Perché torna il bisogno di sacro

di Charles Taylor
in “Corriere della Sera” del 15 gennaio 2009

Sarà sorprendente, ma le scienze sociali, del resto nate secolarizzate, sono state finora cieche e
sorde di fronte ai valori spirituali. Salta agli occhi la totale indifferenza che non pochi filosofi,
sociologi e storici riservano alla dimensione dello spirito. Le conseguenze di questo disinteresse
sono pesanti a livello dei media e di opinione pubblica, specie quella colta. Ma non basta che
attorno alla religione sia stata intenzionalmente creata una cortina di noncuranza e di ignoranza; ora
la fede diventa oggetto di continui attacchi. È significativa la battuta del Nobel Steven Weinberg,
che oltretutto è un cosmologo e non un sociologo: «Ci sono persone buone che fanno cose buone e
persone cattive che fanno cose cattive, ma se volete trovare gente buona che faccia cose cattive,
rivolgetevi alla religione». In alcuni Paesi, questa frase è diventata quasi un proverbio e viene
ripetuta dai media e nei bar. È stupefacente che se ne esca con una simile battuta un uomo come
Weinberg, che ha vissuto gran parte della sua vita in un secolo, il XX, che ha conosciuto i regimi
più oppressivi della storia. È questa l’obiezione che io muovo appena qualcuno tira fuori la battuta
di Weinberg. E ottengo, invariabilmente, la seguente risposta: «Ma il comunismo era una
religione!». Insomma, per alcuni, la parola “religione” è diventata sinonimo di irrazionalità e
addirittura di assassinio.
In pratica, c’è ormai chi intende per “religione” un complesso di credenze che può indurre persone
buone e pacifiche (che non ucciderebbero neanche una mosca, che so, per conseguire un guadagno
personale), a trasformarsi in killer per una “causa”. Un modo di pensare abbastanza grossolano,
questo. Al quale va mossa un’altra obiezione ancora: Hitler, Stalin, Pol Pot, Mao, eccetera, erano
tutti nemici della religione. L’altro effetto negativo della mentalità antireligiosa è il ritardo con il
quale viene affrontato il vero problema della violenza che cresce nelle nostre società. Nessuno è
immune dal rischio di essere strappato dalla propria vita tranquilla e reclutato nella violenza di
gruppo. È in agguato la tentazione di prendere come bersaglio un altro gruppo sociale e di ritenerlo
responsabile di tutti i nostri mali. Ora il compito urgente è capire che cosa spinge interi gruppi di
persone a sentirsi pronti per essere cooptati in un progetto del genere.
Ma abbiamo una presa imperfetta su questo problema. Grandi scrittori come Fëdor Dostoevskij
hanno fatto luce sull’origine della violenza e del delitto, che però resta avvolta nel mistero. Ed è
incompleta la conoscenza che abbiamo circa la via seguita da personaggi dotati di carisma
spirituale, come Gandhi, per convincere le masse a ripudiare la violenza, bloccandole proprio
quando stavano per oltrepassare la linea del non ritorno. Senza l’intervento di autorità spirituali,
spesso anche gli sforzi meglio intenzionati non riescono a impedire che la storia si faccia «sul banco
da macellaio», come dice Hegel. E dà un brivido il pensiero che Robespierre avesse votato contro la
pena di morte nelle prime discussioni sulla Costituzione repubblicana.
Recentemente ho lavorato per comprendere quali siano oggi i significati e i risvolti del termine
“secolarizzazione”. Per lungo tempo, la sociologia ha considerato questo processo come inevitabile.
Alcune caratteristiche della modernità — lo sviluppo economico, l’urbanizzazione, la mobilità in
continuo aumento, il più alto livello culturale — erano viste come fattori che avrebbero provocato
un inevitabile declino della credenza e della pratica religiosa. Era la famosa “tesi della
secolarizzazione” e per lungo tempo ha dominato il pensiero nelle scienze sociali e negli studi
storici. Questa convinzione è stata scossa da recenti avvenimenti. La religione ha reagito alla
modernizzazione, ha risposto alla sfida dimostrando la propria vitalità. In qualche caso però la
religione è diventata la base per una mobilitazione politica e il fenomeno è addirittura minaccioso,
date le proporzioni assunte. È ora di conoscere a fondo questa dinamica, i benefici e i danni che
comporta, vedere chiaro in un mondo che la vecchia teoria della secolarizzazione nasconde ancora
alla vista. L’incapacità di scorgere la dimensione spirituale della vita umana ci rende incapaci di
esplorare temi vitali. Ora si tratta di riportare la spiritualità al centro e in domini aperti in cui sono
possibili scoperte decisive.
Nel mondo secolarizzato è accaduto che la gente dimenticasse le risposte alle principali domande
sulla vita. Ma il peggio è che sono state dimenticate anche le domande. Gli esseri umani — che lo
ammettano o no — vivono in uno spazio definito da domande profonde. Qual è il senso della vita?
Ci sono modi di vita migliori e peggiori, ma come si riconoscono? Quali sono i modi utili per
l’individuo e per la comunità cui appartiene? Qual è il fondamento della mia dignità personale, che
io cerco di difendere da me stesso, ogni giorno? Le persone hanno fame di risposte su tutte le
questioni e, se ne accorgano oppure no, sentono il bisogno di vedersele risolte da qualcuno. C’è chi
riterrà sbagliata o assurda la mia idea; io sono certo che è fondata.
Si parla di “scoperta dello spirito”, per analogia con le scoperte che avvengono in biologia, fisica e
chimica. Ma è più esatto parlare di “riscoperta dello spirito”: l’uomo ha un’eccezionale capacità di
dimenticare cose che aveva conosciute e deposte nel profondo del cuore. I filosofi, a partire da
Platone, hanno analizzato questa caratteristica umana; Heidegger parla, in proposito, di
«dimenticanza dell’essere». Io penso che l’uomo scivoli in un «oblio dell’essere». Credo che noi
cadiamo in uno speciale tipo di dimenticanza. In ogni caso, il mondo moderno si fonda su una ben
precisa catena di oblii.
Una delle regole principali del sapere umano è tirare fuori quelle risposte inarticolate che la gente fa
proprie nella vita. Perciò abbiamo bisogno di una nuova conoscenza della ragione. Non si tratta
semplicemente di muoversi con procedimento deduttivo attraverso un argomento; bisogna anche
saper portare in superficie quei valori vissuti profondamente dalla gente, cioè articolarli, dar loro
voce. Penso che sia molto pericoloso dimenticare i valori, perché svariate novità positive sono
emerse nel nostro tempo in quanto il popolo aveva risposto, in un certo modo, alle domande che le
novità presupponevano. Buona parte della violenza compiuta nel nostro mondo discende dal fatto
che i giovani vengano reclutati per cause che li trasformano in orribili robot assassini. A reclutarli è
un’offerta che promette di dare un contenuto alle loro vite. Sono senza lavoro, si sentono senza
futuro, non hanno (non possono avere) il senso della dignità. Sì, hanno dato una risposta a una
domanda. Una risposta estremamente distruttiva, perché autodistruttiva. E noi saremo disperati, se
non saremo riusciti a consigliare loro, in tempo utile, una risposta diversa.