Barbiana alla Bolognese. Una scuola ispirata a don Milani

di Linda Chiaramonte
in “il manifesto” del 3 gennaio 2009

È una piccola Barbiana emiliana, trent’anni dopo, la scuola paterna di Sammartini, piccola frazione
di campagna del comune di Crevalcore, a circa trenta chilometri da Bologna. Il prete illuminato che
ha portato l’insegnamento di Don Milani nella bassa pianura padana è Don Giovanni Nicolini, ex
direttore della Caritas di Bologna, che dall’esempio del piccolo borgo della diocesi di Firenze ha
creato una scuola che si ispira agli stessi principi educativi, un’evoluzione di quel modello negli
anni ’80, con condizioni sociali e di accesso all’istruzione molto diverse. Tutto comincia alla fine
degli anni ’70 quando Don Nicolini dopo alcuni anni trascorsi a Bologna, diventa cappellano della
parrocchia di Sammartini. Pochi casolari sparsi, una chiesa e una scuola itinerante, di casa in casa,
da raggiungere in bicicletta.
Francesca Bergamini è la prima allieva di questo progetto nato da un gruppo di famiglie molto
legate fra loro che dalla città ha seguito Don Nicolini fino in campagna. Di questa piccola comunità
fanno parte alcuni genitori insegnanti, che dopo aver vissuto la stagione del ’68 sentono la necessità
di interrogarsi sulla scuola e la riforma in atto in quegli anni nella fascia dell’obbligo. Dopo un paio
d’anni nasce l’idea della scuola paterna, né pubblica né privata, unica in Italia, aconfessionale e
aperta a tutti, anche a persone in difficoltà, in cui il valore principale è quello di dare stimoli e
passioni agli studenti. «L’idea fin da allora fu quella di dare maggiore spazio alla libertà e a un
concetto più vasto di cultura nel tentativo di curare di più l’approfondimento e percorsi
personalizzati per bambini più o meno dotati in un sentiero di crescita proporzionato alle
possibilità» racconta Don Nicolini «un’esperienza in cui non ci sono gerarchie di capacità e meriti».
Lo schema giuridico della scuola paterna prevede che gli allievi siano regolarmente iscritti presso
un istituto, al quale i genitori chiedono l’autorizzazione a provvedere e garantire l’istruzione ai
propri figli. È una legge del ’26 a contemplare la possibilità da parte della famiglia di occuparsi
direttamente dell’apprendimento dei figli, con l’obbligo di certificarlo alla scuola con un esame alla
fine di ogni anno scolastico. Da qui la definizione di scuola paterna, una scuola fatta in casa e a
misura di bambino, dove a fare i docenti sono gli stessi genitori che oltre alle materie previste dai
programmi ministeriali danno spazio ad approfondimenti e percorsi didattici individuali in cui tutti
possono sentirsi al passo, anche chi ha difficoltà di apprendimento o proviene da un contesto sociale
difficile.
I banchi sono a casa o in parrocchia, ma la religione non è materia di insegnamento, la scuola è
aperta a tutte le fedi e anche ai non credenti, non è necessaria un’adesione religiosa, si tratta di un
progetto educativo trasversale. I compiti non esistono, al loro posto c’è «ci ripenso ».
Ma torniamo al 1982 primo anno delle scuole medie fatte in casa nella piccola frazione di
Sammartini, Francesca e Luca sono i pionieri di questa esperienza, la mamma di lei, già
professoressa nella scuola pubblica, insegna lettere, la madre di Luca, scienze. A farsi carico delle
altre materie ci sono altri genitori, in più ci sono corsi monografici sulla Shoah e il giornalismo,
educazione tecnica, corsi di lettura, taglio e cucito, telaio e ceramica. L’anno successivo i nuovi
iscritti sono 4 poi 6, nel frattempo la scuola inizia a richiamare alunni anche dai paesi vicini e c’è
chi arriva apposta da Bologna. Non è una scuola elitaria, e a dimostrarlo negli anni ’90 è la sua
apertura a bambini stranieri provenienti da percorsi di adozione e affidamento, e a profughi
kosovari, oltre alla richiesta di inserimento sempre più frequente da parte dei servizi sociali di
ragazzi con disagio che la scuola «normale» non riesce a seguire e alla collaborazione avviata con
un’associazione che si occupa di bambini con handicap gravi. Un giorno alla settimana per le
lezioni si va in trasferta a Bologna, nelle case dei nonni, che tanto hanno da insegnare, niente che si
possa trovare sui libri. Fra gli allievi delle scuole medie a Sammartini anche Tommaso, figlio di
Francesca, la prima ad aver iniziato questo percorso di scuola alternativa e che su quell’esperienza
ha scritto la tesi di laurea in pedagogia. Francesca ha vissuto l’esperienza da allieva e da madredocente,
una scelta gratificante e al tempo stesso impegnativa che le ha comportato un forte
coinvolgimento personale decidendo di non delegare alla scuola la formazione del figlio, svolgendo
un ruolo attivo in prima persona. Quest’anno in tutte e tre le classi gli iscritti sono 25, in aumento
rispetto agli scorsi anni. È sempre Don Nicolini l’anima della scuola, che a Bologna ruota intorno
alla parrocchia di Sant’Antonio da Padova alla Dozza, quartiere periferico in zona fiera. È preside e
insegnante di storia e geografia. I docenti sono circa una ventina, oltre ai genitori degli alunni,
impegnati in prima persona, anche professori universitari, insegnanti in pensione e volontari che
collaborano mettendo le loro professionalità al servizio dei ragazzi, qualità indispensabile la
passione per la loro materia e la capacità di trasmetterla. Fra loro anche Vincenzo Balzani,
professore di chimica all’Università di Bologna, specializzato in nanotecnologie, che coordina la
sezione di scienze. Un dirigente di Datalogic insegna matematica, un architetto della Provincia
geometria, un neonatologo il corpo umano. Le lezioni sono regolari tutte le mattine, il luogo, oltre
alla sede della parrocchia e le case degli insegnanti, può essere un’aula universitaria dove fare
esperimenti scientifici, o a spasso per la città per imparare educazione artistica. I risultati finora
sono molto positivi «scompare il rischio di isolamento e anonimato, i ragazzi arrivano bene alla
guerra delle superiori» dice Don Nicolini. A confermarlo i gemelli congolesi in affido ad Amelia
Frascaroli, madre e docente con un passato nella Caritas bolognese, che appena arrivati in Italia, dal
2001 al 2004 hanno frequentato le medie a Sammartini. «È stata un’esperienza straordinaria, si sono
sentiti accolti e sostenuti. Sono stati loro a incoraggiare il più piccolo di casa a frequentare la scuola
paterna a Bologna» racconta la Frascaroli. Ora la scuola a conduzione familiare in città è
frequentata fra gli altri anche da molti ragazzi stranieri e da alcuni con problemi relazionali e di
dislessia, situazioni fragili a cui la scuola tradizionale fa fatica a dare risposte. Un vera sfida una
scuola così di questi tempi.