosessuali che sono affaticati dal clima di rifiuto di cui i capi della tua chiesa si fanno paladini; allo stesso modo sono tantissimi gli omosessuali che sono oppressi da un sentimento di disperazione in cui la prospettiva di incontrarti è stata definitivamente abbandonata. Ma io spero, io credo, io so che tu, per queste persone, hai una parola capace di infondere una nuova Speranza.

Per questo ti chiedo di portarmi un grande dono, in occasione del tuo Natale: quello di darmi la capacità e la forza di far capire a tutti costoro che, rivolgendosi direttamente a te, potranno trovare quell’accoglienza che spesso viene loro negata dai capi della tua chiesa. Pochi mesi fa mi hai salvato dalla morte. Adesso
aiutami, o Signore, a mettere la vita che mi hai regalato, al servizio di questo grande ideale.

Buon compleanno Gesù. Buon Natale.