L’inquilino della Bibbia – intervista a Erri De Luca

di Claudia Fabbri
da “Il Messaggero Cappuccino”

Erri De Luca è nato a Napoli nel 1950. Diciottenne, vive in prima persona la stagione del ’68 e entra nel gruppo extraparlamentare di Lotta Continua. Esercita poi diversi mestieri manuali in Africa, Francia, Italia: camionista, operaio, muratore. Studia da autodidatta l’ebraico antico e traduce alcuni libri della bibbia.

Che tipo di scrittore sei? Ci sono romanzi di successo, poesie, opere teatrali, traduzioni… Perché scrivi?
All’inizio è stato per compagnia. Ho un carattere solitario, un po’ chiuso e quindi quale migliore compagnia dei libri? Prima li ho letti, poi è nata la voglia di aggiungere le mie varianti alle storie che leggevo. Questo è stato il movente; poi, se queste storie possono piacere a qualcuno, è un caso fortuito.

Ti definisci un non credente, non un ateo. Qual è la differenza?
Il non credente, così come il credente, è quello che obbedisce a questo participio presente e si pone continuamente questa domanda. Anche il credente è qualcuno che rinnova continuamente il suo credo. Il non credente è il mio caso. Io sto tutti i giorni sulla sacra scrittura, sono un visitatore di quelle pagine, soprattutto dell’Antico Testamento, nel formato originale dell’ebraico antico. Tutti i giorni mi ci risveglio sopra, ma resto uno che fa delle intrusioni là dentro, sono un ospite, non un inquilino che le abita. Però penso che ci sia una affinità fra il credente e il non credente, proprio perché entrambi si muovono da questa domanda al participio presente: il credente rinnovando ogni giorno la sua fiducia, la sua fede; il non credente senza riuscire a farci niente. Penso invece che l’ateo sia affine al talebano; si somigliano perché entrambi hanno risolto il problema una volta per tutte. L’ateo è quello che ha escluso dalla sua possibilità la presenza della divinità. Il talebano te lo dà per certo, non si pone la domanda, è rimasto fermo nel suo credo come l’ateo è rimasto immobile nel suo rifiuto. Ma credo che i nostri tempi dovrebbero vacillare tra l’ateo e il talebano.

Pur essendo un non credente sei un appassionato di sacre scritture tanto da aver imparato la lingua originale, l’ebraico antico, e fatto traduzioni di alcuni libri della bibbia… Come è avvenuto il tuo incontro con la bibbia? In quali circostanze? Perché non c’era nessun altro libro nei paraggi, c’era soltanto quello.

Quindi non è stata una scelta…
Mi sono trovato quel libro a portata di mano in un posto dove non c’era altro e mi sono appassionato a quelle storie perché non erano letteratura. Quelle non erano storie che volevano accattivarsi o solleticare il lettore, se ne infischiavano del lettore. Erano una bella raccolta di storie remote che non avevano a che fare con niente, con nessun presente.

Come legge la bibbia un non credente?
Sono stato affascinato dall’ebraico antico. Quella lingua mi si è trasferita nell’intimità. Me la leggo tutti i giorni nel momento del risveglio, è diventata una mia abitudine fisica. Ho un affetto e una gratitudine nei confronti di quella lingua che ha ospitato per la prima volta la voce che stabiliva il monoteismo. La notizia di un Dio unico, la più decisa e intransigente delle rivelazioni, era affidata a una lingua di pastori, di schiavi. Eppure ha contenuto quella notizia e l’ha realizzata.

Hai detto in più occasioni che per gustare un libro deve esserci la pagina, la parola che sembra scritta per te, che ti fa sentire parte di quella vicenda. Come la bibbia ti aiuta a leggere la tua vita?
No, quella frase aveva a che vedere con la letteratura. In letteratura può succedere che le pagine si mescolino alle vicende del lettore e tra loro avviene un’esperienza. Le scritture sacre io le seguo con la loro lingua e qualche volta quella particolare parola mi si illumina di senso e mi permette di guardare più in profondità quella singola parola. Sono delle scoperte, è come trovare cose nuove, delle monete d’oro, ma alla superficie.

Ti definisci un non credente, ma nei tuoi scritti traspare un profondo senso religioso, una grande intensità emotiva: l’insistenza degli affetti e della memoria, la ricerca di condivisioni e coerenze, la passione per la natura, il tentativo di superare l’incomunicabilità, stupore di fronte al grande racconto della fede, senso del mistero…
Io ho rispetto per gli altri, ma non mi considero religioso. Non considero religioso il mio rapporto con la natura, per esempio. No, non posso rientrarci in questo, no.

Da attento lettore e traduttore di sacre scritture che idea ti sei fatto di questo Dio che, a cominciare dall’AT, si è rivelato in un modo così tangibile?
Si è rivelato in modo molto tangibile, anzi ci teneva moltissimo che fosse tangibile, sperimentabile dai sensi, tanto che ha parlato. La manifestazione più potente, più fisica della divinità è il suo dire, il suo voler dire, molto più del suo creare. Questa è una volontà di coinvolgere, di raggiungere, un immenso che si riduce alla più piccola cosa, alla creatura; si riduce ad altezza d’uomo. È una storia grandiosa. È un Dio che si va ad aggiungere alla lunga lista di divinità precedenti, che però ha la forza di annullarle tutte, di sradicare dal cuore degli uomini e anche dal suolo le migliaia di altari che erano disseminati lungo il bacino del Mediterraneo, il mare più fantasioso dal punto di vista teologico, che ha inventato più divinità, il più politeista del mondo. Proprio qui, in questo bacino ultrapoliteista, si è andata a impiantare una divinità che ha cancellato tutte le altre. Come ha fatto? Cosa aveva in più? È che chiedeva e puntava sulla più forte carica di energia pulita prodotta dal corpo umano che è l’amore. Nessun’altra divinità aveva preteso di amare e di essere amata. Questa divinità diventa dominante nei confronti di tutte le altre perché si è rivolta al sentimento più forte, più violento, più carico di energia della creatura umana che è l’amore.

Cito le tue parole: “Ogni tanto distrattamente si condensa la malinconia di essere lettore di bibbia in un’epoca fredda. Se nemmeno un poco della sua temperatura è passata nelle pagine che ho scritto, avrò compiuto un esercizio vano”. Posso allora dire che, con le tue traduzioni, fai da ponte tra la Parola e chi non se la sente di abitare entro “sacri confini”?
Lo puoi dire tu, non lo posso dire io. Non mi risulta. L’uso che un lettore fa delle cose che scrivo è personale, non lo governo.