La fede, il Papa e Marcello Pera

di Gad Lerner
in “Nigrizia” n.1 del gennaio 2009

Voglio esprimere la mia delusione per la lettera che Benedetto XVI ha inviato a Marcello Pera, nella
quale loda il suo libro Perché dobbiamo dirci cristiani, edito da Mondadori, definendolo addirittura
«di fondamentale importanza in quest’ora dell’Europa e del mondo».
Mai prima di questo breve testo papa Ratzinger era stato altrettanto esplicito nel ridimensionare la
portata del dialogo interreligioso: «nello stretto senso della parola non è possibile». Preferendogli
un «dialogo interculturale», per realizzare il quale sarebbe necessario «mettere fra parentesi la
propria fede».
Mi dispiace per lui. Trovo misera, infatti, quella fede che si lascia mettere tra parentesi per timore
del sincretismo. Quasi che le Verità rivelate necessitassero di una recinzione protettiva, e gli
inevitabili cambiamenti di noi stessi, determinati da un dialogo autentico, cioè destinato a
trasformarci, ci allontanassero per ciò stesso dalla fonte del nostro credo. Benedetto XVI troverà
senz’altro compiacenti seguaci tra gli ebrei, i musulmani e i cristiani, nella marcia indietro della
dogmatica. Ma noi continueremo a riconoscere nella preghiera altrui la trascendenza verso un
Assoluto che per fortuna ci accomuna, senza paura di esserne contaminati, anzi, consapevoli che la
dimensione storica, terrena, delle religioni le rende tutte (per fortuna) soggette a trasformazioni.
Così, la paura di una fede debole talvolta dà esiti involontari di prepotenza, perché interpreta le
trasformazioni come anticamera della scomparsa. Peccato!
C’è però un secondo motivo di rammarico che vorrei comunicarvi, e di stupore.
Mi sconcerta, infatti, la modestia teorica dell’interlocutore che il Papa si è scelto fino a considerarlo
«fondamentale». Intuisco che lo affascini — e viva come un successo — il percorso di
avvicinamento alla chiesa di un settore del pensiero laico che in passato le si contrapponeva
aspramente. Qui non mi permetto di insinuare sulla sincerità di Marcello Pera, che ho conosciuto
bene nelle sue molteplici “incarnazioni” precedenti. Mi sarei però aspettato che il teologo Joseph
Ratzinger riconoscesse l’evidente natura pamphlettistica del saggio di Pera, ben lungi dalla caratura
di un trattato filosofico.
Ma l’ex presidente del Senato non ci propone nemmeno una riflessione autobiografica trasparente
delle sue svolte: dal tempo non lontano in cui si opponeva alla citazione delle radici cristiane nel
preambolo della Costituzione europea, alla forzatura attuale per cui un liberale dovrebbe giocoforza
dirsi cristiano. Sorvola, ci lascia interdetti, non fa trapelare alcun travaglio, trasmette una sensazione
di disinvoltura.
Se questo è il livello dei partner scelti dal Papa, non mi pare una buona notizia per la chiesa.